Il caso Francia-paracetamolo: se la finanza compra anche le medicine

Permettendo la cessione del Doliprane al fondo speculativo Cd&R, la Francia regala il suo farmaco più diffuso alla speculazione finanziaria

La speculazione finanziaria non risparmia nemmeno il Doliprane © Ptyx/Wikimedia Commons

Tra i beni essenziali che diventano strumento di speculazione finanziaria non poteva mancare il paracetamolo, uno dei farmaci più diffusi al mondo. Accade in Francia, tra una crisi di governo e l’altra. Dove Sanofi si prepara a vendere al fondo d’investimento statunitense Clayton Dubilier & Rice (Cd&R) il 50% di Opella, la sua società di farmaci da banco che produce e commercia il Doliprane. Questo non significa ovviamente la finanziarizzazione di tutto il paracetamolo francese, che rimane un farmaco anche generico disponibile a basso costo. Ma il Doliprane, come alcuni noti marchi in altri ambiti, in Francia è per estensione sinonimo del paracetamolo. La si potrebbe definire una sineddoche, dove si indica un nome particolare per rappresentare un concetto più ampio.

Come Scotch per il nastro adesivo, o Borotalco per la polvere di talco, anche Doliprane è diventato il nome comune per indicare il paracetamolo. Basti pensare che in Francia è utilizzato da almeno 36 milioni di persone, che in media ne consumano otto scatole all’anno. Secondo i dati dell’Assicurazione sanitaria obbligatoria (Cmu) francese, nel 2023 sono stati rimborsati a Opella 308 milioni di scatole di Doliprane. Per un importo superiore ai 265 milioni di euro, a rappresentare il 75% dell’intero mercato del paracetamolo venduto Oltralpe. Ecco perché Doliprane è sinonimo di paracetamolo e perché la sua vendita a un fondo speculativo di private equity come CD&R pone serie questioni etiche e politiche. E il Doliprane diventa sineddoche della salute ceduta alla speculazione finanziaria.

Big Pharma e la finanziarizzazione della salute

«Tutto sembra possibile ormai, dopo il gioco di speculazioni finanziarie legate alla ricerca, sviluppo e produzione di nuovi vaccini per contenere la pandemia di Covid-19. Abbiamo visto come persino gli interventi di emergenza internazionale come Covax (il programma globale per l’accesso ai vaccini) sono stati disegnati e implementati per salvaguardare gli interessi e le logiche di profitto delle aziende, finanziate quasi esclusivamente dai fondi pubblici in quella congiuntura», commenta Nicoletta Dentico, responsabile del programma di salute globale di Society for International Development e docente di Salute globale all’università La Sapienza di Roma. «Un precedente che ha riconfigurato il mercato dei vaccini su scala globale e affermato una volta per tutte che la salute è definitivamente espulsa dal territorio del diritto e del bene comune. Per consolidarsi, anche nel caso di una pandemia, nelle maglie incontrollate della finanza».

«Attualmente nel mondo occidentale la produzione di farmaci è completamente nelle mani di Big Pharma. Ovvero di un numero limitatissimo di multinazionali che, attraverso incroci finanziari, spesso agiscono in condizione di monopolio. Obbligando gli Stati ad accettare i prezzi da loro indicati. Come ha dimostrato il caso Avastin-Lucentis in campo oculistico», spiega Vittorio Agnoletto, docente a contratto di Globalizzazione e politiche della salute all’università degli Studi di Milano. «Quando questo non avviene il farmaco non è reso disponibile in quel Paese. Inoltre, non sono rari i casi nei quali anche un farmaco approvato ed inserito nella farmacopea ufficiale improvvisamente scarseggia o addirittura diventa introvabile. La casa produttrice ha valutato che non è più di suo interesse proseguirne la produzione».

La crescita esponenziale del settore farmaceutico

Sanofi è uno dei più grandi gruppi farmaceutici al mondo. Con sede a Parigi, nel 2023 ha fatturato oltre 43 miliardi di euro con 5,5 miliardi di utile. Nel 2013 fatturava 31 miliardi con 3,7 di utile, nel 2003 fatturava 8 miliardi con 2 di utile, giusto per capire la crescita esponenziale del gruppo e del comparto farmaceutico in generale.

