La Tangentopoli che non è mai esplosa: per il bene tedesco e della Ue
Diversamente dall'Italia, in Germania le indagini sugli ingenti fondi neri della CDU di Kohl sono state insabbiate. Una "scelta" che ha favorito la locomotiva continentale
Una sera stavo facendo zapping annoiato sul divano e mentre saltavo dagli orsi canadesi alla resa di Stalingrado, mi sono imbattuto in “Bimbes – Die schwarzen Kassen des Helmut Kohl” (La grana – I fondi neri di Helmut Kohl) un reportage realizzato nel 2017 dalla TV pubblica tedesca sui finanziamenti illegali al cancelliere della riunificazione, scomparso proprio in quell’anno, a al suo partito, la CDU, guidata fino al dicembre 2018 da Angela Merkel, delfina dello stesso Kohl.
La grana – I fondi neri di Helmut KohlMan mano che scorrevano le immagini mi chiedevo perché nessuno dei miei amici tedeschi mi avesse mai detto nulla di quello che stavo vedendo e cercavo di ricordare manifestazioni nelle grandi città della Germania con lanci di monetine, bave alla bocca in interrogatori, manette, pubblici ministeri superstar. Niente di niente. Sembrava che tutto fosse accaduto senza lasciare traccia. E sicuramente senza conseguenze politiche di rilievo, visto che la CDU esiste ancora e, anche se non gode di ottima salute, sta governando la Germania da 14 anni consecutivi.
Il patto col diavolo di Helmut Kohl
Per farla breve, tutta la carriera di Kohl, dagli esordi come governatore della regione Rheinland-Pfalz, nel 1969, alla nomina come capo della CDU, nel 1973, al primo mandato come cancelliere, nel 1982, fino all’uscita di scena del 1998, sarebbe stata fortemente voluta e finanziata dall’industria tedesca, con una serie di trasferimenti illeciti di denaro veicolati attraverso associazioni non profit, ordini religiosi e, più tardi, società di comodo e conti correnti in Svizzera e Liechtenstein.
In tutto, solo dai conti svizzeri, come ricostruito dalla magistratura, sarebbero finiti nelle disponibilità di Kohl e del suo partito circa 200 milioni di euro.
Solo per fare un confronto con le cifre più rilevanti emerse nel corso delle inchieste di Mani Pulite, i fondi neri dell’Eni consegnati in contanti alla DC e al PSI sono stimati in 25 milioni di euro (in base a quanto confessato da Pierfrancesco Pacini Battaglia), mentre la maxi-tangente Enimont sarebbe stata pari a oltre 75 milioni di euro. Bazzecole in confronto alla Germania.
la requisitoria del pm Antonio Di Pietro al processo Cusani (maxitangente Enimont)Il gruppo Flick, motore dei finanziamenti illeciti
A guidare la prima fase dei presunti pagamenti illegali a Kohl, negli anni settanta del secolo scorso, è Eberhard von Brauchitsch, a capo del gruppo Flick, deceduto nel 2010. Un gruppo – venduto nel 1985 – che produceva di tutto, dai carri armati alle vasche da bagno, dalle caldaie agli asciugamani di carta.
A Flick si sarebbe poi aggiunta la Henkel (Dixan, Vernel, Bio-Presto, Perlana, Pritt, solo per citare alcuni marchi), tanto che Kurt Biedenkopf, membro del comitato esecutivo del colosso della chimica, nel 1973 si dimette per diventare segretario generale della CDU a guida Kohl e braccio destro del futuro cancelliere.
La stessa elezione di Kohl a segretario della CDU, nel 1973, sarebbe stata resa possibile dall’eliminazione del suo principale avversario, Rainer Barzel, che ricevette da Flick circa 867mila Euro in dieci rate annuali dal 1973 al 1982 e si dimise da ogni carica nel 1984, nel pieno dello “scandalo Flick”.
Kohl mente su tutta la linea
Uno scandalo che parte nel 1975, da un’inchiesta della guardia di finanza tedesca sul gruppo industriale e si trascina fino al 1987. Alla fine vengono condannati von Brauchitsch (a due anni sospesi con una pena pecuniaria di 550mila marchi) e due politici del partito liberale FDP (con una sanzione pecuniaria). Gli si riesce però a contestare “solo” il reato di evasione fiscale, mentre non si riesce a dimostrare che i pagamenti fossero riusciti a influenzare particolari decisioni politiche.
Helmut Kohl, il maggiore destinatario delle misteriose “donazioni”, si salva. Alla commissione parlamentare di inchiesta dice di non aver mai saputo dei pagamenti. Mentre il tesoriere della CDU, Uwe Lüthje, mente su tutto per coprire le spalle al cancelliere (come avrebbe ammesso molti anni dopo).
La riunificazione spegne gli ardori giustizialisti
Poi arrivano la caduta del muro (1989) e la riunificazione (1990) e tutto viene avvolto nel “mantello della storia”. Kohl diventa l’eroe della Germania unita e dei fondi neri non si parla più. Anche se il denaro dell’industria continua a scorrere, in particolare verso la Norfolk-Stiftung, una fondazione creata ad hoc in Liechtenstein.
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I sospetti riemergono negli anni novanta, con nuovi scandali, e alla fine Helmut Kohl, nel dicembre del 1999, un anno dopo la sua uscita di scena come cancelliere, decide che la migliore difesa è l’attacco e chiede un’intervista al canale pubblico ZDF.
Nel corso dell’intervista Kohl non dice nulla di Flick, dei conti in Svizzera e Liechtenstein o del sistema di “donazioni”.
Il cancelliere racconta una storia completamente diversa: avrebbe ricevuto donazioni dal 1993 al 1998 per circa 2,1 milioni di marchi (poco più di un milione di euro), che non figurano nella contabilità della CDU perché i 4-5 donatori «hanno chiesto di non essere nominati» e «ho dato loro la mia parola d’onore».
Magistratura e opinione pubblica drogate di realpolitik
Una grande operazione di distrazione di massa. Per mesi la stampa e l’opinione pubblica si arrovella per capire chi fossero quei misteriosi benefattori. Alla fine, nel 2015, in un’intervista, l’allora ministro delle finanze Wolfgang Schäuble (CDU), esce allo scoperto e spiega che le donazioni a cui ha fatto riferimento Kohl «non esistono. Perché è dai tempi di Flick che c’erano i fondi neri. È stata tutta una costruzione di Kohl».
Il grande statista, che ha fatto un patto col diavolo all’inizio della sua carriera politica e non ne è mai uscito. Ed è stato al centro di un sistema di presunti finanziamenti illeciti che la CDU di Angela Merkel non ha mai completamente chiarito. In un Paese nel quale, a differenza dell’Italia, il potere dei grandi partiti del dopoguerra, è stato preservato di fronte a una magistratura impotente e a un’opinione pubblica che, nonostante tutto, non si è mai scagliata con violenza contro la classe politica. Per il bene della Germania e dell’Europa, si potrebbe dire oggi, con tonnellate di senno di poi.