Finanza sostenibile: per favore facciamo chiarezza
C'è grossa crisi, la rubrica di Andrea Baranes che vi spiega perché dovete interessarvi di finanza. Prima che la finanza si interessi di voi
Alcuni Paesi europei minacciano di porre il veto a una parte della normativa sulla finanza sostenibile, dietro la pressione della lobby del gas. In una lettera alla Commissione, tali Paesi si sarebbero lamentati dei criteri giudicati eccessivamente stringenti, chiedendo che il gas venga annoverato per lo meno tra i combustibili “di transizione” verso la sostenibilità.
Ricordiamo che tale percorso non è pensato per impedire il finanziamento di determinate attività, ma solo per definire quali siano sostenibili, in modo che un risparmiatore possa scegliere un fondo di investimento o altro prodotto finanziario in maniera più informata e consapevole. La pressione esercitata dalle lobby in qualche modo conferma come l’attenzione del pubblico e dei risparmiatori sia cresciuta enormemente, tanto da mettere paura ai settori che ne verrebbero esclusi.
Ricordiamo anche che, al contrario, pur valutando favorevolmente il percorso europeo molte critiche vanno in direzione opposta e giudicano la definizione di sostenibilità dell’UE troppo debole. In primo luogo per il focus quasi esclusivo sull’ambiente e la carenza di analisi su diritti umani, speculazione o altri temi cruciali.
Sta di fatto che, con il primo regolamento pensato per entrare in vigore il prossimo 10 marzo, la situazione appare sempre più incerta. La mossa dei governi europei segue un’altra notizia per lo meno inusuale. Anche le tre Autorità di vigilanza europee su questioni finanziarie (EBA per le banche, EIOPA per i fondi pensione e le assicurazioni, ESMA per i mercati) hanno scritto congiuntamente alla Commissione europea segnalando «diverse importanti aree di incertezza nell’interpretazione del regolamento».
Aree tutt’altro che secondarie. Una tra tutte riguarda l’articolo 9, che definisce i prodotti finanziari che hanno per obiettivo un investimento sostenibile. Le Autorità di controllo si trovano a domandare se per rispettare tale norma i prodotti debbano investire unicamente in investimenti sostenibili. O se, al contrario, è richiesta una soglia minima di investimenti sostenibili. O ancora se c’è una soglia massima di “altri” investimenti ammessi.
Come dire che a oggi non è ancora chiaro se un fondo sostenibile potrà avere al suo interno anche titoli di aziende che inquinano o violano i diritti umani. Se tali domande se le fosse poste un singolo risparmiatore sarebbe già degno di nota. Il fatto che vengano dalle tre Autorità di controllo su strumenti e mercati finanziari che hanno seguito tutte le fasi del percorso è decisamente preoccupante, per non dire di peggio. Se non lo capiscono loro, figuriamoci la situazione per i gestori e le società finanziarie. E se è difficile, se non incomprensibile, per le società del settore, figuriamoci per il singolo risparmiatore che volesse scegliere un prodotto finanziario in accordo con i propri valori.
Da un lato non si capisce cosa possa essere incluso. Dall’altro le lobby spingono per includere anche alcuni combustibili fossili. E ancora manca un percorso su temi sociali e di governance per arrivare a una visione più completa. Contrastare i cambiamenti climatici è tanto cruciale quanto urgente. La finanza ha un impatto enorme, e deve trasformarsi da parte del problema a parte della soluzione. Il regolamento europeo va in questa direzione, ma se a meno di due mesi dalla sua introduzione siamo messi così, probabilmente rimane molta, ma molta strada da fare perché la finanza possa diventare sostenibile. Qualsiasi cosa oggi questa parola significhi.