«Dateci tutte le vostre impronte». La strana richiesta Ue per chi vuole il visto

Se anche l'Europarlamento approverà, la Ue esigerà di ricevere le impronte digitali da qualunque cittadino extra-Ue chieda un visto. A partire dai 6 anni di età

Roberto Ferrigno
Roberto Ferrigno
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Il 19 dicembre 2018, il Consiglio dei ministri Ue ha raggiunto una posizione comune sulla proposta della Commissione di modificare tramite Regolamento il Visa Information System (VIS) – il sistema che regola il rilascio dei visti ai cittadini non UE – in modo da “garantire una migliore sicurezza” dei confini dell’Unione. La parola passa ora al Parlamento europeo, in vista del negoziato finale.

Una banca dati con decine di milioni di impronte e foto

Il VIS è una banca dati utilizzata da tutti gli Stati Schengen per fornire assistenza nell’elaborazione delle domande di visto per soggiorni di breve durata, ad esempio rendendo possibile vedere se una persona ha presentato domande precedenti e se ha avuto esito positivo o meno.

Le norme in materia di trattamento dei visti obbligano tutti i richiedenti i visti per soggiorni di breve durata a fornire una varietà di dati personali, tra cui una fotografia e scansioni di tutte e dieci le impronte digitali, per l’archiviazione nella banca dati centrale del sistema di informazione visti (VIS). Questa può attualmente contenere fino a 52 milioni di domande di visti per soggiorni di breve durata.

Secondo la proposta sarà necessario aggiungere dati su circa 22 milioni di visti per soggiorni di lunga durata e permessi di soggiorno rilasciati dagli Stati membri. Finora infatti, per quanto riguarda questi ultimi, spetta agli Stati membri decidere quali informazioni vengono fornite dai richiedenti.

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Addio proporzionalità

La proposta della Commissione, volta ad armonizzare le informazioni che saranno memorizzate nel sistema centrale, comprende una disposizione che introdurrebbe un requisito biometrico obbligatorio – la scansione delle impronte digitali per i bambini a partire dei 6 anni di età e di una foto – per cui non c’è stato alcun tentativo di dimostrarne la necessità o proporzionalità.

Eppure tale dimostrazione è un requisito ai sensi della Carta dei diritti fondamentali in quanto la Commissione intendere raccogliere dati sensibili da un numero enorme di individui. In una singolare coincidenza, lo stesso 19 dicembre, le autorità europee per la protezione dei dati riunite nel VIS Supervision Coordination Group (SCG) hanno inviato al Consiglio una lettera in cui criticano fortemente le proposte della Commissione europea, sostenendo – tra l’altro – che l’età per la presa delle impronte digitali dei minori è troppo bassa, l’accesso ai dati sui visti da parte delle autorità di contrasto e la durata indeterminata di memorizzazione dei visti per soggiorni di lunga durata e dei permessi di residenza nel database non soddisfano gli standard di protezione dei dati e dei diritti fondamentali.

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Perché il ritardo nel sottoporre agli Stati Ue la lettera di critiche?

Ma, in un’ancora più singolare circostanza, la lettera dello SCG è stata distribuita agli Stati Membri solamente il 20 dicembre, il giorno dopo che questi hanno unanimemente adottato la proposta della Commissione, senza proporre alcuna modifica al testo. Il sito Statewatch.org ha prontamente riferito della lettera, pubblicandola dall’archivio del Consiglio il 21 gennaio 2019.

Ma il link all’archivio del Consiglio in breve tempo ha cessato di funzionare. La lettera è dunque per il momento illeggibile nella sua intierezza, sebbene alcuni estratti siano pubblicati sulla pagina web di Statewatch.

Come già riportato in precedenza, la Commissione ha recentemente proposto – senza alcuna giustificazione se non quella della “sicurezza” – di rendere obbligatorio l’uso delle impronte digitali per ottenere una carta d’identità nazionale a partire dai 12 anni di età.

Dati questi sviluppi, l’unica conclusione logica che si può trarre è che l’obiettivo finale è quello di raccogliere le impronte digitali di tutti coloro che vivono all’interno dell’UE – a partire dai 6 anni se di provenienza extra-UE – per razionalizzare e rendere “leggibili” i loro movimenti per le autorità nazionali, incluse le forze dell’ordine. Una gigantesca operazione di monitoraggio e controllo che coinvolgerebbe oltre 400 milioni di individui.