Occupazione e salute, «Ecco perché l’Eni fa male alla Lucania»
All'assemblea dei soci Eni, due azionisti critici denunciano i gravi danni sanitari e ambientali delle trivelle in Val d'Agri. Ma i vertici dell'azienda minimizzano
È lungo e dettagliato il cahier de doleances presentato per la prima volta la settimana scorsa da due esponenti della società civile lucana all’assemblea degli azionisti dell’Eni, intervenuti nell’ambito della campagna di azionariato critico di Re:Common.
Il Cane a sei Zampe è attivo da oltre 20 anni in Val d’Agri. Nel suo Centro Olio di Viggiano oltre 80mila barili al giorno. Non senza uno strascico di impatti per la salute e l’ambiente.
Nel suo intervento Giambattista Mele, medico dell’ISDE (Associazione medici per l’Ambiente) ha sintetizzato e ribadito i risultati della Valutazione di impatto Sanitario (VIS) su Viggiano e Grumento Nova, i comuni più vicini all’impianto dell’Eni.
Mortalità e ricoveri, dati allarmanti
Mele ha partecipato in prima persona alla stesura della VIS insieme a esperti molto qualificati, tra gli altri del CNR e dell’Università di Bari. Lo studio si è concentrato su due linee di ricerca. La prima riguarda la mortalità e i ricoveri nell’area. La seconda, partendo dai dati individuali, indaga la relazione tra inquinamento dell’aria e salute. Piuttosto ampio il periodo temporale considerato: 15 anni, dal 2000 al 2014.
Analizzando i dati si è compresa la fortissima associazione di rischio tra le emissioni dell’impianto e le patologie cardiovascolari e respiratorie.
La mortalità delle donne per tutte le cause è in aumento del 19%. E quella degli abitanti di Viggiano e Grumeto rispetto agli altri 20 comuni della Val d’Agri cresce del 15%. Nello stesso tempo sono stati registrati un incremento dei ricoveri ospedalieri per malattie circolatorie del 41%. Ancora più alti (+48%) quelli per malattie respiratorie.
Anche leggendo gli altri dati si comprende come la situazione sanitaria nei due comuni in prossimità del Centro Olio sia ben differente rispetto al resto della valle.
Ma l’Eni minimizza
Anche in assemblea, l’Eni ha cercato di ridimensionare la portata dello studio, di fatto “dimenticando” come la VIS si base su anni di ricerche e approfondimenti. Ma dopo aver riconosciuto l’esistenza di un “problema Basilicata” nell’assemblea dello scorso anno, per bocca dello stesso ad Claudio Descalzi, i vertici dell’azienda nell’incontro di inizio maggio 2018 hanno omesso ogni riferimento al Texas d’Italia, come viene anche definita la Lucania.
Il Centro Olio secondo Eni
Eppure, come ha ricordato loro il documentarista Mimmo Nardozza, lo stesso Centro Olii di Viggiano nel 2017 è stato chiuso per quattro mesi a causa di uno sversamento di 400 tonnellate di greggio – che l’Eni sostiene sia stato per buona parte recuperato – e soprattutto si è aperto il processo presso il Tribunale di Potenza che vede alla sbarra i responsabili dell’impianto.
Questi ultimi sono accusati di aver smaltito illecitamente i rifiuti prodotti dall’estrazione del petrolio, con procedure che hanno fatto conseguire all’azienda un ingiusto profitto per milioni di euro.
“Un altro motivo per cui la Basilicata non è contenta di Eni – ha affermato Nardozza in assemblea – è che l’occupazione generata direttamente dall’impresa e nell’indotto, non è così alta, oltre a essere caratterizzata da una prevalenza di manodopera extraregionale, da una prevalenza di contratti a termine e da una concentrazione della manodopera locale nelle attività a più basso valore aggiunto”. Ma anche su questo punto la dirigenza del Cane a Sei Zampe è sembrata glissare…