I Mapuche e la Costituzione cilena

I Mapuche, il popolo indigeno più numeroso del Sud America, spiegano le ragioni del loro voto a favore della nuova Costituzione cilena

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Il 4 settembre, a Ngulumapu (il territorio abitato dai Mapuche a ovest della Cordigliera andina, qui per estensione s’intende il Cile, ndt) attraverso un plebiscito, si deciderà se approvare o respingere la Nuova Costituzione, che è stata redatta da 155 elettori costituenti, 17 dei quali in rappresentanza dei Popoli Indigeni.

I costituenti, nei seggi riservati agli indigeni, provenivano dal Popolo Aymara: Isabella Mamani e Luis Jiménez; del popolo Atacameño: Félix Galleguillos; dal Popolo di Chango Fernando Tirado; dal Popolo Colla: Isabel Godoy; dal popolo Diaguita: Eric Chinga; del popolo Kawashkar: Margarita Vargas. Dal popolo Mapuche: Adolfo Millabur, Alexis Caiguan, Elisa Loncón, Francisca Linconao, Natividad Llanquileo, Rosa Catrileo e Victorino Antilef; dal popolo Rapa Nui: Tiare Aguilera, dal popolo Quechua: Wilfredo Bacian e dal popolo Yagán: Lidia González.

Si tratta di un processo storico e senza precedenti, che si presenta come una soluzione istituzionale di fronte alla crisi sociale e politica, alle mobilitazioni sociali iniziate nell’ottobre 2019, alla successiva repressione statale e alle sistematiche violazioni dei diritti umani del governo di Sebastián Piñera: omicidi, torture, stupri, carcerazioni politiche e le oltre 400 mutilazioni oculari compiute dai Carabineros de Chile, crimini che attualmente restano impuniti.

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Tutto questo ha origine dopo le storiche mobilitazioni e la loro uscita istituzionale: l’Accordo di Pace, e il successivo plebiscito nazionale, nel contesto della pandemia di Coronavirus, che ha visto una partecipazione storica di oltre 7 milioni di persone che hanno votato a favore della realizzazione di una nuova Costituzione redatta dai cittadini.

Le mobilitazioni del 2019, avviate principalmente dagli studenti delle scuole superiori di Santiago, e poi divenute di massa nella stragrande maggioranza dei territori, denunciavano l’aumento delle tariffe della metropolitana, nonché le disuguaglianze e le ingiustizie sociali, la segregazione, la povertà, la corruzione, l’accesso limitato a beni di prima necessità come salute, educazione, pensioni. Più in generale, la mobilitazione ha evidenziato il malessere collettivo rispetto al modello neoliberista in Cile e in Wallmapu (la terra dei Mapuche, ndt).

Per quanto riguarda le Popolazioni Indigene, e in particolare nel territorio mapuche, da molti anni prima dell’esplosione sociale, varie comunità e organizzazioni mapuche avevano denunciato e si erano mobilitate di fronte all’usurpazione e all’espropriazione del territorio, all’installazione di megaprogetti estrattivi, alla persecuzione giuridico-poliziesca della protesta sociale Mapuche, alla repressione e alle violazioni dei diritti umani, alle detenzioni politiche, alle montature, al razzismo e alla discriminazione, tra le altre cose.

È stato così che è nata la proposta collettiva per la realizzazione di un’Assemblea Costituente, che ponesse fine, da un lato alla Costituzione entrata in vigore durante la dittatura civico-militare (di Pinochet, ndt), e che, dall’altro lato, gettasse le basi per una nuova forma di relazioni tra la società/comunità e le istituzioni, un rapporto gravemente segnato e condizionato dai vizi della classe politica che detiene l’amministrazione dello Stato in alleanza con i gruppi economici.

L’imposizione di un modello neoliberista e di un progetto di società della dittatura civico-militare è stata fonte di grandi disuguaglianze sociali e della privatizzazione dei servizi più elementari per la popolazione, ha disarticolato il tessuto sociale per mettere al centro la privatizzazione e l’economia di mercato, l’individualismo e il consumismo come valori principali per la società. Questo modello è stato amministrato e approfondito dai governi neoliberisti della Concertación, ma ha prodotto anche un terreno fertile affinché i popoli del Cile potessero gridare la loro indignazione contro gli abusi della classe politica alleata con i gruppi che hanno fatto dello Stato il proprio business.

Come organizzazioni mapuche, abbiamo sperimentato quello che è stato lo smembramento e la riduzione del nostro territorio e della nostra cultura, come conseguenza dell’espansione dello Stato cileno, dall’arrivo di coloni alla privatizzazione del territorio da parte di aziende e individui, all’estrattivismo. L’emarginazione del popolo mapuche in diverse aree si è verificata storicamente anche nell’ambito costituzionale, dove si stabiliscono le linee guida per la società e le istituzioni.

