Sarà l’intelligenza artificiale a licenziare i lavoratori?

Secondo un report del World Economic Forum metà delle aziende è sicura che l’intelligenza artificiale prenderà il posto dei lavoratori

L’intelligenza artificiale al lavoro © possessedphotography/Unsplash

Nel bene e nel male l’intelligenza artificiale sta rivoluzionando le nostre vite, e non sempre in chiave positiva. Soprattutto per quanto riguarda il lavoro. Secondo il rapporto “Il futuro del lavoro 2025” redatto dal World Economic Forum, infatti, sarà il cambiamento tecnologico il principale fattore trainante che dovrebbe plasmare e trasformare il mercato del lavoro globale entro il 2030.

Tra gli esperti interpellati infatti, il 60% si aspetta che le più grandi trasformazioni nel mercato del lavoro arriveranno dalla rivoluzione digitale. All’interno della quale la parte del leone la fanno «intelligenza artificiale ed elaborazione delle informazioni (86%)». Seguite da «robotica e automazione (58%)». E infine «generazione, stoccaggio e distribuzione di energia (41%)». Questo porta quindi al dato più preoccupante: quasi la metà delle aziende e dei datori di lavoro interpellati si è detta disponile a «prendere in considerazione la possibilità di ridurre la propria forza lavoro in risposta allo sviluppo dell’intelligenza artificiale». Ovvero, in buona sostanza, a licenziare i lavoratori per sostituirli con l’intelligenza artificiale.

Dalle banche alle piattaforme digitali: si licenziano i lavoratori per sostituirli con l’intelligenza artificiale

E in effetti gli esempi non mancano. Lo scorso anno Klarna – il colosso svedese del “buy now pay later” – ha licenziato oltre mille dei suoi cinquemila dipendenti affermando che i suoi sistemi tecnologici erano in grado di fare lo stesso lavoro, meglio e in meno tempo. E pochi giorni fa il Sole 24 Ore ha scritto che British Petroleum ha annunciato di essere pronta, per lo stesso motivo, a tagliare quasi 8mila tra dipendenti e collaboratori esterni. Circa il 5% dell’intera forza lavoro della multinazionale del fossile.

L’incidenza della rivoluzione digitale influisce certamente più su determinate tipologie di lavoro che non su altre. A partire proprio dal settore tecnologico fino ad arrivare a quello economico e finanziario. Lo scorso anno le piattaforme digitali della Silicon Valley, a fronte di profitti record, hanno licenziato centinaia di migliaia di dipendenti. E lo stesso hanno fatto diversi istituti di credito e finanziari, secondo una ricerca di Bloomberg. Questo è dovuto a molteplici fattori, a partire dalla riduzione del costo del lavoro, all’esternalizzazione dei contratti, a sistemi di triangolazione fiscale. Oltre che, come spiegano gli stessi protagonisti, allo sviluppo dell’intelligenza artificiale.

L’intelligenza artificiale e i bias discriminatori nei confronti delle minoranze

Come spiega un’inchiesta sul tema del quotidiano francese Novethic, la rincorsa all’intelligenza artificiale nel mercato del lavoro presenta altri due enormi problemi. Il primo è quello, paradossale, «della intensificazione fisica e mentale del lavoro attraverso la concentrazione dell’attività umana sui compiti più complessi», quando, invece, «affidare compiti ripetitivi a un sistema di intelligenza artificiale potrebbe consentire ai lavoratori di concentrarsi su compiti considerati più gratificanti». Il secondo è che gli algoritmi alla base dell’intelligenza artificiale sono, come noto, discriminatori nei confronti delle minoranze e delle fasce di popolazione svantaggiate. «È chiaro fin da ora che la maggior parte dei lavori che saranno automatizzati saranno quelli in cui operano in maggioranza le donne», ha detto un sindacalista a Novethic.

Come spiega a Valori il giornalista esperto di nuove tecnologie Daniele Andrea Signorelli, «il caso scuola è stato quello di Amazon che nel 2018 selezionava i curriculum tramite algoritmo. Salvo scoprire poi che il solo fatto di essere donna faceva in modo che l’algoritmo scartasse il curriculum. Se Amazon ha dismesso presto l’algoritmo, però, i bias cognitivi dell’intelligenza artificiale permangono». Tanto sul mercato quanto in quello economico e finanziario più ampio, a partire dall’accesso al credito. Il problema, spiega Signorelli, è quindi «quanti algoritmi discriminatori nei confronti delle minoranze siano ora all’opera senza che noi lo sappiamo, e senza che tantomeno possiamo conoscerne i parametri».

Il problema non è lo strumento, ma l’uso che se ne fa

Eppure le cose potrebbero andare molto diversamente. L’intelligenza artificiale potrebbe diventare il miglior alleato dei lavoratori, e non il suo peggiore nemico. Come spiega ancora Signorelli, «è il frame del discorso in sé a essere sbagliato, o perlomeno parziale. Perché è costruito mettendo in competizione l’intelligenza artificiale con l’essere umano. Oramai i dati a disposizione delle aziende dimostrano che il miglior utilizzo è mettere l’intelligenza artificiale a disposizione dell’intelligenza umana». Una posizione condivisa anche in una recente ricerca dell’agenzia per il collocamento francese Unedic.

«Il problema è proprio quando le aziende, poco lungimiranti e fedeli solo al mantra della immediata riduzione dei costi, puntano a utilizzare l’intelligenza artificiale per sostituire i lavoratori», dice Signorelli a Valori. «In questo senso il caso del giornalismo è paradigmatico. Da un lato l’intelligenza artificiale può aiutare un giornalista a scrivere un pezzo più completo, e magari anche più rapidamente, aiutandolo nella professione. Dall’altro però moltissimi editori preferiscono tagliare i costi del personale, licenziare i lavoratori e affidarsi a pezzi scritti esclusivamente dall’intelligenza artificiale. Con le conseguenze dell’impoverimento sotto tutti i punti di vista di un intero settore».