Greenwashing, Bruxelles tenta di difendere i consumatori

La Commissione europea ha presentato una direttiva contro il greenwashing delle aziende. Ma con un testo annacquato rispetto alla prima bozza

Molte etichettature che indicano il rispetto di criteri ambientali sono in realtà greenwashing © Olivier Le Moal/iStockPhoto

Presto i consumatori europei potrebbero avere a disposizione uno strumento per valutare l’impatto climatico dei prodotti che acquistano. La Commissione di Bruxelles ha presentato mercoledì 22 marzo il proprio piano col quale si punta ad “eliminare il greenwashing dalle etichette e dalle pubblicità”. Un pacchetto che prevede anche che possano essere comminate sanzioni alle aziende. E che esse siano sufficientemente pesanti da rappresentare un deterrente.

Il 93% delle etichette o pubblicità vago, fuorviante o privo di prove

La proposta di direttiva parte dalla constatazione che, nella stragrande maggioranza dei casi, i richiami alla natura “ecologica” o “amica dell’ambiente” o le promesse “zero CO2” o “impatto zero” dei prodotti sono infondati. Per le aziende, infatti, mostrarsi il più possibile sostenibili è diventato ormai una necessità nelle loro strategie di comunicazione.

Un’analisi della testata belga La Libre Belgique, però, indica che su 150 annunci esaminati dalla Commissione nel 2020, più della metà (il 53%) conteneva informazioni “vaghe o fuorvianti”. Mentre il 40% non poggiavano su alcun elemento concreto. E ad essere coinvolti sono praticamente tutti i settori economici: dall’alimentare all’elettronica di consumo, passando per la cosmetica.

Dubbi sull’applicazione concreta dell’impianto sanzionatorio

Di qui la volontà di introdurre degli “standard comuni” per garantire maggiore trasparenza ai consumatori. Tuttavia, spiega al settimanale tedesco Der Spiegel Ramona Pop, dell’associazione di difesa dei consumatori VZBV, le regole non saranno obbligatorie per le aziende. Ci si baserà infatti sulla “buona volontà” delle stesse. Il che lascia temere che la direttiva si trasformi in un buco nell’acqua. Anche perché fa planare forti perplessità anche sulla possibilità di applicare concretamente l’impianto sanzionatorio.

A pesare potrebbe essere stata soprattutto la pressione esercitata dalle lobby industriali. Non a caso la presentazione della direttiva è stata procrastinata più volte nel corso del tempo. Senza dimenticare, come spiegato dal commissario europeo all’Ambiente, Virginijus Sinkevicius, che “le imprese hanno trovato sistemi estremamente sofisticati per fare greenwashing”.

Gli “standard comuni” anti-greenwashing non saranno obbligatori

Se infatti in una prima bozza della direttiva era stato inserito l’obbligo da parte degli Stati membri di “assicurarsi che le dichiarazioni in materia di ambiente delle aziende siano fondate su prove scientifiche ampiamente riconosciute”, ora il testo è stato decisamente annacquato. Alle imprese è stato concesso un margine giudicato da alcuni eccessivo, in merito al modo in cui sarà possibile fornire tali “prove”.

Allo stesso modo, i governi potranno declinare con un certo margine di approssimazione la direttiva stessa, quando la recepiranno negli ordinamenti nazionali. Il rischio, insomma, è che l’addio al greenwashing sia ancora lontano.