Il Milan dei finanzieri insegna: nel calcio di oggi vincere non serve a niente
Nel calcio dominato dalla finanza, stadio e giocatori sono valutati come "future" e "subprime": investimenti, i cui guadagni non dipendono dai successi ottenuti sul campo
Mentre in Italia si discuteva dell’imminente cambio sulla panchina del Milan, il Financial Times usciva con un lungo articolo in cui si poneva la domanda: che ci fa un hedge fund come Elliott – con asset che si avvicinano ai 40 miliardi di dollari – alla guida dei rossoneri? Ora che il Milan ha finalmente scelto in Stefano Pioli il successore alla panchina di Marco Giampaolo, vale la pena tornare sulla domanda.
E per rispondere è doveroso fare un passo indietro, quando Fininvest, che detiene il 99,9% del Milan e lo mette a bilancio per 400 milioni circa, decide di vendere il giocattolo che era servito al vecchio presidente per entrare nel cuore degli italiani a uno sconosciuto cinese.
Se non aveva i soldi, perché mister Li si è imbarcato in questa avventura? «O aveva un piano finanziario particolare che poi è andato a monte, oppure aveva dei soggetti che lui rappresentava, ma che non volevano essere esposti». #Milan #Report #Rai3 pic.twitter.com/pYuhocPGLl
— Report (@reportrai3) June 4, 2018
Perché uno sconosciuto compra il Milan al doppio del suo prezzo?
Per oltre 750 milioni. Passano pochi mesi e si scopre che questo Mister Li, capace di entrare in un negozio e pagare un articolo il doppio del prezzo scritto sul cartellino, è uno sconosciuto: non è amico dei gerarchi del partito, né tantomeno della famiglia Zhang che ha comprato l’Inter, non ha proprietà, industriali o immobiliari. Forse non esiste nemmeno.
Una delle sue rare apparizioni pubbliche si riduce a un collegamento video in cui c’è un tizio che parla dalla scrivania di un salotto Mondo Convenienza completamente vuoto e disadorno, che potrebbe trovarsi a Pechino come a Mosca, o più probabilmente a Gallarate.
Intanto però, nelle casse di Fininvest entrano 750 milioni, provenienti da Hong Kong, Singapore, Isole Cayman e altri paradisi fiscali, di cui 300 sono un prestito a basso rischio del fondo Elliott: se c’è un problema, l’hedge fund capace di fare fallire l’Argentina, si prenderà il club senza dovere sborsare un euro.
Dove sono finiti 600 milioni?
E quando, dopo un anno disastroso, partito con un calciomercato imperioso in cui sono distribuiti oltre 200 milioni a procuratori e squadre amiche, il cinese che ha speso 750 milioni non ne trova 30 per una ricapitalizzazione, il fondo Elliott si prende tutto quello che era suo. Con aumenti di capitale arriva a spendere 400 milioni per un bene che Fininvest aveva messo a bilancio per la stessa cifra.
Da dove siano arrivati e dove siano finiti invece i 600 e rotti milioni che ballano tra investimenti iniziali di mister Li, aumenti di capitale e altro, è materia per film di Nanni Moretti e valigette che cascano dal cielo.
Il presente è un fondo speculativo proprietario di una delle più importanti squadre di calcio del mondo. E qui ritorniamo alla domanda: che se ne fa? Elliott è il primo hedge fund proprietario di una squadra – finanzia a debito anche il Lille, da cui i rossoneri quest’estate hanno preso il giovane Leao – ma non è la prima struttura finanziaria a impadronirsi del pallone.
La finanza nel pallone
Per restare ai casi famosi basti pensare alla famiglia Glazer, sede fiscale nel paradiso del Delaware, che nel 2005 ha comprato il Manchester United con un leveraged buyout (non metto una lira, incasso i guadagni, se anche lo rivendo allo stesso prezzo ho guadagnato dagli utili) o il Fenway Sports Group che dal 2010 controlla il Liverpool e dall’anno dopo, attraverso un complesso sistema di holding, in buona sostanza anche l’ AS Roma.
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Ci sono società con sede alle Isole Vergini, come la Vibrac Corporation, che prestando soldi controllano in vario modo club storici come Everton, Fulham, Southampton e West Ham. Ci sono fondi di private equity come Doyen, sede a Malta, che controlla Porto, Benfica e Atletico Madrid e gestisce calciatori che compra e vende mettendo in modo scambi di denaro enormi.
