Mercati finanziari in picchiata nel 2018: tutta colpa delle macchine

L'85% degli scambi sui mercati finanziari è controllato da computer. Loro la colpa del tonfo delle Borse. Intanto è ormai scontato l'arrivo di una nuova recessione

Andrea Di Stefano
I computer controllano la maggior parte delle contrattazioni in Borsa. (L'immagine è tratta da un video del Wall Street Journal che denuncia questa realtà https://goo.gl/uJUpsM)
Andrea Di Stefano
Leggi più tardi

La peggiore in assoluto è stata la Borsa di Shanghai. Ma il 2018 è stato un anno molto pesante per tutti i mercati finanziari. Dietro questa ampia e rapida scivolata, però, si nasconde una nuova realtà: circa l’85% di tutti gli scambi sui mercati finanziari mondiali sono controllati da macchine, modelli o formule di investimento passivo, che creano un nuovo “parco buoi” che, diversamente da quello inventato e magistralmente descritto da Giuseppe Turani sin dai primi anni Ottanta, si muove all’unisono, è incredibilmente veloce, non risponde a ordini umani, bensì ad algoritmi sofisticati.

Questo mercato, fatto di compravendite computerizzate, è cresciuto durante la lunga corsa al rialzo. E, fino ad ora, non è stato seriamente colpito da una prolungata recessione.

Dal picco di fine settembre, l’indice S&P 500 delle azioni statunitensi è sceso del 19,8% e nel solo mese di dicembre ha perso il 15% del suo valore.

L’andamento dell’indice Standard & Poor’s negli ultimi 6 mesi

 

La grande volatilità sui mercati

Le vendite computerizzate non riguardano solo azioni e obbligazioni, ma tutti i prodotti finanziari che hanno mediamente un’alta volatilità come futures e opzioni. Non è un caso se il petrolio, che era sopra i 75 dollari al barile in ottobre, la vigilia di Natale veniva scambiato a 43 per risalire venerdì scorso a 52 dollari. Una fluttuazione di notevole ampiezza che lascia intendere che siamo entrati in una nuova era: quella della Grande Volatilità come evidenziato dal grafico pubblicato dal WSJ su dieci giorni di contrattazioni dei tre principali indici borsistici statunitensi.

La volatilità dei mercati borsistici viene imputata al ruolo delle vendite computerizzate

Le macchine controllano l’85% degli scambi in Borsa

Secondo i dati elaborati da Tabb Group, il 28,7% delle contrattazioni è effettuato dai sistemi computerizzati, più del doppio di quanto accadeva nel 2013.

Il principale quotidiano finanziario della city newyorkese, che già un anno fa aveva dedicato un intera inchiesta all’era dei Quanti a Wall Street, evidenzia che se si sommano agli hedge, gli investitori su indici, i trader ad alta frequenza, i market maker e ad altri che non stanno comprando perché hanno una visione sulle prospettive di un’azienda, si arriva a circa l’85% del volume degli scambi.

Le macchine controllano le Borse

“Le macchine stanno devastando i mercati”, ha detto al WSJ Leon Cooperman, che ha fondato l’hedge fund Omega Advisors.

Dietro i modelli impiegati ci sono algoritmi, o ricette di investimento, che acquistano e vendono automaticamente sulla base di input preimpostati.

“La velocità e l’entità delle compravendite sono esacerbate dalle macchine e dal trading computerizzato”, afferma Neal Berger, che gestisce Eagle’s View Capital Management, che investe in hedge fund e altri veicoli. “Gli esseri umani tendono a non reagire così velocemente e violentemente.”

Recessione in arrivo

Il vero interrogativo è come reagiranno questi sistemi alla prova della recessione. In Europa è una prospettiva ormai data per certa a fine gennaio quando Eurostat e gli istituti di statistica dei Paesi dell’area Euro pubblicheranno le stime preliminari sul Pil del quarto trimestre e quindi sull’intero 2018. Le previsioni sono fosche: forse l’area Euro potrebbe scampare la dichiarazione formale di recessione (che si determina dopo due  trimestri negativi), ma molto dipenderà dalle performance della Germania che sta soffrendo in particolare la crisi dell’automotive.

https://valori.it/la-crisi-come-20-anni-fa-forse-peggio/

Per gli Stati Uniti, invece, gli analisti sono divisi ma è la storia economica a venirci in aiuto.

Negli ultimi 40 anni, l’economia statunitense ha registrato quattro recessioni: una sola, quella del 1979-1982, aveva una causa convenzionale. La Federal Reserve riteneva che l’inflazione fosse troppo alta, quindi ha scelto la via di una stretta monetaria aumentando i tassi d’interesse innescando una frenata degli investimenti e dei consumi.

Le altre tre recessioni sono state causate da squilibri nei mercati finanziari. La crisi delle casse di risparmio del 1991-1992, lo scoppio della bolla delle dot-com nel 2000-2002, seguito dal Grande Crollo innescato dai mutui subprime nel 2007, che ha provocato la crisi finanziaria globale l’anno successivo.

Crisi in arrivo? Wall Street e i debiti fanno già paura

Molto probabilmente, la prossima recessione non sarà diversa: la rivelazione di alcune debolezze di fondo causerà un ridimensionamento degli investimenti, e il governo non riuscirà a perseguire la politica fiscale anticiclica.

Il grafico rende bene la frenata dell’economia statunitense (la riga blu) in relazione all’andamento del Pil (riga rossa). La flessione di gennaio è solo la conferma di una frenata molto rapida con cause evidenti: guerra commerciale, frenata dell’automotive (Ford ha annunciato il taglio di un quarto della sua forza lavoro in Europa), nuovo picco dei debiti delle famiglie (questa volta in prima fila ci sono i prestiti universitari).