Manager pubblici: quel giro di poltrone che vale milioni
Le partecipate rinnovano le cariche. Un peso a sei zeri per le casse pubbliche, tra buonuscite e stipendi d'oro
I manager pubblici sono in attesa e il nodo, salvo imprevisti imponderabili, dovrebbe essere sciolto in tempi piuttosto rapidi. Il conto totale, dicono i dati del governo, parla di 77 società partecipate direttamente o indirettamente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) e chiamate a rinnovare i propri organi sociali CdA e collegi sindacali nel corso del 2018.
Il valzer di dirigenti interessa un totale di circa 350 poltrone coinvolgendo undici case madri e ben 66 controllate. Un vero e proprio ricambio di massa, in una galassia che spazia da AREXPO a Cassa Depositi e Prestiti, da Leonardo all’Eni, senza contare Enel, Poste e Ferrovie dello Stato. Che rischia di diventare un salasso per le casse pubbliche sotto forma di buonuscite e liquidazioni.
ENI – Poste a/r
Per ora si va a rilento e non potrebbe essere altrimenti vista l’incertezza dello scenario politico. Ma qualcosa, nelle ultime settimane ha già iniziato a muoversi. Il 3 maggio scorso, l’ex AD di Poste Italiane Francesco Caio ha ricevuto l’investitura a presidente di Saipem. Una nomina quasi per acclamazione (94% dei consensi ottenuti a fronte una manciata di astensioni) frutto dell’accordo di aprile tra i principali esponenti della proprietà: Cassa Depositi e Prestiti (CDP), che attraverso il suo fondo equity controlla da sola il 12,5% dell’azienda ed ENI, proprietaria, per conto del MEF, del 30,54% delle quote.
L’approdo del manager a Saipem chiude idealmente il cerchio lungo la tratta che conduce a Poste Italiane al cui vertice siede da un anno Matteo Del Fante, già numero uno di Terna dal 2014 al 2017 e direttore generale, nei quattro anni precedenti, del principale azionista della medesima: la Cassa Depositi e Prestiti.
Dalle Poste alla galassia Eni andata e ritorno, dunque. Con tutte le inevitabili perplessità suscitate dalle generose liquidazioni erogate: 3,8 milioni per Del Fante, un paio circa per Caio che nel 2015 aveva già intascato una retribuzione complessiva di 1,48 milioni di euro che aveva fatto storcere il naso alla Corte dei Conti.
Retribuzioni squilibrate
Lo schema delle porte girevoli non è certo una novità. Come non lo sono, del resto, i costi di gestione del management stesso. Quattro anni fa, una relazione della Commissione Industria del Senato, presieduta da Massimo Mucchetti, aveva evidenziato le sperequazioni retributive all’interno dei colossi statali tra cui, sottolineava in particolare il settimanale L’Espresso, Terna, Enel ed Eni, guidate all’epoca da Flavio Cattaneo, Fulvio Conti e Paolo Scaroni. Nello spazio di 9 anni, proseguiva l’analisi, i tre manager si erano portati a casa 23, 35 e 45 milioni di euro circa. Retribuzioni capaci di superare di 47, 62 e 73 volte il compenso medio dei dipendenti delle rispettive aziende.
Negli anni la musica non è cambiata. Nel 2016, notava lo scorso anno un’indagine di Repubblica, una dozzina di manager dimissionari dell’universo quotate si era portato a casa liquidazioni totali per quasi 50 milioni. L’assegno più alto, 9,58 milioni (266 volte la retribuzione annuale di un impiegato medio), lo aveva incassato l’ex AD di Unicredit, Federico Ghizzoni, seguito a debita distanza dal collega di Italcementi, Carlo Pesenti (6,36 milioni). Al terzo posto però ecco comparire un manager pubblico: il veterano Carlo Malacarne, 37 anni in Snam e 6,1 milioni di buonuscita.
Il tetto agli stipendi non vale per le quotate
Nel 2016 un decreto del MEF ha fissato a 240mila euro il tetto massimo agli stipendi dei manager pubblici ma la norma non vale per le società presenti in borsa. Un’eccezione confermata nel luglio scorso dal Decreto Madia che, pur vietando buonuscite, gettoni di presenza o premi di risultato deliberati ex post, esonera dall’obbligo le società “quotate”. Il virgolettato è d’obbligo, vista l’ampiezza della definizione che abbraccia sia le società presenti a Piazza Affari sia quelle che fino al 2015 hanno emesso strumenti finanziari diversi dalle azioni (i bond) e, in generale, tutte le controllate di queste ultime (purché non partecipate da amministrazioni pubbliche).
Lo scorso anno, i CdA di Eni, Enel, Leonardo e Poste sono stati rinnovati e gli stipendi dei rispettivi presidenti – ha scoperto a maggio il Sole 24 Ore – sono stati “raddoppiati a circa 500mila euro lordi, con decisioni prese in sordina”. Gli aumenti, nota il quotidiano della Confindustria, sarebbero scattati tra aprile e maggio.