In Europa, guardando ai dati esposti nell’ultimo Piano Draghi, il settore farmaceutico rappresenta il 5% del valore aggiunto all’economia di tutta la produzione manifatturiera. E i prodotti farmaceutici rappresentano quasi l’11% delle esportazioni dell’Unione europea. A livello globale si parla del quarto più grande mercato al mondo in termini di vendite nette e del terzo in termini di profitti complessivi, dato che muove una cifra superiore a 1,2 milioni di miliardi di euro.

L’interesse dei fondi di investimento per la salute

Ecco perché sempre più fondi d’investimento sono interessati a investire in questo settore, che si tratti di marchi, industrie, ospedali, assicurazioni sanitarie, farmacie. Ecco il motivo della ipervalutazione di 16 miliardi di euro (circa 14 volte l’ebitda, margine operativo lordo, previsto per quest’anno) per il 50% di Opella, il marchio di farmaci da banco controllato di Sanofi che commercia il Doliprane. Oltre a altri marchi di medicine molto noti, come Maalox, Toplexil, Aspegic, Maxilase e Lysopaïne.

Il fondo in questione, Clayton Dubilier & Rice, non è invece propriamente un gigante. Alla fine del 2023 gestiva nel suo portafoglio asset per un totale di 57 miliardi di dollari. Una cifra molto inferiore a quella delle controparti americane Kohlberg Kravis Roberts (553 miliardi) o Blackstone (mille miliardi). Tutti fondi di private equity. La cosa più interessante, infatti, non è la potenza economica di Cd&R. Ma che il fondo che si sta comprando il Doliprane, ovvero il paracetamolo francese, è un fondo di private equity. Ovvero, in buona sostanza, un fondo che non è quotato in Borsa e quindi non risponde alle regole dei mercati e che è quasi sempre costruito da altri fondi con l’unico scopo di accrescere il valore di un bene per rivenderlo. E Cd&R negli anni ha investito pesantemente nel comparto salute e benessere, a dimostrazione di quanto valga per gli speculatori.

Il Doliprane in Francia è un caso politico

«I processi di privatizzazione e finanziarizzazione della salute sono strettamente interconnessi», spiega Nicoletta Dentico. «Man mano che anche i Paesi tradizionalmente dotati di sistemi di welfare sanitario abbandonano la salute pubblica nelle mani dell’industria privata – come avviene in Francia, in Italia e in altri Paesi europei – si spalanca una gamma infinita di opzioni di finanza creativa da mettere in campo».

Ecco perché la vendita del Doliprane a un fondo di private equity americano, annunciata alla fine di ottobre del 2024, è diventata subito un caso politico in Francia. Anche se il presidente Emmanuel Macron, tra una crisi di governo e l’altra, non si è mai posto il problema di impedirla. Ha solo offerto generiche rassicurazioni sul mantenimento dei siti produttivi e dei 1.770 posti di lavoro in Francia di Opella, sugli 11mila totali dell’azienda che opera in oltre 100 Paesi con 13 siti produttivi.

«Bisogna sostenere il progetto di un’azienda pubblica del farmaco»

Per il resto, il governo francese si è limitato a fare in modo che il fondo di investimento statale Bpifrance (Banca pubblica d’investimento francese, nata nel 2012) entrasse nel cda di Opella. Con un investimento tra i 100 e 150 milioni di euro per una partecipazione compresa tra l’1% e il 2% della società. Poi basta, sulla faccenda è calato il silenzio. E la salute e la medicina continueranno non solo a essere private e privatizzate, ma sempre più in mano alla pura speculazione finanziaria. Una sineddoche della nostra epoca.

«Gli unici strumenti che uno Stato ha a sua disposizione per contrastare tali scelte, ammesso che ne abbia la volontà politica, è ampliare o restringere l’accesso di quell’azienda al mercato nazionale. E facilitare o meno la sua politica industriale. Questi strumenti, già estremamente limitati, sono destinati a perdere ogni efficacia se l’interlocutore non è più un’azienda con interessi industriali, ma un fondo finanziario che basa il proprio successo su logiche speculative e dove la produzione materiale è un elemento assolutamente secondario», conclude Agnoletto.

«Più che diventare azionista del fondo in questione, come avvenuto in questo caso, gli Stati europei dovrebbero sostenere il progetto della costruzione di un’azienda pubblica europea del farmaco. Così come auspicato dal Parlamento europeo, in contrasto con la posizione della Commissione europea».