Jean Fabre: nessuno si salva da solo. La nuova economia per Papa Francesco

Un diverso modello economico. Uno sviluppo sostenibile e inclusivo. Un appello a tutti: economisti e governanti. L'economista Jean Fabre commenta le parole del Papa.

Papa Francesco © Nacho Arteaga/Unsplash

«Urge una diversa narrazione economica. Urge prendere atto responsabilmente del fatto che l’attuale sistema mondiale è insostenibile». Parola di Papa Francesco. Alla vigilia del Natale 2020, immersi in una crisi sanitaria, sociale ed economica epocale, scatenata dalla pandemia dal coronavirus, il discorso pronunciato dal pontefice al termine di The economy of Francesco, ha innescato profonde riflessioni. Almeno in coloro che appartengono a quella parte della società civile da tempo impegnata nella costruzione e nella ricerca di un’economia di giustizia.

È il caso di Jean Fabre, uno dei massimi esperti internazionali di economia sociale e solidale, attuale membro della Task Force dell’Onu per l’Economia Sociale e Solidale, presieduta dall’International Labour Organization (ILO), già alto funzionario del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo – UNDP. A lui dobbiamo anche la stesura del documento Verso l’Economia di Francesco. Ma io cosa posso fare?, frutto di un lavoro collettivo promosso e coordinato dal Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per la Pace e i Diritti Umani, dai Francescani del Sacro Convento di San Francesco d’Assisi, dalla Fondazione Finanza Etica e dalla Tavola della Pace. Lo abbiamo intervistato e gli abbiamo chiesto quali sono, a suo avviso, i passaggi più importanti del discorso pronunciato dal Papa Bergoglio. 

L’elemosina non basta

Papa Francesco ha affermato che per risolvere povertà e disuguaglianze «non basta puntare sulla ricerca di palliativi nel terzo settore o in modelli filantropici». Cosa vuol dire? 

Papa Francesco ci dice che ciascuno ha la sua dignità e deve essere pienamente reintegrato nella società. E che la povertà non si estirpa con l’elemosina. Per questo ci chiede semplicemente di riconoscere ciò che è scritto nel primo articolo della Dichiarazione universale dei diritti umani. Tutti si devono sedere al tavolo dell’abbondanza, dell’amicizia, della fratellanza. Per fare ciò dobbiamo fare in modo che ogni essere umano possa contribuire al miglioramento sociale. Non vogliamo una società che si basi sull’assistenzialismo. Ma questo ce lo ricorda già il Vangelo. Ed è importante ribadirlo: ciascuno è responsabile di se stesso e di tutta la società. Siamo un’unica famiglia e uguali in diritti e doveri, ed è questo il segno della dignità assoluta. Un messaggio molto potente:«I poveri devono partecipare alle nostre discussioni e portare il pane alle loro case».  

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Serve uno sviluppo umano integrale

Il pontefice ha parlato di «sviluppo umano integrale». Cosa intende? 

Lo sviluppo umano integrale era già stato formulato da Papa Paolo VI. Esprime la continuità della dottrina sociale della Chiesa cattolica. Francesco lo riprende e ribadisce: «Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo».  Ciò vuol dire che non è solo questione di assicurarsi che tutti possano mangiare, vestirsi, ripararsi dalle intemperie. Tutti devono poter crescere, vivere come essere umani, nell’amore, nell’amicizia, in una ambiente sano e potersi elevare spiritualmente. Per fare questo bisogna agire, sia al livello locale che a livello delle responsabilità più elevate, nell’economia, nella società, nella diplomazia e nella cooperazione, affinché tutti si lavori al servizio dello sviluppo umano integrale. 

Ma è davvero possibile? Qual è la sua visione? Lei ha lavorato proprio alla stesura degli Obiettivi del millennio per lo Sviluppo delle Nazioni Unite.

Il papa lancia un monito globale, sia a livello locale sia mondiale, non solo ai futuri economisti. E ricorda con le parole di Benedetto XVI come la fame, la disuguaglianza «non dipenda tanto da scarsità materiale, quanto piuttosto da scarsità di risorse sociali, la più importante delle quali è di natura istituzionale». Ad oggi oltre due miliardi di persone non sono ancora attrezzate per lavarsi le mani in casa. 800 milioni non hanno accesso ai servizi igienici.

