Come i dazi di Trump mettono a rischio l’Unione europea
Trump punta a usare i dazi per dividere l’Unione europea e rafforzare la dipendenza economica e politica degli Stati europei dagli Stati Uniti
Esiste nel mondo una chiara volontà di distruggere l’Europa e di farne una colonia. E questa volontà parte dall’altra sponda dell’Atlantico. È sempre più evidente, infatti, che gli Stati Uniti intendono smembrare l’Unione europea e sostituirla con la Nato. O con qualcosa di simile. I dazi al 30% (conservando peraltro quelli già esistenti al 50%) sono lo strumento che Trump intende utilizzare per convincere i singoli Paesi europei a trattare, uno a uno, con il governo americano nella speranza di strappare condizioni di favore.
Ecco la strategia trumpiana. Le imposizioni dei dazi si basano sull’idea, tutt’altro che peregrina, che le economie dei vari Paesi europei non possano fare a meno della loro quota di esportazioni verso il mercato statunitense. A cui va aggiunta la pervicace chiusura verso la Cina da parte dei gruppi dirigenti dei diversi Stati del vecchio continente. Per questo diventa molto probabile che ogni singolo Paese arriverà a mettere in discussione la tenuta complessiva dell’Unione, e dell’Eurozona, provando ad ottenere deroghe solo per le proprie produzioni. In estrema sintesi, Trump ha capito la profonda dipendenza degli europei dagli Stati Uniti, e il loro servilismo. E vuole utilizzare i dazi per porre fine a qualsiasi esperienza di Europa condivisa.
I dazi come strumento per demolire lo Stato sociale europeo
In tal modo, non ci sarebbero più veri concorrenti per l’economia produttiva statunitense, con il conseguente afflusso di intere filiere entro i confini americani. Non ci sarebbe più alcun dubbio in merito alla destinazione della grande massa di risparmi europei verso i listini americani e, soprattutto, verso il pericolante debito americano. Allo stesso modo il dollaro, dopo la dissoluzione dell’euro generata dalla fine dell’eurozona, tornerebbe a rafforzarsi in maniera evidente. Potendo, peraltro, definire con le singole valute nazionali delle politiche monetarie più o meno accondiscendenti, a seconda della subordinazione politica ed economica agli Stati Uniti. Come del resto è avvenuto per decenni.
Se l’Europa si trasforma nell’insieme sempre più conflittuale di Stati che riconoscono nell’impero americano il loro principale elemento di sopravvivenza economica, si aprirà una ulteriore nuova fase della globalizzazione neoliberale. Questa volta contraddistinta in toto da una accettazione del modello a stelle e strisce che imporrà lo smantellamento totale degli Stati sociali e l’affermazione di un’ulteriore, gigantesca ondata di privatizzazioni affidate ai grandi fondi, a cui Trump affiancherà la propria finanza.
Con la guerra dei dazi, infatti, gli Stati Uniti renderanno impossibile qualsiasi idea di debito pubblico comune europeo, che individueranno come “penalità” da punire appunto con i dazi nei confronti dei Paesi che dovessero sostenerlo. Così come proibiranno qualsiasi idea di tassazione sulle Big Tech e sulle piattaforme digitali.
Dazi e riarmo: come gli Stati Uniti spingono l’Europa ad aumentare la spesa militare
I singoli Stati europei che vorranno trattare condizioni più miti di asservimento doganale dovranno votare contro ogni ipotesi di tal genere. E difendere quei paradisi fiscali interni indispensabili per le major tecnologiche americane. L’Europa delle micro patrie, dove Trump sosterrà apertamente le forze di destra neofascista, saranno dunque dollarizzate e svuotate di capacità economiche e sociali, con i cittadini trasformati, attraverso il risparmio, in soggetti dipendenti dalle decisioni delle Big Three.
Naturalmente resterà saldamente in piedi la Nato. Per mantenere l’occupazione di vaste aree dell’Europa attraverso le basi militari americane, per consolidare la totale dipendenza dagli Stati Uniti nella prospettiva di un sistema di relazioni internazionali solo militari. E per finanziare alcuni settori, molto costosi, dell’economia a stelle e strisce. Gli Stati Uniti, con un costo degli interessi sul debito federale che ha superato ampiamente la spesa militare, hanno bisogno di finanziatori esterni del loro apparato strategico. ReArm Europe servirà proprio a questo. Del resto, tale piano è costruito sui debiti nazionali e non sul debito comune.
I singoli Stati europei si indebiteranno per portare al 5% una spesa militare destinata a una Nato sotto rigoroso comando statunitense, come dimostra l’inenarrabile Rutte. Una spesa indirizzata alle grandi industrie americane di armi e non solo, facendo così impennare costantemente il valore dei loro titoli, insieme a quelli delle società dei singoli Stati europei, naturalmente ampiamente partecipate dalle Big Three. Il costo di quei debiti pubblici, parallelamente, sarà lo strumento di accelerazione dello smantellamento dello Stato sociale.
L’Europa tace sui dazi: un racconto complice e fuorviante
Di fronte a tutto questo stiamo assistendo all’osceno e complice racconto di Ursula von der Leyen, della Commissione, dei governi volenterosi e non, della «amicissima di Trump» Giorgia Meloni, dei cantori di un surreale realismo della schiavitù à la Gentiloni, à la Letta e via dicendo. Un racconto per cui occorre continuare a trattare, per evitare pericolosi strappi con Trump. Ma la verità è un’altra: il capitalismo statunitense è in profonda crisi, ha bisogno dei dazi, del recupero della credibilità del proprio debito e del dollaro. E l’Europa deve immolarsi in tale direzione.
La classe dirigente europea neoliberale è disposta a farlo, perché teme il crollo di quel sistema di cui è coerente espressione. Mentre i presunti sovranisti immaginano di essere i vassalli prediletti dell’imperatore. Puntando a salvare quei gruppi sociali che hanno accettato di vivere in un mondo dominato dalle disuguaglianze, dove l’egoismo della singola condizione, del tutto temporanea e precaria, prevale su ogni considerazione collettiva. Secondo una logica che vale per i super ricchi come, purtroppo, per i più poveri, che dalla narrazione dominante sono stati privati della coscienza di sé.
Ma questo capitalismo, nonostante il suicidio europeo, non è più credibile proprio per la stessa debolezza americana. La cui crisi profonda è colta dai “padroni del mondo”, solerti a sostituire i dollari con i bitcoin e a operare una gigantesca rapina del risparmio in ogni parte del Pianeta. E, soprattutto, dal nuovo mondo produttivo. A cominciare dalla Cina, che sta aspettando, senza fretta, il definitivo declino dell’Occidente. A cui è mancata qualsiasi volontà di affrancarsi realmente dal dominio imperiale degli Stati Uniti.
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