1. Non è Natale senza luci, anche in questo 2020 così complicato dal coronavirus per milioni di individui. E così non possiamo che annoverare tra le good news in pieno spirito natalizio l’accensione di 27 nuovi lampioni (streetlights) che illumineranno la località di Bandoulou Toucouleur, nel Sud del Senegal, nei prossimi giorni. Tanto più che le luci rendono concreta un’idea di innovazione allo sviluppo che si studia in Italia.
2. Ad esportarla in molti Paesi del mondo è una giovane impresa di Prato che si chiama Glocal Impact Network ed elabora progetti focalizzati sull’accesso ad acqua, energia e cibo per le aree economicamente e tecnologicamente più fragili. Progetti il cui obbiettivo è di rendere le comunità locali autonome nel produrre e mantenere questi beni e servizi. In particolare, il progetto di Bandoulou, che si chiama proprio Illumina il Natale ed è sostenuto da Banca Etica , consentirà a circa 500 cittadini senegalesi di comunità cosiddette off grid (cioè “sconnesse dalla rete”) di avere accesso a energia rinnovabile e luce pubblica e gratuita. Un servizio tutt’altro che scontato da certe parti, dove risulta un’occasione preziosissima per generare relazioni, istruzione, nuova imprenditorialità…
3. Dal punto di vista tecnologico, viene sfruttata la soluzione pratica e collaudata di un programma internazionale chiamato Liter of light, ovvero “Litro di luce”, che ha già installato 800mila sistemi illuminotecnici in 30 Paesi del mondo, con beneficio per oltre due milioni e mezzo di persone. I lampioni vengono realizzati da personale locale formato ad hoc per costruirli e manutenerli, e impiegano tecnologia open source e materiali low cost reperibili sul posto. A partire dalle bottiglie di plastica riciclate che diventano l’involucro della lampada alimentata a basso voltaggio da un pannello solare da 1W collegato ad un led di pari potenza.
4. «Addirittura – spiega Lorenzo Giorgi di Glocal Impact Network – nel 2016, lavorando insieme all’Università La Sapienza e a Link University di Roma, siamo arrivati ad avere un circuito che potesse essere costruito a secco, quindi senza l’utilizzo di un saldatore, consentendo la realizzazione delle lampade in aree dove non arrivava l’elettricità».
5. La piccola società toscana (otto occupati) ha assunto la direzione italiana ed europea, e il coordinamento sull’Africa, del progetto internazionale Liter of light, con 21 sedi nel mondo. Attualmente è attiva in Senegal, Kenya, Madagascar, Costa d’Avorio e Marocco, e ha lavorato anche in Brasile, Cile, Perù e Argentina, disponendo di partner pure in Tanzania, Nigeria e Sudafrica. Ma non è solo coi progetti su luce ed energia che l’azienda si sta facendo conoscere, perché c’è un capitolo di innovazione nelle colture agricole per le regioni aride che suscita grande interesse.
Foto: Beneficiari e progetti di Liter of light per Paese
6. Nel 2017 nasce infatti un progetto di agricoltura idroponica. Pensato sempre a partire dai bisogni, in questo caso quelli dei contadini e delle aree rurali africane, inizia lo studio di tecnologie che possano rispondere principalmente alla necessità di coltivare anche fuori suolo in terre sempre più asciutte. «Il cambiamento climatico – prosegue Lorenzo Giorgi – sta rendendo sempre più secchi i campi. E capita che la terra sia inquinata oppure occupata da infrastrutture e insediamenti. Non solo. Anche le stagioni delle piogge stanno cambiando i loro cicli. In Senegal, come pure in diverse altre zone africane, si verificano precipitazioni molto più violente che in precedenza. Questo provoca un allagamento dei terreni fertili che impedisce il ciclo biologico della stagionalità delle coltivazioni».
7. Per ovviare a questi problemi è nato Agritube, un sistema di coltivazione che permette di non dipendere solo dal terreno. Una tecnologia che può essere costruita in orizzontale, in verticale, in vasi più grandi – e allora si chiama Agripot -, con sistemi di galleggiamento sull’acqua cioè (floating).
8. Come per Liter of light, anche questa è una soluzione che impiega tecnologia open source con materiali reperibili sul mercato africano. E se alla base c’è un principio di trasferimento di conoscenza e strumenti, la sua diffusione consente di perseguire anche un obiettivo secondario: creare le condizioni per far nascere imprese indipendenti sul territorio.
9. Agritube, che ha anche il vantaggio di essere accessibile a persone con disabilità motoria che si spostano su una sedia a rotelle, ha dunque passato 2 anni di incubazione all’Università di Padova, al dipartimento DAFNAE.
10. Dal punto di vista tecnico, grazie alla circolarità dell’acqua e a un sistema chiuso di irrigazione, questa soluzione permette di risparmiare tra l’80 e il 90% di acqua rispetto all’agricoltura in pieno campo. Si tratta di un valore comparato sull’Africa, precisano da Glocal Impact Network, dal momento che la resa sarebbe assai inferiore nelle regioni del Mediterraneo.
11. In contesti africani, però, per un cespo di insalata coltivato in Agritube si riesce a risparmiare circa 2 litri di acqua in 20 giorni. Il ciclo chiuso permette di non perdere risorsa idrica. Non solo. Poiché la coltivazione può avvenire tutto l’anno, e non solo a cavallo della stagione delle piogge, la produzione può aumentare abbondantemente.
12. In Agritube crescono l’insalata e tutte le piante in foglia, ma si arriva fino a piante dai frutti nutrienti utilizzando la versione “maggiorata” Agripot. Quindi melanzane, pomodori, ortaggi vari…
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Matteo Cavallito
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