Petrolio, il veleno eterno dei nostri mari: il disastro della Haven
Era il 1991 quando la nave Haven affondò al largo della Liguria. Sversando tonnellate di petrolio che hanno cambiato per sempre l’ecosistema
Il petrolio domina le nostre vite. In Italia rappresenta ben il 38,5% del totale del mix energetico secondo il Preconsuntivo petrolifero 2024 dell’Unem, Unione energie per la mobilità. Lo respiriamo, lo vediamo soffocare i mari e scatenare disastri ambientali che continueranno a provocare danni per decenni. L’ultimo allarme arriva dal Mar Nero, dove a metà dicembre una tempesta nello stretto di Kerch ha gravemente danneggiato due petroliere russe. Una delle navi si è spezzata in due ed è affondata, provocando almeno una vittima tra i membri dell’equipaggio. La petroliera naufragata trasportava 4.300 tonnellate di olio combustibile ed è accertato che sia in atto uno sversamento in mare. Ancora non si conosce l’entità dell’inquinamento. Per comprendere le conseguenze di questo tipo di incidenti, è necessario chiedersi: dove finisce il petrolio una volta disperso in mare?
Il disastro della petroliera Haven nel 1991
Un caso emblematico accaduto in Italia è quello della petroliera Haven, che nel 1991 affondò al largo della costa ligure, davanti ad Arenzano, riversando in mare 144mila tonnellate di petrolio e provocando la morte di cinque membri dell’equipaggio. L’incidente avvenne pochi giorni dopo il tragico scontro del Moby Prince, in cui morirono 140 persone. A distanza di oltre 30 anni, il petrolio della Haven è ancora lì. La bonifica del fondale non è mai stata fatta e il terreno di quel mare oggi è una distesa di asfalto.
Ezio Amato, biologo marino all’epoca responsabile delle operazioni di bonifica, se lo ricorda bene quel petrolio, depositato sul fondale marino in un tappeto spesso e duro di catrame dove i pesci ancora oggi scavano tane e vivono in un ecosistema permanentemente deturpato. «All’epoca ero perito della Procura della Repubblica e lavoravo sul caso per analizzarne cause e conseguenze, in un periodo in cui i danni ambientali non erano ancora formalmente riconosciuti come reati. Si stimò che circa 50mila tonnellate di petrolio, trasformate in catrame, si fossero depositate sui fondali. Oggi quel catrame è ancora tutto lì».
Le conseguenze a lungo termine del petrolio della Haven
Con un batiscafo Amato arrivò fino a 700 metri di profondità, documentando e prelevando campioni. Questi dati, portati in tribunale, dimostrarono l’esistenza di un grave inquinamento dei fondali. «Le risorse economiche disponibili per la bonifica erano veramente ridicole – spiega –. Ci concentrammo solo sulla pulizia delle spiagge, come quella di Arenzano, dove le mareggiate portavano a riva gli idrocarburi. Ma il grosso problema era in profondità».
Si decise di intervenire solo nei primi 10 metri dalla superficie per rimuovere il catrame dalle aree più accessibili. «Ho sempre sostenuto – prosegue Amato – che il problema del petrolio non si limita agli effetti immediati, ma si estende a conseguenze gravi e a lungo termine: tumori, mutazioni genetiche e anomalie congenite. Gli idrocarburi policiclici aromatici, rilasciati dalla combustione del petrolio, sono sostanze cancerogene e mutagene. Uno studio diretto da me con l’università di Alessandria ha mostrato che gli organismi cresciuti sulla relitto della petroliera Haven assorbono elevate quantità di tossine che sono cancerogene, teratogene per l’organismo. Questo prova che il relitto è una fonte di inquinamento continuo».
In quelle zone non c’è un divieto formale di pesca, ma di fatto l’attività è diventata impraticabile: quando i pescatori calano le reti, sollevano petrolio. Lo scampo, il frutto più pregiato di quel mare, non è più pescabile poiché la sua struttura anatomica, caratterizzata da numerosi interstizi, rende impossibile rimuovere il petrolio che lo ricopre.
Il letto di catrame sui fondali del Mar Ligure
Dopo il processo, il risarcimento per il disastro ambientale fu inizialmente destinato a progetti di bonifica dei fondali marini. Nel 2009, però, questi fondi vennero dirottati per la messa in sicurezza della ex fabbrica Stoppani di Cogoleto, che aveva cessato la sua attività nel 2003 per danni ambientali causati dagli sversamenti in mare di cromo esavalente e zinco. Una parte fu destinata alla cassa integrazione degli operai.
Il fondale marino della Haven quindi non è mai stato ripulito e quell’ecosistema si è trasformato. «Già nel 1995 osservavo organismi marini adattarsi a questo nuovo habitat: pesci che scavavano tane nei cumuli di catrame o lo usavano come substrato per vivere», osserva Amato. Col passare del tempo, è emerso che una specie di pesce mostrava una percentuale di tumori al fegato significativamente più alta rispetto ai pesci simili pescati in altre aree.
Si pensa che il petrolio, essendo un prodotto naturale, con il passare degli anni si decomponga grazie all’azione batterica. Ma è davvero così? «All’epoca – spiega Amato – alcuni ritenevano che non fosse necessario intervenire, convinti che, col tempo, tutto si sarebbe seppellito naturalmente. Ma per questo è necessario un tasso di sedimentazione elevato, che nel Ponente ligure è praticamente inesistente. Lì, infatti, il tasso di sedimentazione è così basso che il catrame rimane esposto, reso quasi indistruttibile dalla scarsità di ossigeno nelle profondità marine. Mezzo metro di sedimenti non si formerà in quella zona se non nei prossimi millenni. Il petrolio resterà lì, senza essere seppellito».