Imprese recuperate: in Italia sono 100. E valgono 15mila posti di lavoro

Uccise da finanziarizzazione e malagestione, sono rinate grazie al coraggio dei lavoratori e a una legge che funziona. Scritta nel 1985 da un ex partigiano

fabbrica recuperata o workers buyout WBO Italcables di Caivano, Napoli

Ci sono oltre cento imprese in Italia che non sono come le altre. Attive soprattutto del settore manifatturiero, erano fallite eppure ora sono rinate. Erano fabbriche di un “padrone”, gestite da manager professionisti, finite in disgrazia, ma oggi continuano a produrre. Coinvolgono direttamente 8mila lavoratori, ma ne comprendono circa 15mila grazie all’indotto, per un fatturato superiore a 200 milioni di euro l’anno. A possederle, decidendone strategie e destino, è oggi solo chi ci lavora, perlopiù operaie e operai. Hanno fatto una scelta coraggiosa. Se le sono ricomprate con un unico comune obiettivo: rimanere sul mercato e mantenere l’occupazione.

MAPPA distribuzione workers buyout per regione 1986-2016 – fonte “Workers’ buyout, l’esperienza italiana”

Queste imprese si chiamano “fabbriche recuperate” o workers buyout (spesso anche dette WBO). Ciascuna ha le proprie particolari vicissitudini, ma tutte celano una storia che vale la pena raccontare. Un percorso di rinascita che trae origine ben prima della crisi che le ha colpite, cioè quando venne pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, nel 1985, la legge n°49, detta anche “legge Marcora”. Il suo fautore era Giovanni Marcora, partigiano nella II guerra mondiale, democristiano, ministro dell’Industria nel 1981 durante il governo del repubblicano Giovanni Spadolini.

Workers buyout o fabbriche recuperate?

In realtà imprese recuperate e workers buyout non sono esattamente sinonimi. «La definizione di fabbriche recuperate ha un taglio più sociologico, perché si focalizza sui processi di autonomia e di autogestione dei lavoratori. Workers buyout ha invece un’accezione più collegata alla finanza d’impresa, come leveraged buyout e tutti i processi di acquisizione che non avvengano da parte di un padrone o di un interesse privatistico» precisa Romolo Calcagno, studioso della materia e autore del portale impreserecuperate.it. Una disputa terminologica che si potrebbe ulteriormente approfondire, portandoci fin dall’altra parte dell’oceano, in Argentina. Dove, con la crisi che spesso Valori ha raccontato, si è diffusa l’importante esperienza delle empresas recuperadas por trabajadores. 

TABELLA numero lavoratori workers buyout 1986-2016 – FONTE: “Workers’ buyout, l’esperienza italiana”.

Welfare pagato dai lavoratori e finanza di Stato primi mattoni della rinascita

In Italia, la parabola delle imprese recuperate inizia indubbiamente con la legge 49/85, provvedimento che ha tracciato una strada diversa dalla chiusura, almeno per qualcuno. In particolare mettendo a disposizione strumenti finanziari di supporto per i lavoratori di un’azienda in crisi che decidano di formare una cooperativa. Operazione sempre travagliata ma necessaria per far ripartire l’attività.

GRAFICO raffronto trend di sviluppo workers buyout con disoccupazione e Pil 1986-2016 – fonte “Workers’ buyout, l’esperienza italiana”

Per prima cosa, infatti, questi dipendenti sono costretti a vestire i panni degli imprenditori, costituendo la cooperativa industriale o di lavoro che sarà il fondamento di una nuova società. La cooperativa acquisisce – ma più spesso all’inizio si limita ad affittarlo – un ramo d’azienda, così da poter accedere ai finanziamenti di FonCooper – il fondo nazionale legato alla legge Marcora, rinnovato annualmente. Il fondo dà infatti l’opportunità di vedersi raddoppiato il capitale sociale. Ma la somma iniziale è spesso “lacrime e sangue” dei lavoratori, perché messa insieme investendo la propria indennità di mobilità, la NASpI. Quando è sufficiente.

