All’Onu c’è una proposta per riformare la fiscalità globale
Già votato dai Paesi del Sud del mondo, il testo trova l’opposizione dei Paesi più ricchi, che vogliono mantenere i paradisi fiscali
C’è un’iniziativa delle Nazioni Unite a cui i Paesi del Sud globale guardano con particolare interesse. È una riforma quadro a livello internazionale del sistema fiscale. La riforma è stata già votata da una commissione ad hoc dell’Onu. Il passaggio in commissione è passato inosservato, complice anche il calendario: il voto risale al 16 agosto scorso. Ma tant’è.
Il 16 agosto almeno si è fatto un passo avanti in sede Onu per definire il perimetro d’azione all’interno del quale decidere le misure che assicurino alle multinazionali del globo un sistema fiscale equo. Evitando da un lato l’evasione e promuovendo dall’altro l’ottimizzazione fiscale. L’idea è quella di organizzare una distribuzione più equa dei diritti fiscali tra i Paesi riuscendo a far pagare le tasse alle multinazionali ovunque operino.
I Paesi ricchi già si oppongono
Il cammino del testo è tutt’altro che in discesa: gli Stati membri Onu non guardano in modo compatto all’iniziativa. Il 16 agosto scorso, la stragrande maggioranza dei 110 voti favorevoli è arrivato dai Paesi emergenti. Australia, Canada, Israele, Corea, Giappone, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti hanno votato contro. In tutto 44 le astensioni, tra cui i 27 dell’Unione europea. Che in un’altra occasione avevano votato contro.
La delegazione dell’Unione europea ha giustificato la propria astensione dicendo di ritenere il processo poco trasparente e poco inclusivo. Privo di una strategia volta a raggiungere un consenso. Voto contrario invece da parte della delegazione americana, che ha chiesto di tenere presente quanto raggiunto in altre sedi negoziali. Il riferimento è soprattutto ai negoziati in sede Ocse.
L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, soprannominata anche «club dei paesi ricchi», cui si deve il meccanismo di tassazione per le multinazionali al 15% e un dispositivo di scambio automatico delle informazioni bancarie tra i diversi Paesi. Troppo poco per 60 anni di negoziati caratterizzati «da un processo opaco, dominato dai Paesi sviluppati» secondo i detrattori.
È partita anche da qui la riscossa in sede Onu dei Paesi del sud del mondo, capitanati dalla Nigeria. All’indomani del voto alle Nazioni unite, Alex Cobham, direttore generale di Tax Justice Network, commentava: «È un giorno storico, si è fatto di più in qualche mese di negoziati Onu che in 60 anni di lavori Ocse».
Il cammino è ancora lungo per la riforma della fiscalità globale
«Il problema è annoso – spiega Misha Maslennikov, di Oxfam Italia– e annosa è la soluzione. I Paesi con sistemi fiscali più attraenti sono recalcitranti a una governance internazionale in materia. In sede Ocse si è assistito a un processo democratico che in quanto tale ha portato a un compromesso. E un compromesso è già un passo avanti rispetto al niente».
La politica dei piccoli passi resta una valida tattica, ma cosa dobbiamo attenderci dal Palazzo di vetro? «Spero solo che il processo alle Nazioni Unite non rimanga vittima di se stesso. Ingabbiato dietro grandi proclami giuridicamente non vincolanti», dice ancora Maslennikov.
Per completare l’iter ci vogliono ancore tre anni. Dopo la discussione alla 97ma Assemblea generale che si è tenuta a New York a fine settembre, una nuova commissione negoziale sarà incaricata di elaborare il testo definitivo della convenzione quadro. Che prevede un accordo generale e due protocolli giuridicamente vincolanti. Uno di questi dovrebbe affrontare la tassazione dei redditi derivanti dalla fornitura di servizi transfrontalieri, in un’economia sempre più digitalizzata e globalizzata.
La nuova commissione avrà quindi tre anni per completare i lavori. E l’accordo sarà finalmente sottoposto all’attenzione dell’Assemblea generale Onu nel 2027. In quell’occasione, tutti i 193 Stati membri dovranno pronunciarsi. Il trattato sarà quindi adottato dall’Assemblea generale e solo in seguito gli Stati potranno procedere alla ratifica.
I profitti delle multinazionali nei paradisi fiscali
Stando all’Atlas of the Offshore World, che raccoglie i dati dell’Osservatorio europeo del fisco, le cifre dell’evasione sono vertiginose. Circa 12mila miliardi di dollari, pari al 12% del Pil mondiale, trovano riparo nei paradisi fiscali o nei Paesi che propongono un fisco agevolato. Sempre secondo il centro di ricerca, le aziende trasferiscono nei paradisi fiscali circa il 36% dei ricavi generati fuori dal Paese in cui hanno la sede centrale.
Ricavi che nel solo 2022 hanno rappresentato circa 1.000 miliardi di dollari. E che per un 35% provengono dai Paesi dell’Unione europea, per un 35% dal resto dei Paesi sviluppati e per un ultimo 30% dal resto del mondo. In Europa, il principato di Monaco, così come Irlanda, Svizzera, Lussemburgo sono tra i principali paesi di approdo di queste fortune.
Un voto che va oltre l’equità del sistema fiscale globale
Il testo lavora quindi nella prospettiva che le somme strappate ai paradisi fiscali possano generare tasse supplementari, soprattutto per i Paesi del Sud globale. Permettendo così di finanziare i progetti che rientrano negli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu. Ma la grande novità è che con il voto per un sistema fiscale mondiale si mette in discussione l’equilibrio di potere cui si era abituati finora. Il voto ha certamente una valenza etica, nonché geopolitica, di primo piano.
Già a novembre 2023, l’Unione africana dichiarava: «La lotta durata decenni dei Paesi del Sud del mondo per mettere in piedi un processo inclusivo in sede Onu e partecipare all’agenda e alla regolamentazione in materia di tasse è oggi una realtà». «L’idea di una convenzione quadro non è solo un percorso politico», aveva aggiunto il presidente del gruppo africano all’Onu ha dichiarato. «È un segnale di speranza per i Paesi del Sud che a lungo hanno chiesto di avere voce nel disegnare le regole internazionali in materia di tasse e contrastare gli attuali vuoti nella legislazione».