Siamo nell’epoca degli smartphone, ma ci dimentichiamo che un miliardo di persone non ha accesso all’energia elettrica. E tutto ciò è un fallimento ed è inaccettabile. Con le conoscenze che abbiamo accumulato, con il livello di ricchezza per abitante più elevato di tutta la storia, con tutti gli organismi politici, istituzionali e di cooperazione che abbiamo al lavoro, ciò non dovrebbe più essere possibile. Ma qualche passo è stato fatto. Per la prima volta nella storia i governi hanno osato prendere l’impegno  di sradicare povertà, fame, malnutrizione e discriminazione entro il 2030.  Glielo dobbiamo ricordare e fare ciascuno la nostra parte.

Serve un nuovo modello economico

Il pontefice sottolinea come ci manchi in economia «la cultura necessaria per consentire e stimolare l’apertura di visioni diverse (…) che non si lasci rinchiudere da un’unica logica dominante». Qual è questa logica? 

Le nostre società partendo da quelle «sviluppate» considerate più avanzate, hanno basato la loro struttura sul concetto di crescita economica, non sullo sviluppo di ciascun essere umano. A partire dalle teorie di Adam Smith (1776), secondo il quale se ogni uomo persegue il proprio interesse personale, si realizza anche, indirettamente, il bene di tutti. Visioni dettate da un determinato contesto storico e sociale. Eppure nel corso dei secoli non ci siamo discostati molto, se pensiamo alla teoria del libero mercato disegnato dall’economista Milton Friedman e dalla Scuola di Chicago, diventata quasi un «dogma», che struttura i nostri rapporti.

Papa Francesco ci dice chiaramente come tutto ciò sia falso. La semplice somma degli interessi individuali non produce il bene comune. Viviamo in un’epoca in cui assistiamo alle più grandi disuguaglianze della storia e la visione dettata dall’economia ultraliberale non può funzionare in un mondo di 8 miliardi di persone. Il principio di libera concorrenza alla base del trattato costituzionale europeo è diventato una specie di credo comune, quasi un assunto teologico. Ma non fa altro che mettere in competizione società, stati, individui, imprese. E tutto ciò è distruttivo. Dobbiamo eliminare gli ostacoli che ci sono nelle nostre menti per vivere davvero nella fraternità, assicurandoci che nessuno sia lasciato indietro. 

Papa Francesco, citando il Vangelo, chiede alle future e ai futuri economisti di vigilare sullo sviluppo sostenibile ed essere «prudenti come serpenti e semplici come le colombe».

Agire nel nome della fratellanza in economia e nelle nostre vite non vuol dire essere sprovveduti. Non vuol dire essere dei buonisti. Papa Francesco ci chiede di capire e studiare il mondo, analizzare i problemi con competenza. Ci invita però a chiederci da che parte stiamo. Dalla parte della soluzione o del problema, con il nostro agire? La scarsa fraternità, la scarsa solidarietà sono deficit fortissimi che bisogna colmare. Anche contestando il principio di libera concorrenza alla base del trattato costituzionale europeo, per esempio. 

La tutela della salute innanzitutto

Qual è il passaggio fondamentale, a suo avviso di questo appello del papa lanciato all’Economy of Francesco? 

Francesco ricorda come nessuno si salvi da solo. Questa pandemia ce lo ha fatto comprendere bene. Per la prima volta gli Stati hanno ribadito come la protezione della salute sia più importanti di qualsiasi altra cosa. Questa è la dimostrazione che niente è impossibile. Ma non possiamo dimenticare che la drammatica gestione del covid-19 è acuita dai tagli fatti alla spesa sanitaria, al degrado delle strutture ospedaliere. E noi viviamo per salvare o per salvarci? C’è chi ha teorizzato che puoi essere cattivo durante tutta l’esistenza purché all’ultimo momento prima di morire, ti pentirai e sarai perdonato. Ma non è una bussola per la vita. Il regno del Cielo si costruisce qui, facendo crescere l’amore e la fratellanza. E il Papa con le sue encicliche da «Laudato sì» a «Fratelli tutti» ce lo sta rammentando.