Nelle questioni indigene, alcune rivendicazioni sollevate dal percorso istituzionale indigeno, tra le altre, sono: il riconoscimento costituzionale dei Popoli Indigeni come nazioni preesistenti attraverso uno Stato plurinazionale e plurilingue; il riconoscimento di propri ordinamenti giuridici; il diritto alla cultura, all’identità, alla cosmovisione, all’educazione, alla salute e alla lingua; il diritto all’autodeterminazione, all’autonomia e all’autogoverno; il riconoscimento e la tutela della terra e del territorio; il diritto, se lo si desidera, alla piena partecipazione alla vita politica, culturale, sociale ed economica; la fine della militarizzazione e la libertà dei prigionieri politici in territorio mapuche.

A livello latinoamericano, nel caso degli Stati nazionali, questi erano costituiti da un potere creolo, nell’ambito di un patto sociale che non considerava affatto i popoli indigeni (Villoro, 1998). Nel caso del popolo mapuche, si può osservare una situazione molto simile al resto delle comunità indigene del continente, rispetto al “riconoscimento” dei diritti, perché ciò che ha storicamente caratterizzato il rapporto dello Stato cileno con i Mapuche è l’indifferenza totale, la negazione, il razzismo e la segregazione.

Ne è prova il fatto che in nessuna delle costituzioni scritte fino a quella attualmente in vigore non ci sia nemmeno un concetto, una parola, una frase, un’idea relativa al tema menzionato. Non sia mai stata riconosciuta la preesistenza delle nazioni-popoli originari, né, ancor meno, siano state recepite le nostre legittime rivendicazioni. Infine, che nella stesura delle precedenti costituzioni vi sia mai stata la partecipazione di rappresentanze dei popoli indigeni attraverso seggi specifici riservati ad esse.

È per questo che in questo nuovo testo costituzionale vediamo un’opportunità storica, una possibilità di stabilire una presenza all’interno di uno spazio che storicamente ci è stato negato. Si tratta dunque di un mezzo per avanzare verso livelli più elevati di riconoscimento, garanzie e rispetto da parte della Stato e della società cilena verso i popoli delle nazioni indigene.

Siamo naturalmente consapevoli che la proposta di una nuova Costituzione, per quel che riguarda il riconoscimento dei nostri diritti, non soddisfa pienamente tutte le nostre aspirazioni, e anche del fatto che non possiamo restare a guardare quel che accade, in attesa della sua applicazione e prima della sua eventuale approvazione.

D’altra parte, riteniamo invece che lo stato di eccezione e la militarizzazione cresciuta con il governo Piñera e, attualmente, con il governo Boric nelle province di Biobío, Arauco, Cautín e Malleco, non facciano altro che approfondire la legittima sfiducia nel rapporto tra lo Stato e il Popolo Mapuche, per questo rivolgiamo un appello a porre fine alle loro estensioni, che rispondono esclusivamente a una logica di violenza istituzionalizzata.

Da parte del gruppo di comunicazione mapuche Mapuexpress, nel rispetto di tutte le posizioni mapuche sul processo costituente e sul rapporto tra lo Stato e i Popoli delle Nazioni Indigene, riteniamo essenziale aggirare la barriera in termini di diritti collettivi e individuali dei Popoli Indigeni, quindi, nel plebiscito del 4 settembre, chiamiamo a votare “Approvo”.

In materia indigena, votare “Rifiuto” significherebbe riaffermare la costituzione entrata in vigore nella dittatura di Pinochet e concordare con i settori ultraconservatori che considerano pericoloso orientarsi verso definizioni di autonomia territoriale e autogoverno, plurinazionalità e/o giustizia indigena, protezione e restituzione dei territori. Allo stesso modo, riteniamo che le organizzazioni indigene e mapuche che chiedono un voto di “Rifiuto” siano incoerenti rispetto alle rivendicazioni indigene e di fronte all’urgente necessità di promuovere politiche pubbliche che riconoscano e garantiscano i nostri diritti umani.

Facciamo anche un appello a essere vigili e ripudiare gli atti e i discorsi di alcuni media e organizzazioni di estrema destra associati al rifiuto, per fermare la loro escalation di disinformazione, bugie, attacchi e violenze, di fronte alle giuste richieste delle organizzazioni indigene, sociali, ambientali e dei diritti umani.

