La fine della sostenibilità
L’Unione europea ha autorizzato il primo fondo “sostenibile” che investe in armi, svuotando di significato l’idea stessa di finanza sostenibile
Era nell’aria da tempo, ieri è diventato ufficiale. Il primo fondo europeo che investe esplicitamente in armi è stato autorizzato dall’Unione europea a essere classificato come “sostenibile”.
Armi sostenibili. Com’è possibile?
Da diversi mesi il riarmo è al centro dell’agenda europea. Forse l’unica priorità assieme all’onnipresente competitività. Lo sforzo delle istituzioni è rivolto a come convogliare una massa crescente di capitali verso l’industria delle armi. Uno sforzo che riguarda tanto la finanza pubblica (con il piano ReArm Europe da centinaia di miliardi di euro) quanto quella privata.
Su questo fronte si lavora alla direttiva Saving and Investment Union, ovvero una serie di misure per sviluppare il mercato finanziario europeo. Tra le priorità, quella di convogliare i 10mila miliardi di euro che i cittadini europei detengono sui loro conti correnti bancari verso investimenti finanziari. In quali imprese e settori appare scontato, visto il clima di militarizzazione attuale.
Ma non era ancora sufficiente promuovere normative per fare si che i nostri soldi sui conti correnti possano finire in armi. Ogni risorsa disponibile deve essere impiegata. Anche quelle che esplicitamente chiedono di non farlo.
Ed ecco allora che dallo scorso anno si sentono voci, prima timide poi sempre più esplicite, che segnalano come anche le armi – o meglio «il settore della difesa» – può essere considerato un investimento sostenibile. Si fanno strada slogan come «non c’è sostenibilità senza sicurezza». Si segnala come prendendo alla lettera definizioni e normative europee di finanza sostenibile non ci sia alcun divieto esplicito ad includere le armi.
Un salto di qualità avviene con la pubblicazione del Rapporto Draghi sul futuro della competitività europea, dove si legge che «l’accesso ai finanziamenti [per la difesa] è spesso ostacolato dall’interpretazione data dalle istituzioni finanziarie ai quadri di riferimento dell’Ue per la finanza sostenibile e ai quadri di riferimento ambientali, sociali e di governance (Esg)».
La sostenibilità diventa “un ostacolo”
Forse occorre fermarsi solo un attimo. Sono oltre due secoli che la definizione di finanza sostenibile si fonda sull’esclusione dell’industria delle armi. Già nel XVIII secolo alcuni fondi religiosi negli Stati Uniti decidono di non investire nelle «azioni del peccato». Tra i primi, la comunità protestante dei quaccheri che esclude in particolare due settori: le industrie implicate nella tratta degli schiavi e quelle legate alla guerra. Ovvero l’industria delle armi. Una posizione ribadita con forza dalle principali reti di banche che fondano il proprio operato sulla sostenibilità, come la Federazione europea delle banche etiche e alternative (Febea) o la rete internazionale Global alliance for banking on values (Gabv).
È sempre stato cosi, da duecento anni a questa parte. Fino a ieri. Da oggi, anche un fondo che investe in armi può essere sostenibile. Attenzione non parliamo di un fondo che investe in una pluralità di settori e marginalmente in armi, ma centrato esclusivamente su investimenti in imprese del settore della difesa.
Se state legittimamente pensando che se tutto è sostenibile nulla lo è più, in realtà il fondo ha adottato alcuni criteri per dimostrarsi “sostenibile”. Vengono escluse le armi controverse, bontà loro. Il fondo non può investire – per il momento? – in imprese coinvolte nella produzione di mine antiuomo, armi chimiche o biologiche o uranio impoverito. La ciliegina sulla torta è però la decisione di escludere le imprese che producono oltre il 5% dei ricavi dal tabacco.
Costruire cacciabombardieri o bombe atomiche è sostenibile, coltivare tabacco assolutamente no. Siamo oltre la soglia del ridicolo. Ci sarebbe da ridere se la situazione non fosse tragica. Quello che è successo ieri non riguarda il settore delle armi. Con la decisione presa, è stato spazzato via il percorso intrapreso quasi dieci anni fa dall’Unione europea per definire e inquadrare la finanza sostenibile.
Se tutto è sostenibile, nulla lo è più
L’avevamo scritto un anno fa. Sei vegetariano, vai al ristorante e ti danno una bistecca dicendoti che da oggi anche la carne rientra nelle definizioni di vegetariano. L’unica possibilità è iniziare a chiamare le cose in modo diverso. Non dirai più che sei vegetariano, ma troverai un’altra parola per riuscire a mangiare quello che vuoi.
Questo è avvenuto ieri con il termine “sostenibilità”. Ricordiamo che dire che le armi non possono rientrare in questa definizione non significa in alcun modo vietarne il finanziamento. Significava – fino a ieri – che chi non voleva che i propri soldi andassero in armi aveva un termine per esprimerlo.
È questo che è in gioco oggi in una Europa nata e fondata sulle libertà individuali, la libertà di movimento dei capitali e i mercati finanziari. È ancora cosi? Come cittadino ho ancora il diritto di potere scegliere come e dove investire i miei soldi? Sarò ingenuo, sbaglierò, non è questo il punto. Ho il diritto di dire che voglio investire in alcune imprese e non altre? Ho il diritto di esercitare le mie libertà individuali o oggi in Europa sono costretto a impiegare i miei soldi e i miei risparmi come deciso da qualche istituzione?
Se ho ancora tali diritti, come faccio a esercitarli se mi rubano le parole per poterlo fare? Da domani i milioni di risparmiatori e clienti che non vogliono che i loro risparmi vadano in armi, avranno una parola per poterlo dire? Possiamo cortesemente chiedere alle istituzioni europee di metterci d’accordo e lasciarcene una? La chiameremo finanza etica, finanza disarmata, finanza pincopallino o qualsiasi altro termine. E smetteremo di utilizzare l’espressione finanza sostenibile, che ufficialmente da ieri non significa più nulla.
Anzi, magari terremo bene in evidenza l’espressione “armi sostenibili”. Potremmo scolpirla accanto a “la guerra è pace”, sulla facciata del Ministero della Verità. Ah no, quello era il romanzo 1984 di Orwell. Ai tempi della neolingua, diventa difficile ricordarsi che era un’opera di fantasia.




1 Commento