[guest post] Vizi capitali. Un'altra occasione per dire la tua sulla finanza!
Roberto Cuda è il coordinatore del sito www.vizicapitali.org. Uno strumento di informazione per aiutare vedere cosa si nasconde dietro al sistema finanziario. Una iniziativa ...
Roberto Cuda è il coordinatore del sito www.vizicapitali.org. Uno strumento di informazione per aiutare vedere cosa si nasconde dietro al sistema finanziario. Una iniziativa che condivide con Non con i miei soldi! l’urgenza di coinvolgere le persone per cambiare le cose attraverso un uso responsabile del denaro. Ecco il suo post.
Molti si saranno chiesti che fine fanno i propri risparmi una volta depositati in banca. La domanda in sé non ha nulla di strano, ma provate a farla al vostro direttore di filiale e vedrete disegnarsi sul suo volto un’espressione tra l’ironico e il perplesso.
A parte Banca Etica infatti, gli altri istituti non ci tengono affatto a rivelare i propri impieghi, nemmeno per sommi capi. E soprattutto non sono abituati a domande del genere. Eppure dalle loro scelte di investimento dipende l’intero assetto produttivo del paese. Insomma sono loro che decidono cosa, come e quanto produrre, disponendo della liquidità necessaria.
Questo è anzitutto un problema di democrazia, poiché trasferisce sovranità dalli istituzioni rappresentative ai consigli di amministrazione delle grandi banche. Al tempo stesso però consegna al risparmiatore un potere che prima non aveva, poiché l’attività degli istituti dipende in ultima analisi dalle sue scelte di risparmio.
Intendiamoci, non si tratta di un potere facile da esercitare e richiede soprattutto informazione, ma alcune esperienze estere ci dimostrano che è possibile.
Per questo 14 associazioni hanno deciso di fare luce sul settore analizzando il comportamento di 13 banche a partire da 7 indicatori: armamenti, impatto sociale, ambiente, paradisi fiscali, tutela del risparmiatore, nucleare civile e acqua. Tutti dati sono consultabili gratuitamente su www.vizicapitali.org.
L’obiettivo non è di natura intellettuale ma pratica: dare ai risparmiatori uno strumento per cambiare.
Visitando il sito infatti scopriremo che le dieci maggiori banche, soprattutto le più grandi, non si fanno scrupoli nel sostenere i progetti più dannosi pur di aumentare i profitti. Chiediamo allora ai risparmiatori di farsi parte attiva e cominciare a fare pressione sulla propria banca, magari pensando anche a soluzioni più sostenibili.
Potrebbe essere la premessa di un movimento più vasto di “risparmio critico”, come già avviene in altri paesi, capace di condizionare le scelte di investimento del sistema bancario. Negli Usa ad esempio i risparmiatori si sono organizzati e sono riusciti a far chiudere 4 milioni e mezzo di conti correnti presso le grandi banche responsabili della crisi.
Potremmo cominciare a scrivere al nostro direttore di filiale, scaricando il facsimile di lettera dal sito.
L’ideale sarebbe coinvolgere anche il proprio gruppo, la propria associazione o la parrocchia di appartenenza, per aumentare l’impatto della lettera, o organizzare iniziative di sensibilizzazione sul territorio. Non dimentichiamo che il mondo creditizio è molto sensibile alla propria immagine “sociale” (su cui investe parecchi soldi) e fa di tutto per ridurre i cosiddetti “rischi reputazionali”.
Facciamogli capire che investire contro la collettività non è un buon affare.
non ha nulla di strano, ma provate a farla al vostro direttore di filiale e vedrete disegnarsi sul suo volto
un’espressione tra l’ironico e il perplesso. A parte Banca Etica infatti, gli altri istituti non ci tengono affatto
a rivelare i propri impieghi, nemmeno per sommi capi. E soprattutto non sono abituati a domande del
genere. Eppure dalle loro scelte di investimento dipende l’intero assetto produttivo del paese. Insomma
sono loro che decidono cosa, come e quanto produrre, disponendo della liquidità necessaria. Questo
è anzitutto un problema di democrazia, poiché trasferisce sovranità dalli istituzioni rappresentative ai
consigli di amministrazione delle grandi banche. Al tempo stesso però consegna al risparmiatore un potere
che prima non aveva, poiché l’attività degli istituti dipende in ultima analisi dalle sue scelte di risparmio.
Intendiamoci, non si tratta di un potere facile da esercitare e richiede soprattutto informazione, ma alcune
esperienze estere ci dimostrano che è possibile.
Per questo 14 associazioni hanno deciso di fare luce sul settore analizzando il comportamento di 13 banche
a partire da 7 indicatori: armamenti, impatto sociale, ambiente, paradisi fiscali, tutela del risparmiatore,
nucleare civile e acqua. Tutti dati sono consultabili gratuitamente su www.vizicapitali.org. L’obiettivo
non è di natura intellettuale ma pratica: dare ai risparmiatori uno strumento per cambiare. Visitando il
sito infatti scopriremo che le dieci maggiori banche, soprattutto le più grandi, non si fanno scrupoli nel
sostenere i progetti più dannosi pur di aumentare i profitti. Chiediamo allora ai risparmiatori di farsi parte
attiva e cominciare a fare pressione sulla propria banca, magari pensando anche a soluzioni più sostenibili.
Potrebbe essere la premessa di un movimento più vasto di “risparmio critico”, come già avviene in altri
paesi, capace di condizionare le scelte di investimento del sistema bancario. Negli Usa ad esempio i
risparmiatori si sono organizzati e sono riusciti a far chiudere 4 milioni e mezzo di conti correnti presso le
grandi banche responsabili della crisi.
Potremmo cominciare a scrivere al nostro direttore di filiale, scaricando il facsimile di lettera dal sito,
meglio se a sostegno di campagne di pressione già avviate (ad esempio su Intesa Sanpaolo in relazione alle
nuove autostrade lombarde, vd www.fermalabanca.org; o su Unicredit per gli investimenti sul carbone,
www.dilloaunicredit.org; o ancora in relazione agli armamenti sostenendo la Campagna Banche Armate,
www.banchearmate.it). L’ideale sarebbe coinvolgere anche il proprio gruppo, la propria associazione
o la parrocchia di appartenenza, per aumentare l’impatto della lettera, o organizzare iniziative di
sensibilizzazione sul territorio. Non dimentichiamo che il mondo creditizio è molto sensibile alla propria
immagine “sociale” (su cui investe parecchi soldi) e fa di tutto per ridurre i cosiddetti “rischi reputazionali”.
Facciamogli capire che investire contro la collettività non è un buon affare.