Come Milei vuole fare dell’Argentina il paradiso delle miniere

Milei punta a trasformare l’Argentina in paradiso minerario con il RIGI: litio e rame al centro, tra promesse economiche e conflitti sociali

Javier Milei negli Stati Uniti per la Conservative Political Action Conference ©Gage Skidmore/Wikimedia Commons

Glencore, gigante del settore minerario con sede in Svizzera, ha presentato pochi giorni fa al governo argentino la richiesta di aprire due nuovi siti minerari. Si tratta di due filoni di rame situati ad El Pachon, nella provincia di San Juan, e ad Agua Rica, nella provincia di Catamarca. Per un investimento complessivo di 13,3 miliardi di dollari statunitensi. Non si tratta di un caso isolato. Da quando il presidente di ultradestra liberista Javier Milei è entrato in carica, sono stati presentati venti progetti simili. Tra le ultime aziende estere coinvolte ci sono pesi massimi come l’anglo-australiana Rio Tinto e la cinese Ganfeng. Tutte interessate alle grandi riserve argentine di litio, oro, argento, rame.

Il settore minerario sta al centro della strategia di rilancio economico del governo di Buenos Aires, ma è legato a molte criticità ambientali e sociali. Gli investitori esteri, in ogni caso, mantengono ancora qualche prudenza.

La ricchezza mineraria del sottosuolo argentino: litio, rame e oro

Il settore minerario è l’elefante nella stanza dell’industria globale. Una parte importante dell’economia mondiale è lineare: dipende cioè da materie prime non rinnovabili – come metalli e minerali – che vengono estratti, trasformati e poi, a fine vita, abbandonati. Da decenni si parla di modelli circolari. Ovvero che, tramite il riciclo, mantengano in uso quanto già estratto. Ma ragioni politiche e tecniche hanno fatto sì che solo una piccola parte della produzione mondiale si muova all’interno di questo schema.

Oltre ad estese riserve di idrocarburi – Il giacimento di Vaca Muerta in Patagonia, ad esempio, è il secondo più grande al mondo di shale gas e il quarto di petrolio non convenzionalel’Argentina possiede molte materie prime critiche. Si trova infatti nel cosiddetto triangolo del litio, un’area del Sudamerica ricca di questo prezioso materiale essenziale per l’industria delle batterie. Ad oggi l’Argentina soddisfa circa il 4% della domanda mondiale di litio, ma alcune stime suggeriscono che possa arrivare fino a coprire il 20% del mercato nel prossimo decennio. Anche rame, argento e oro sono molto diffusi.

Numeri importanti per un Paese in costante crisi economica e con un cronico bisogno di valuta estera. L’anno passato il rapporto tra debito e PIL, uno degli indicatori che danno la misura dell’indebitamento di una nazione, era del 155,4% (in Italia è del 137,9%). L’Argentina ha dichiarato bancarotta – annunciando quindi di non poter pagare i suoi debiti – otto volte nella sua storia, l’ultima durante la pandemia da Covid-19.

La strategia di Milei: il RIGI per attrarre le multinazionali

Javier Milei, l’attuale presidente, è arrivato al governo nel 2023 con la promessa di risanare i conti pubblici. La sua ricetta consiste in tagli draconiani alla spesa pubblica da un lato e porte apertissime alle grandi aziende estere dall’altro. In campagna elettorale Milei ha più volte brandito una motosega, simbolo delle amputazioni alla spesa sociale che stanno al centro della sua agenda. Da quando è al potere, i fondi destinati a pensioni, istruzione, sanità, ricerca, trasporti e contrasto alle disuguaglianze sono diminuiti, il 10% della forza lavoro pubblica è stata licenziata e la povertà è aumentata di 12 punti percentuali nel primo anno.

Non potendo contare sulla domanda interna, depressa dai tagli, il governo spera di trovare nuove risorse aprendosi all’industria estera, soprattutto quella mineraria. Per convincere le grandi multinazionali statunitensi, cinesi, canadesi ed europee ad investire in Argentina, Milei ha varato il Regime di incentivazione per i grandi investimenti, o RIGI. Si tratta di un programma di incentivi grazie al quale le aziende estere che investono più di 200 milioni di dollari nel Paese possono beneficiare di un sistema fiscale agevolato per trent’anni. I settori che più ne hanno approfittato sono quelli estrattivi: energetico e minerario.

Milei e le miniere: risultati scarsi, profitti all’estero e proteste locali

I risultati per ora sono altalenanti. Venti progetti minerari – nuovi o di espansione – sono stati presentati, e sette hanno già ricevuto l’okay delle autorità. I posti di lavoro creati, però, sono molto pochi: circa un migliaio secondo la stampa locale. Le opposizioni e i movimenti sociali, intanto, guardano al fenomeno con preoccupazione. Da un lato la questione della proprietà delle risorse è da sempre centrale in America Latina. L’estrazione è infatti quasi sempre gestita da aziende straniere – in questo caso, addirittura incentivate dal governo – e i profitti vanno quindi in larga maggioranza all’estero.

C’è poi la questione ambientale: è difficile pensare di rinunciare del tutto al settore minerario in tempi brevi, ma cave e miniere hanno quasi sempre un grande impatto in termini di diffusione di inquinanti locali, consumo idrico e paesaggio. Gli impianti previsti in Patagonia, la parte più meridionale dell’Argentina, trovano poi spesso l’opposizione delle popolazioni native, storicamente discriminate nel contesto politico sudamericano. 

In ogni caso, il boom promesso da Milei è ancora lontano. Come spiegava poche settimane fa il quotidiano Les Echos: «Per il momento, il flusso netto degli investimenti diretti esteri presenta un livello allarmante. In questa fine di agosto, i dati registrati dalla Banca centrale segnalano un saldo negativo di 1,6 miliardi di dollari da gennaio. Se la tendenza dovesse confermarsi, il 2025 potrebbe essere l’anno peggiore mai registrato dall’Argentina in materia di investimenti diretti».

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