TABELLA distribuzione workers buyout per regione 1986-2016 – fonte “Workers’ buyout, l’esperienza italiana”

Il finanziamento non è però automatico. Dipende infatti dalle valutazioni che vengono svolte da due cooperative in Italia, Cooperazione finanza impresa (Cfi) e SofiCoop, cioè i veri investitori istituzionali che operano per conto dello Stato. Un passaggio critico durante il quale viene considerato il piano industriale, il progetto di rinnovo della fabbrica. E solo se il report finale è positivo il percorso prosegue e la nuova impresa può ricominciare a lavorare.

Centro Olimpo, la prima volta della GDO si fa in Sicilia

Tante – dicevamo – le storie di queste imprese che meriterebbero di essere raccontate. Come quella del centro ex Aligrup sequestrato alla società di Sebastiano Scuto, coinvolto in una lunga pagina processuale.

Centro Olimpo, fabbrica recuperata o workers buyout a Palermo

La sua storia è una prima volta per un WBO nel mondo della grande distribuzione organizzata: «34 ex dipendenti, sostenuti e coadiuvati da Legacoop Palermo, hanno dato vita alla cooperativa “Progetto Olimpo”, ottenendo prima l’assegnazione dei locali sequestrati alla Romana Costruzioni e poi l’affitto dell’azienda dalla curatela fallimentare della K&K, controllata di Aligrup e anch’essa sottoposta a provvedimento di sequestro».

Un progetto da oltre un milione di euro, di cui oltre 500mila investiti dai cooperatori. Il resto da Cfi e Coopfond, che partecipano come soci sovventori. Mentre Unipol e Banca Etica hanno partecipato concedendo la liquidità necessaria all’avvio dell’impresa.

Centro Moda Polesano, lavoratrici padrone grazie alla professionalità

Da Sud a Nord, il lieto fine è arrivato anche a Stienta (Ro), dopo un buio di quasi 5 mesi di inattività, resi necessari per uscire dalla liquidazione coatta amministrativa avviata a marzo 2018. La rinascita è stata sancita dall’inaugurazione del Centro Moda Polesano il 2 luglio 2018. Una fabbrica portata al collasso non dalla mancanza di capacità, ma dalla crisi internazionale, prima, e da alcune scelte infelici riguardo attività collaterali, poi.

Centro Moda Polesano, fabbrica recuperata o workers buyout a Stienta, Rovigo

Una parabola travagliata che Claudia Tosi, un tempo socia e dipendente di Cooperativa Polesana Abbigliamento e oggi presidente della nuova impresa cooperativa Centro Moda Polesano, ricordava pubblicamente qualche tempo fa: «Quando ti trovi davanti una situazione di quel tipo la prima reazione è di sconforto e di panico, perché sei all’improvviso senza lavoro. Per fortuna, appoggiate, sostenute e guidate da Legacoop Veneto, ci è stata proposta la soluzione del workers buyout. Non tutte hanno aderito, ma 22 lo hanno fatto come socie e altre 11 ci hanno seguito come dipendenti. Oggi siamo in 39, perché nel frattempo abbiamo compiuto altre assunzioni. La spinta è molto maggiore per ciascuna di noi, che siamo socie e ci sentiamo proprietarie della nostra attività, con una grande motivazione. Pur con qualche preoccupazione in più, siamo soddisfatte. E andiamo al lavoro col sorriso».

Centro Moda Polesano, fabbrica recuperata o workers buyout a Stienta, Rovigo – 5

E così la produzione continua: abbigliamento di alta e altissima moda, soprattutto per grandi firme. Per una azienda che realizza capispalla, cappotti e capi invernali, per esempio, ma anche camicie o abiti leggeri da primavera. Una versatilità che è stata tra le chiavi per rimanere sul mercato, quando solitamente nel settore tessile le aziende si specializzano, chi nei capi pesanti e chi in quelli leggeri.

La storia delle imprese recuperate in Italia