Elezioni Ue, e se Greta & Co. facessero volare i Verdi in Europa?
Le prossime elezioni potrebbero essere uno spartiacque: le proteste studentesche pro-clima potrebbero incidere. Ma anche la voglia dei governi di abbandonare la regola dello Spitzenkandidaten
Le benevole affermazioni del presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani nei confronti di Mussolini sono l’esempio dello stato febbrile, se non confusionale, in cui è precipitato l’establishment dell’UE in prossimità delle elezioni di maggio. L’imbarazzante questione dei finanziamenti Bayer-Monsanto – produttore del famigerato glifosato – al gruppo dei liberali ALDE guidato dall’esagitato belga Guy Verhofstadt, ha di fatto seppellito l’annunciata alleanza elettorale con il movimento macronista En Marche.
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I travagli PPE e dei Verdi francesi
Nel frattempo, continua la saga all’interno del PPE, il più folto gruppo politico a Strasburgo, con le pressioni a cui è sottoposto Manfred Weber, il candidato alla presidenza della prossima Commissione, per cacciare dalla famiglia europea dei popolari il primo ministro ungherese Viktor Orbàn, troppo a destra e vicino ai movimenti sovranisti europei. Ma la spaccatura rischierebbe di sottrarre voti al PPE. Inoltre, perché cacciare Orban e tenersi Tajani di Forza Italia che elogia Mussolini?
L’ennesimo sussulto pre-elettorale proviene dai Verdi francesi, dopo che Yannick Jadot, capolista alle elezioni di maggio, aveva annunciato la possibilità di allearsi col PPE, i socialisti ed i liberali per creare una “solida maggioranza” anti-populista nel prossimo Parlamento europeo. Eventualità vista con favore dall’ex leader storico Cohn-Bendit, convertitosi al macronismo in nome della bandiera europeista. Ma i più recenti sondaggi posizionano i Verdi francesi intorno all’8%, una percentuale nettamente inferiore alle aspettative di Jadot.
…mentre in Germania e Nord Europa volano
Le rivelazioni sui finanziamenti Bayer-Monsanto all’ALDE, col conseguente sganciamento di Macron dal carro dei liberali, sembrano aver mischiato le carte nell’ipotesi di una “grande coalizione” centrista.
Probabilmente, saranno i Verdi tedeschi a decidere i nuovi equilibri di potere se, come sembra, dovessero confermare le loro recenti affermazioni elettorali nazionali.
L’emergere dei vari movimenti studenteschi a favore di azioni più incisive nella lotta al cambiamento climatico ha prodotto un effetto elettrizzante anche in Belgio e Olanda, prendendo in contropiede i partiti di sinistra e facendo avanzare notevolmente i Verdi nei sondaggi, dopo la loro netta vittoria nelle recenti elezioni locali.
Lo “spitzenkandidaten” sotto attacco dei governi nazionali
Ma la frenesia elettorale dei parlamentari non deve far dimenticare che, alla fine, i governi nazionali potrebbero riprendersi l’esclusiva della nomina del presidente della Commissione. Infatti, la scelta parlamentare dello “Spitzenkandidaten” – in tedesco naturalmente – alla guida della Commissione, cioè del candidato scelto dal partito che riceve più voti alle elezioni, non è sanzionata dal Trattato di Lisbona.
Questo prevede che il Consiglio europeo, dopo appropriate consultazioni e deliberando a maggioranza qualificata, proponga al Parlamento il candidato alla carica di presidente della Commissione. Il Parlamento elegge quindi il Presidente a maggioranza dei membri che lo compongono.
Per questo motivo, sono in corso trattative parallele tra gruppi politici e governi, in primo luogo quelli tedesco e francese, per verificare la possibilità di accordarsi su un candidato comune, in modo da evitare un possibile scontro di potere tra le istituzioni UE in un momento estremamente delicato per la loro credibilità.
Dal cilindro potrebbe saltar fuori il navigatissimo Barnier?
Il nome più quotato è quello dell’attuale responsabile dell’UE dei negoziati sulla Brexit, Michel Barnier. Navigatissimo politico francese, decorato con la Legion d’Onore, consigliere del presidente Sarkozy, ministro nazionale e membro del parlamento europeo, commissario europeo ad interim e finalmente nominato nel 2015 consigliere speciale per la politica europea di sicurezza e di difesa di Juncker, Barnier ha solidissimi agganci atlantici e, soprattutto, non è stato mai coinvolto in affari poco chiari, al contrario di Juncker, incappato nel 2013 in una oscura, inquietante storia di spionaggio e atti terroristici che ne causò le dimissioni da primo ministro lussemburghese.
Un episodio che avrebbe influito sulla sua nomina a presidente della Commissione l’anno successivo, in quanto ritenuto ricattabile e quindi manovrabile, anche dagli stessi ambienti frequentati da Barnier in quel periodo. Come di prassi, i percorsi del potere reale a Bruxelles si snodano tra la Rue de la Loi e il boulevard Léopold III. Il rinnovo delle istituzioni UE nei prossimi mesi difficilmente modificherà questo equilibrio.