Pedemontana Veneta, macchina mangia-soldi che piace alla Lega e dissesta i conti
L'arteria da 94 km tra Vicenza e Treviso è un esempio perfetto di grande opera che arricchisce i concessionari e crea voragini nei conti
Il merito è di aver creato un precedente, una sorta di esempio negativo, un monito alle generazioni che verranno. Per il resto Pedemontana Veneta, arteria di 94 km tra Montecchio Maggiore (Vicenza) e Spresiano (Treviso), è soprattutto una pericolosa voragine per i conti pubblici, frutto di un macroscopico errore di calcolo. E in 28 anni ne sono passati di governi, di giunte, di ispettori, di commissari. Ma nessuno, davvero nessuno, ha avuto nulla da ridire. Salvo poi correggersi in corner con un piano finanziario che certo migliora, ma non risolve.
Scontro Lega-M5S sulla sostenibilità dell’opera
E se le grandi opere sono il vero terreno di scontro tra Lega e 5Stelle, Pedemontana Veneta è al centro di una guerra senza esclusione di colpi in Regione, che a più riprese minaccia di arrivare a Roma (dove in realtà era già arrivata con interrogazioni parlamentari di fuoco fatte dai grillini nella precedente legislatura quando erano all’opposizione). Le recenti esternazioni del ministro Toninelli sulla dubbia sostenibilità dell’opera hanno subito messo in allarme la giunta del leghista Luca Zaia, pronto ad alzare le barricate su quel nastro d’asfalto.
https://www.facebook.com/tgrveneto/videos/pedemontana-il-ministro-toninelli-e-i-pentastellati-veneti-puntano-i-piedi-nessu/1951361321614375/
Una macchina divora soldi (pubblici)
Sorvoliamo sul passato (l’arteria è menzionata nel lontano piano regionale dei trasporti del 1990 e inserita nel 2001 nella Legge Obiettivo) se non per dire che da un contributo regionale di 174 milioni si è passati a un impianto finanziario interamente puntellato da fondi e garanzie pubbliche, alla faccia del project financing, mentre il costo è raddoppiato a quota 3 miliardi.
Arriviamo dunque all’ultimo atto di questo psicodramma, frutto di uno stillicidio di revisioni e aggiustamenti nell’ultimo quinquennio: la terza Convenzione – e relativo Piano finanziario – del maggio 2017.
Attori: la Regione Veneto e il Consorzio SIS, concessionario controllato dal costruttore piemontese Dogliani e dalla spagnola Sacyr, che a sua volta fa capo alla compagnia petrolifera Repsol.
Scenario: la giunta Zaia, al governo da quasi un decennio, che attraverso il potente assessore alle infrastrutture Renato Chisso – anello di congiunzione con la precedente giunta Galan, arrestato nel 2014 – avrebbe asfaltato mezzo Veneto con oltre 600 km di nuova rete a pedaggio, se l’inchiesta sul Mose non avesse azzerato tre quarti dei progetti.
In versamenti successivi lo Stato ha messo sul piatto 614 milioni e la Regione altri 300, a fondo perduto. Il finanziamento invece (1,7 miliardi) passa attraverso un’obbligazione internazionale al 5% interamente garantita – qui sta il punto – da Regione Veneto. Ciò significa un esborso di 87 milioni all’anno di interessi, mica noccioline, al netto di eventuali problemi di solvibilità.
Il concessionario vince sempre
Ma è sulla gestione che incombe il peggio. La novità è che ad incassare i pedaggi è direttamente la Regione, che ne gira una parte (il cosiddetto “canone di disponibilità”) al concessionario. Un passo avanti, se non fosse che i numeri sono tutti a favore del concessionario.
In 39 anni quest’ultimo incasserà 12,1 miliardi di canone, più un miliardo di altri ricavi (aree di servizio, ecc), in cambio della gestione. Ma quanto guadagnerà? Tolti costi e tasse, resta un utile di 5,7 miliardi. Numeri difficili da trovare perfino nel dorato mondo delle concessionarie (nemmeno Autostrade per l’Italia guadagna tanto). Ma soprattutto soldi garantiti, a prescindere dalle condizioni di traffico o di mercato. Per nulla garantito invece è l’introito della Regione. Qui il rischio traffico c’è eccome ed è tutto a carico del pubblico. Vediamo i numeri.
Le parole di fuoco di Cassa Depositi e Prestiti
Con il secondo pedaggio più caro d’Italia – 16,8 cent al km per auto e moto e 30 cent per gli altri mezzi – e un flusso medio a regime di circa 46mila veicoli unici giornalieri, il ricavo atteso è di 12,7 miliardi. Dunque non solo l’utile è praticamente azzerato (con un canone di 12,1 mld) ma il rischio di perdite è altissimo.
La previsione di traffico infatti è visibilmente sovrastimata. In uno studio del 2016 Cassa depositi e prestiti e Banca europea per gli investimenti (BEI) usavano toni durissimi contro l’opera, ipotizzando un ribasso del 45% del traffico.
«Il ritorno economico e sociale del progetto – scriveva CdP in una nota del 5 ottobre 2016 inviata alla Corte dei Conti – risulta notevolmente inferiore ai rivelli ritenuti accettabili dalla BEI per la finanziabilità» dell’opera.
Queste previsioni dello studio CDP-BEI avrebbe conseguenze tragiche per la Regione, ovvero una perdita secca di oltre 5 miliardi. Numeri da brivido che, sebbene spalmati su 39 anni, assesterebbero un duro colpo alle finanze regionali. Ma bastava osservare il traffico delle strade adiacenti per avere il senso della realtà. La Valdastico sud è percorsa da 15mila veicoli giornalieri e la media non sale di molto nel comprensorio tra Vicenza e Treviso.
Senza viabilità complementare, previsioni di traffico impensabili
Ma non è tutto. I veicoli ipotizzati presuppongono un’arteria a pieno regime, con tanto di viabilità complementare. Non è un dettaglio, poiché i 67 km di svincoli e strade di collegamento sono finanziati solo per il 40% e senza le connessioni con la rete esistente sarà ben difficile veicolare traffico sulla Pedemontana. «Forse si spera di attrarre nuove attività produttive e scaricare sulle imprese i collegamenti mancanti», spiega massimo Follesa, attivissimo portavoce del Co.Ve.Pa (Coordinamento Veneto Pedemontana Alternativa). Dunque nuovo cemento per finanziare l’asfalto.
E il terreno già dà segni di insofferenza
Una prassi che il territorio sopporta sempre meno. I due crolli nel cantiere di Valle dell’Agno nel 2016 e nel 2017 – dove perse la vita un operaio – mise i progettisti di fronte a un terreno che mal sopporta infrastrutture di quel genere.
Basta percorrere le campagne vicentine per vedere sorgive spontanee nei cortili delle ville: è l’effetto di falde superficiali che attraversano tutta la zona e che si fanno sentire ogni qualvolta si muove il sottosuolo. Per non parlare dei rilievi, ancora più rischiosi in fase di scavo. «Ciò comporterà interventi di manutenzione continui e costosi, soprattutto in galleria – continua Follesa – pensiamo solo alle opere di drenaggio. Sempre che non si verifichino eventi imprevisti». Costi umani ed economici che potrebbero far lievitare il conto, già troppo salato, di un’opera nata male.