Imprese sostenibili: le pagelle “top secret” diventano pubbliche
Le grandi agenzie di rating ESG tolgono il velo sui voti alle imprese in ambito ambientale, sociale e di governance. Merito anche della normativa Ue
Le agenzie di rating ESG hanno una grande responsabilità: è sulla base dei loro voti e delle informazioni che raccolgono sulle imprese in ambito ambientale, sociale e di governance che gli asset manager costruiscono un investimento responsabile e selezionano le aziende da inserire nel cosiddetto portafoglio investibile.
Ma queste pagelle sono sempre state inaccessibili, come i criteri usati per crearle. Non è più così (e questa è una grande svolta). Negli ultimi mesi, una ad una, le principali agenzie specializzate hanno reso i loro rating (magari non proprio tutti) liberamente accessibili, a chiunque.
Potrebbe essere un primo passo per rispondere a quella necessità di chiarezza attorno la valutazione sulla sostenibilità delle imprese da parte dei provider ESG, che da tempo viene chiesta a gran voce.
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Le agenzie di rating ESG aprono i loro archivi
La prima è stata Msci (ex Morgan Stanley Capital International), che, il 25 novembre 2019, ha annunciato di aver reso pubblici i rating ESG assegnati a oltre 2.800 società, tra cui le principali aziende italiane. I rating delle società quotate sull’All-country world index sono ora disponibili sul sito web di Msci, attraverso un apposito strumento di ricerca che fornisce una scheda di sintesi della valutazione assegnata (il rating, la sua evoluzione e il posizionamento dell’azienda). Resterà invece riservato ai clienti un livello di analisi più approfondito. Entro il prossimo anno, poi, saranno resi disponibili anche i rating Esg di 7.500 componenti dell’indice Msci Acwi investable markets index.
È stata poi la volta di Sustainalytics, che ha aperto le porte alle proprie valutazioni. Quindi è arrivata Vigeo Eiris che dalla scorsa estate ha reso accessibili al pubblico le valutazioni sulle principali società quotate.
In cerca di trasparenza, ma non solo
Si tratta di certo di scelte volte a promuovere una maggiore trasparenza. Nel comunicato ufficiale di Msci, Remy Briand, responsabile Esg dell’agenzia, dichiarava che la decisione presa vuole «incoraggiare una discussione aperta tra investitori e aziende su come migliorare la sostenibilità a tutti i livelli», augurandosi che «rendere disponibili le valutazioni ESG di Msci a tutti faciliterà queste discussioni».
Ma è evidente che ci sono anche altre motivazioni alla base di tale scelta. Innanzitutto il fatto che da diverse ricerche (come, ad esempio, quella condotta da Equita, “A Survey on responsible investors’ key issues and needs”) è emerso come per gli investitori responsabili la pagella data dai provider ESG alle imprese conta sempre meno, mentre acquista sempre più importanza l’informazione approfondita sulla sostenibilità delle aziende.
La lezione delle norme Ue: un’informazione approfondita conta più di un voto
Ma il cambio di rotta è stato indotto anche dalle nuove norme europee sulla finanza sostenibile. La tassonomia, in particolare, la normativa Ue (pubblicata sulla gazzetta ufficiale europea il 22 giugno scorso, per la quale si attendono gli atti delegati entro fine 2020) che stabilisce i criteri in base ai quali un’attività economica possa definirsi sostenibile e che impone precisi obblighi a chi propone investimenti definendoli, appunto, sostenibili, dà grande importanza alle informazioni Esg, al di là dei voti assegnati dai provider.
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La tassonomia sotto la lente del Pri dell’Onu
Lo conferma anche una ricerca condotta dall’Unpri, l’organismo dell’Onu che si occupa di principi di investimento responsabile. Alla fine del 2019 ha effettuato una prima simulazione dell’applicazione della Tassonomia (Testing the Taxonomy. Insights from The Pri Taxonomy Practitioners Group). Circa 40 tra asset manager e asset owner firmatari dei Principi hanno realizzato case study sull’implementazione della normativa. Un test importante, considerando che entro il 31 dicembre del 2021 gli investitori che offrono fondi definiti “sostenibili” dovranno indicare quanto (in quale percentuale rispetto al fatturato) le imprese del proprio portafoglio investito sono allineate alla tassonomia.
Il nodo dei dati: quelli forniti dai provider non bastano
Quello dei dati sarà un nodo cruciale: i dati che gli asset manager dovranno usare per stabilire quanto le aziende che inseriscono negli investimenti responsabili che propongono sono allineate alla tassonomia.
E quali dati usano (e useranno) gli asset manager? Dalla ricerca emerge che, «per valutare se un emittente svolge attività allineate alla tassonomia, la maggior parte dei partecipanti si è avvalsa di fornitori di dati terzi», i soliti provider ESG. Ma, per farlo, ha prima valutato «la misura in cui i loro servizi di dati esistenti potrebbero essere riproposti per la valutazione tassonomica». E, successivamente, ha integrato le informazioni «con ricerche interne, valutazione diretta dei rapporti aziendali e dei dati disponibili attraverso organizzazioni senza scopo di lucro, come il CDP o la Climate Bonds Initiative (CBI)».
Le pagelle e le informazioni fornite dai provider ESG risultano quindi essere “solo” un punto di partenza per chi voglia e debba applicare la tassonomia Ue: sono necessarie ulteriori e più approfondite ricerche sul campo, direttamente con le imprese.