In 10 giorni gli ultra-ricchi hanno emesso la CO2 che spettava loro per tutto il 2025
Secondo Oxfam, l'1% più ricco dell'umanità ha esaurito in 10 giorni le emissioni di CO2 che avrebbe dovuto generare in un anno
L’1% più ricco dell’umanità ha già consumato il proprio carbon budget del 2025, riferisce un nuovo rapporto dell’ong Oxfam. Con carbon budget si intende la quantità di gas climalteranti che l’umanità nel suo complesso può permettersi di disperdere in atmosfera prima di superare matematicamente i limiti di contenimento della temperatura terrestre fissati a livello internazionale. Diversi studi hanno nel tempo calcolato una quota individuale annuale, immaginando un’equa distribuzione delle emissioni. L’analisi di Oxfam si riferisce proprio a questa quota, prendendo in considerazione solo l’anidride carbonica (CO2) e non altri gas climalteranti.
I ricchi riversano CO2 in atmosfera, i poveri subiscono le conseguenze
I ricercatori dell’ong individuano l’élite dei più ricchi del Pianeta in chi guadagna più di 140mila dollari l’anno, in termini di parità di potere d’acquisto. Si tratta di circa 77 milioni di individui. Pur essendo appena l’1% dell’umanità, sono responsabili da soli di quasi il 16% delle emissioni globali nel 2019. Quest’anno questi ultra-ricchi hanno esaurito la loro quota equa di CO2 nell’arco di appena dieci giorni. Per contro, si legge sempre nello studio, il 50% più povero dell’umanità – 3,9 miliardi di persone con un reddito annuo inferiore ai 2mila dollari – è responsabile al 2019 del 7,7% delle emissioni globali. Per consumare la loro quota annuale, queste persone impiegano quasi tre anni.
Dal report emergono altri numeri. I danni economici subiti dalle nazioni a basso e medio reddito negli ultimi trent’anni a causa del riscaldamento globale equivalgono al triplo degli aiuti forniti dalle nazioni industrializzate nello stesso lasso di tempo. Al 2050 le sole emissioni dell’1% più ricco potrebbero causare una perdita nelle colture pari a quanto necessario per sfamare dieci milioni di persone ogni anno nel Sud-est asiatico. Otto su dieci morti legate al calore estremo avverranno in nazioni a basso e medio reddito, per il 40% nel Sud-est asiatico.
Il contesto: un Pianeta quasi sopra gli 1,5 gradi
Il 2024 si era chiuso con la notizia, data dal programma europeo Copernicus, del superamento per dodici mesi consecutivi dei +1,5 gradi centigradi di media rispetto all’era preindustriale. A quando, cioè, le attività umane non avevano ancora iniziato a modificare il clima. Evitare di sforare questa soglia è l’obiettivo «preferibile» concordato da tutti i governi del Pianeta nel corso della Cop21 del 2015. Si tratta del famoso Accordo di Parigi, la più importante intesa sul contrasto alla crisi climatica. In quello stesso documento le nazioni firmatarie si danno come limite massimo i 2 gradi.
Gli scienziati di Copernicus avvertono che questi dati non sono sufficienti per considerare superato definitivamente l’obiettivo degli 1,5 gradi. Serviranno osservazioni su lassi di tempo più lunghi. Ma la comunità scientifica è sempre più pessimista a riguardo. Nel 2024 diversi eventi metereologici estremi sono stati correlati alla crisi climatica. Tra questi gli uragani Helene e Hamilton che hanno colpito la costa est degli Stati Uniti, le inondazioni in Nepal, il tifone Yagi nel Sud-est asiatico, l’alluvione di Valencia in Spagna, il ciclone Boris in Europa centrale.