L’Europa ha 10 anni per prepararsi all’addio al petrolio
A partire dal 2030, secondo The Shift Project, le importazioni europee di petrolio dalle nazioni produttrici caleranno in modo «irreversibile»
Possiamo scordarci i tempi dell’abbondanza petrolifera. Anzi, dobbiamo ricordarci della crisi degli anni Settanta e comprendere che, a breve, si tratterà della normalità. Un rapporto del think tank francese The Shift Project spiega che i sedici Paesi che forniscono greggio all’Unione europea vedranno la loro produzione crollare a partire dal 2030. Un fattore che dovrebbe imporre una rapida e repentina revisione della politica energetica nel Vecchio Continente.
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Il petrolio va incontro ad un declino «marcato e irreversibile»
Il documento, pubblicato alla fine dello scorso mese di maggio, ha analizzato i dati relativi, non solo alla produzione, ma anche alle riserve esistenti. La conclusione è senza appello: «Appare acquisito che gli anni Trenta vedranno un declino marcato e irreversibile» dell’output. A cominciare da una riduzione del 10-30%. Ciò rispetto ai 550 milioni di tonnellate di idrocarburi liquidi importati ogni anno, che ancora oggi alimentano il 90% del settore dei trasporti.
Secondo Matthieu Auzanneau, direttore dello Shift Project, ciò rappresenta «un motivo in più, oltre agli impegni climatici, per pianificare l’abbandono del petrolio». Lo studio precisa, infatti, che la produzione di greggio da parte delle sedici nazioni analizzate «dovrebbe, dopo un rimbalzo post-pandemia, stagnare attorno ai 18-19 miliardi di barili all’anno negli anni Venti. Un valore già in calo rispetto ai 19,5 miliardi del 2019». Quindi, a partire dal 2030, «si dovrebbe entrare in una fase di declino che porterà i barili tra i 13,6 e 15 miliardi nel 2040. E tra i 9,4 e 10,3 miliardi dieci anni più tardi».
Lo shale oil non basterà a invertire la tendenza
Secondo il rapporto, non basterà neanche la produzione americana di petrolio da scisto a cambiare il trend. Il light tight oil, infatti, non viene considerato come un elemento game changer: «La rarefazione già esistente delle zone più produttive rappresenta un segnale premonitore». Inoltre, il comparto è «estremamente dipendente da una politica monetaria accomodante. E da un livello elevato del prezzo del petrolio». I costi e il modello economico del petrolio da scisto sono infatti tali da imporre un “corridoio stretto” ai produttori.
Lo Shift Project spiega inoltre che è attualmente la Russia il primo fornitore di greggio per i 27 Paesi membri dell’Unione europea. Da Mosca arriva circa il 30% dell’approvvigionamento (dati del 2018). «La Russia è al secondo posto mondiale in termini riserve naturali, identificate o potenziali, di petrolio convenzionale. Il valore è pari a circa 100 miliardi di barili. Al primo posto figura l’Arabia Saudita e al terzo l’Iraq», precisa il rapporto.