Infine, apprezziamo e riconosciamo il lavoro dei 17 rappresentanti dei seggi riservati, persone delegate a livello di comunità e organizzazioni mapuche per il loro lavoro di promozione dei diritti collettivi, che, consapevoli dei problemi e della realtà che il nostro popolo sta vivendo, hanno cercato di sollevare le questioni, aprendo nuovi spazi e possibilità nelle istanze in cui siamo stati storicamente emarginati.

La loro lotta dura da quasi 500 anni ma i Mapuche restano il popolo indigeno più numeroso del Cono Sud americano. Abitano il Wallmapu, che altri chiamano centro e sud di Argentina e Cile, da prima della colonizzazione spagnola, che però non riuscì mai a conquistare interamente il loro territorio. In Cile rappresentano quasi il 13% dell’intera popolazione e l’80% di quella indigena. Uno ogni tre vive a Santiago e dintorni, gli altri soprattutto nelle regioni originarie, che per lo Stato sono l’Araucanía e il Biobío. Durante la selvaggia campagna militare che l’esercito cileno chiamò Pacificación de la Araucanía (tra il 1860 e il 1883 furono uccisi tra i 50 e i 70mila Mapuche), lo Stato occupò quasi il 95% del territorio ma non riuscì a sterminarli. Da allora è cominciata la lotta per il recupero della terra, che oggi confligge con gli enormi interessi di colossi dell’energia come l’italiana Enel, primo azionista della spagnola Endesa, e dell’industria forestale in mano soprattutto a famiglie quasi onnipotenti, come Matte e Angelini, che piantano specie invasive e a crescita rapidissima – soprattutto pino ed eucalipto – con enorme predazione di acqua e nefasta devastazione di una biodiversità millenaria. Le forestali posseggono 280mila ettari dei 450mila che i Mapuche vogliono recuperare.

La violenza della guerra dello Stato contro i Mapuche – a ogni livello (giudiziario, poliziesco, culturale, occupazione militare del territorio, ecc.) è sempre stata senza esclusione di colpi. E non sarà un documento politico, sebbene di enorme rilevanza come una Carta costituzionale, a porle fine. Anche per questo del milione e 200mila indigeni censiti dalle istituzioni elettorali preposte per eleggere i 17 rappresentanti (su 155) dei popoli originari che hanno partecipato alla stesura del testo solo 283mila sono andati a votare (circa il 22%). Eppure anche solo il puro riconoscimento dell’esistenza degli indigeni (ma nel testo vengono citati anche molti diritti essenziali) rappresenta un fatto epocale che spinge molte delle comunità a partecipare al plebiscito per approvare il testo elaborato dai cittadini costituenti.

Le ragioni essenziali di una scelta non scontata né facile le spiega l’editoriale del collettivo redazionale di Mapuexpress che segue qui sotto. Ci sembra però importante rilevare che Mapuexpress prende una posizione netta «nel rispetto di tutte le posizioni mapuche sul processo costituente e sul rapporto tra lo Stato e i Popoli delle Nazioni Indigene». Non tutti i Mapuche che non andranno al voto lo faranno perché strumentalizzati (o corrotti) dalle forze politiche e sociali fasciste, reazionarie o pseudo-progressiste protagoniste della ricca campagna per il Rifiuto della nuova Costituzione in favore di quella esistente ispirata ancora dall’era di Pinochet. La violenta e plateale militarizzazione del territorio mapuche, ripristinata anche dall’attuale governo di sinistra di Boric (il cui consenso è calato vistosamente dopo l’ennesima delusione delle grandi speranze di cambiamento canalizzate in seguito al riflusso delle grandi rivolte e di due anni di enormi mobilitazioni), ha tenuto aperta una ferita lacerante e mai sanata tra alcune comunità indigene e il razzismo istituzionale dello Stato cileno. Del quale fu esempio illuminante, per farsi solo un’idea, l’Operación Huracán che, tra le altre cose, condusse in carcere diversi Mapuche accusati di terrorismo, tra loro l’attuale leader della Coordinadora Arauco Malleco, Héctor Llaitul (qui un’ampia e recente intervista video pubblicata su La Bottega del Barbieri), per il quale la Fiscalia riconobbe poi anni fa la manipolazione delle prove telefoniche ottenute con l’invenzione di conversazioni inesistenti. Decisione che comportò le dimissioni del generale dei Carabineros Bruno Villalobos e del generale dei servizi di intelligence Gonzalo Blu. Llaitul, coinvolto in diversi altri procedimenti giudiziari, ha ottenuto anche un rilevante indennizzo per le torture di cui è stato vittima da parte dello Stato


L’articolo di Mapuexpress è stato pubblicato in Italia da Comune-info.