O come la Gestifute del procuratore portoghese Jorge Mendes che è recentemente stata acquista dal conglomerato cinese Fosun, che controlla il Valencia e si è comprata il Wolverhampton, squadra inglese dove giocano solo portoghesi la cui procura è di Jorge Mendes.
La nuova dimensione del calcio
Tutto questo per dire che la gestione del pallone da tempo è passata da una dimensione industriale a una dimensione finanziaria. Ben oltre inglesismi come marketing e merchandising – ancora sconosciute in Italia in cui si fanno i soldi con le plusvalenze e si opera sui calciatori fantasma dei mercati del terzo mondo gonfiando le rose a centinaia di giocatori – oggi i beni come squadra, campo sportivo, stadio e parco giocatori sono valutati come stock, future e subripime.
E ritorniamo al fondo Elliott, che ci fa al Milan? E quanto influisce sulla decisione di acquistare Rebic e non Correa, di sostituire Giampaolo con Pioli? Nulla.
Il suo unico interesse è aumentare il valore dei beni di cui sopra, e per farlo non è necessario vincere, come dimostra la crescita vertiginosa in termini di valore e fatturato di squadre come Manchester United, Arsenal e Tottenham (il Liverpool ha vinto una splendida Champions League ma per adesso, sebbene primo in classifica, non vince il campionato da oltre trent’anni). Il Milan è un investimento.
Secondo l’ultimo rapporto Deloitte, ha un fatturato di 207 milioni ben lontano da Real (750) Barcellona (690) United (666) ma anche dai sopra citati Arsenal e Tottenham (430 circa), e racimola sponsor per 70 milioni circa, un sesto dei top club europei.
Vincere è controproducente
Può solo crescere dal punto di vista finanziario. Il quarto posto con qualificazione alla Champions – tra premi, diritti tv, ritorno d’immagine con conseguente aumento degli introiti – porta soldi. Ma ancora di più fa aumentare il valore dei beni a disposizione, che siano i giocatori oggi in rosa da rivendere o lo stadio da costruire. Vincere non è più importante. Anzi, spesso costringe sull’onda dell’entusiasmo a investimenti troppo onerosi che si rivelano controproducenti.
Ogni riferimento al caso Cristiano Ronaldo non è puramente casuale. Il Tottenham cinque anni fa fatturava 170 milioni, non ha vinto nulla, ha venduto giocatori, ha costruito il nuovo stadio: bene, ora ne fattura 430.
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Per questo, dietro le quinte di vecchie glorie come Boban e Maldini, la facciata televisiva del nuovo corso, lavorano alacremente professionisti come Ivan Gazidis (la conferenza di presentazione di Pioli è stata in pratica la sua prima apparizione pubblica dopo un anno), Casper Stylsvig, Hendrik Almstadt e molti altri: tutta gente con un solido background economico e finanziario.
Gazidis: 'We were at risk of bankruptcy, Pioli can improve our young players' https://t.co/4k8taoOJOS pic.twitter.com/r3q8X37lbV
— CalcioMercato (En) (@CmdotCom_En) October 9, 2019
Milan, un anticipo di futuro
Così il Financial Times sottolinea le difficoltà della squadra, la pessima posizione in classifica. Arriva anche a citare una fonte secondo cui il figlio del gestore del fondo Elliott Paul Singer (Gordon ndr) avrebbe così tanti soldi che potrebbe volere il Milan solo come balocco con cui trastullarsi – ricordando i vecchi tempi dei presidenti «ricchi scemi» o del «giocattolo di famiglia», che nemmeno allora era vero. E poi conclude con la tremenda frase del portfolio manager di Elliott:
«Vedrete i frutti di questo investimento alla fine, in qualsiasi modo finisca». Perché quello che sta succedendo al Milan è solo un anticipo del futuro presto ci travolgerà tutti.
Dagli industriali che finanziavano il club locale per avere ritorni economico politici sul territorio, agli oligarchi russi o ai satrapi mediorientali che investono nelle squadre per operazioni di soft power o per coprire ben altri e più ingenti investimenti, magari in industrie o in armamenti, siamo arrivati alla dimensione puramente metafisica del calcio finanziario.
Un mondo etereo, fatto solo da flussi d’informazioni binarie che attraversano i volti di leggende come Boban e Maldini e indifferenti a quello che rappresentano puntano solo al guadagno. Per la prima volta completamente disgiunto dalla vittoria.
Cosa ci fa allora un hedge fund alla guida del Milan? Elliott è qui per questo. Per raccontarci che se resistere non serve a niente, nel calcio di oggi vincere diventa inutile.
* Quest’articolo è stato pubblicato anche su il manifesto.