Pfas: due vittorie storiche per gli ambientalisti in Veneto

No all'inceneritore di fanghi carichi di Pfas a Marghera, 141 anni di carcere per la falda avvelenata dalla fabbrica di Trissino: in due giorni, due vittorie

Le proteste contro il nuovo inceneritore di fanghi carichi di Pfas a Marghera © Mattia Donadel

Il 25 giugno il comitato tecnico della Regione Veneto che si occupa di Valutazione impatto ambientale (Via) ha bocciato il progetto dell’inceneritore per fanghi di Eni Rewind a Marghera. Nel farlo, ha riconosciuto l’importanza del principio di precauzione, i rilievi dei comitati e i pareri determinanti dell’Istituto superiore di sanità sulla pericolosità degli inceneritori. In particolare per quanto riguarda gli impatti ambientali e sanitari derivati dalla inefficace combustione dei Pfas, sostanze chimiche persistenti, alcune delle quali cancerogene.

«Avevamo promesso a Eni che di qui non sarebbero passati, e non sono passati!», commenta il Coordinamento no inceneritori di Marghera. «È una vittoria importantissima e di portata storica per un territorio che ha pagato un prezzo altissimo, in termini di vite umane perse e di degrado ambientale. Ciò a causa di decenni di industrializzazione dissennata che ha privilegiato il profitto sopra tutto e sopra tutti. Creando la diffusa opinione che la popolazione non ha mai voce in capitolo su questioni così importanti». 

Pfas a Marghera: la comunità dice no all’inceneritore di fanghi contaminati

Tante sono state le mobilitazioni popolari contro il progetto, come ricordano gli attivisti. «La grande manifestazione del 1° giugno 2024 con 5mila persone in piazza, il blocco del distributore a Marghera e dell’Eni Store, le osservazioni e il lavoro di approfondimento scientifico. Abbiamo sbarrato la strada a una delle multinazionali fossili più potenti al mondo. La stessa che fa accordi con il governo criminale di Israele e con Paesi come la Libia, responsabili di torture e di gravi violazioni dei diritti umani».

I comitati ora rilanciano la necessità di bloccare anche la seconda linea di Veritas, l’inceneritore già attivo che dovrebbe essere ampliato. «Chiediamo alla Regione e ad Arpav di avviare studi approfonditi intorno agli inceneritori, con il supporto di Cnr e Ispra, per verificare il livello di contaminazione da Pfas nei suoli, nelle acque, e negli alimenti. Il problema dei Pfas non potrà più essere ignorato nemmeno per l’inceneritore di Padova, di Schio, di Verona e di Loreo. Il problema della gestione dei rifiuti, dei fanghi e dei Pfas sono un dato di fatto. Ma la soluzione non sta nel creare un problema ancora più grave».

Condanna Pfas: al processo Miteni riconosciute le responsabilità

Il giorno successivo, venerdì 26 giugno nel primo pomeriggio, la Corte d’Assise di Vicenza ha letto la sentenza di condanna in primo grado per undici manager dello stabilimento chimico di Trissino che produceva Pfas fino al 2018. Le due aziende coinvolte sono Miteni, joint venture Mitsubishi ed Eni, e Icig, società lussemburghese che aveva rilevato lo stabilimento dal 2009 al 2018. In tutto, gli anni di carcere sono 141.

Gli imprenditori sono stati ritenuti responsabili di «concorrere a cagionare l’avvelenamento delle acque destinate all’alimentazione umana». In particolare la falda acquifera che serviva 350mila persone nei comuni di Vicenza, Verona e Padova. Le pene più pesanti (17 anni) sono state comminate ai dirigenti Patrick Fritz Hendrik Schnitzer e Achim Georg Hannes Riemann (Icig) per avvelenamento doloso delle acque, disastro ambientale innominato e bancarotta per falso in bilancio.

Brian Anthony McGlynn (Miteni), già direttore dello stabilimento chimico di Spinetta Marengo, in provincia di Alessandria, è stato condannato a 17 anni e 6 mesi per avvelenamento delle acque, disastro ambientale innominato e bancarotta. Luigi Guarracino (Miteni) dovrà scontare 17 anni per avvelenamento delle acque, disastro ambientale e bancarotta. Era stato invece assolto per il disastro ambientale a Bussi, in Abruzzo, dove dirigeva l’impianto chimico Montedison. Un disastro rimasto impunito.

Condannati a 16 anni anche i dirigenti di Mitsubishi Corporation, Naoyuki Kimura, Yuji Suetsune, Alexander Nicolaas Smit, per avvelenamento, disastro ambientale e bancarotta.  Il verdetto è stato accolto con un lungo applauso da tantissimi cittadini, ambientalisti, comitati e “Mamme no Pfas” che da anni hanno presenziato al processo. Sono oltre trecento gli enti pubblici e privati che si sono costituiti parte civile. 58 milioni di risarcimento al ministero dell’Ambiente, anch’esso parte civile. 

Dopo la condanna Pfas, la voce degli attivisti si fa sentire

«Dopo sette anni e mezzo  di sforzi, sacrifici, pazienza, finalmente abbiamo un po’ di giustizia. Chi ha avvelenato il sangue dei nostri figli è stato condannato. Manca però ancora un progetto di bonifica risolutivo e la messa in sicurezza della falda acquifera contaminata», commenta Michela Piccoli, uno dei volti più noti delle Mamme no Pfas.

Soddisfatto Giuseppe Ungherese, responsabile campagna Pfas di Greenpeace che ha seguito la vertenza dagli albori. «Ci sono voluti più di dieci anni di battaglie dal basso condotte, in ogni sede, al fianco delle comunità locali, ed è finalmente arrivata una sentenza storica». La condanna di Vicenza apre quindi nuove speranze per altri processi sull’inquinamento da Pfas. Va ricordato che una sentenza dello scorso maggio ha riconosciuto per la prima volta come malattia professionale la patologia di un ex operaio di Miteni, esposto a livelli altissimi di Pfas. 

Zero Pfas Italia: un appello alle istituzioni dopo la condanna

La rete Zero Pfas Italia chiede alle istituzioni «una legge nazionale sui Pfas che vieti la produzione, l’importazione, l’utilizzo nei processi produttivi e nei prodotti». Sottolineando come esistano già dei disegni di legge depositati in Parlamento. Esorta inoltre a «investire risorse economiche nella ricerca scientifica per trovare alternative ai Pfas valide e non inquinanti». Ma anche a «rendere trasparenti le etichette dei prodotti in commercio per dare la possibilità ai consumatori di orientarsi nelle scelte. E aumentare l’offerta di scelte sicure».

Secondo gli attivisti, serve una campagna di monitoraggio degli alimenti e della popolazione. I medici curanti devono inoltre essere autorizzati a chiedere il dosaggio dei Pfas nel sangue, a carico del Servizio sanitario nazionale, per i pazienti vulnerabili e potenzialmente molto esposti, come bambini e donne in gravidanza. Tra le richieste c’è anche la cessazione della produzione di Pfas all’ex stabilimento Solvay di Spinetta Marengo (in provincia di Alessandria), ora parte di Syensqo. Nonché le «bonifiche immediate dei territori altamente contaminati da Pfas», il «monitoraggio ambientale con analisi di acqua, aria, terreni intorno a inceneritori, industrie chimiche, discariche, cementifici, depuratori» e l’«equo risarcimento del danno alle parti offese». 

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