PFAS nelle acque della Val di Susa, dubbi sui cantieri della Tav
Mentre ripartono i cantieri per la Tav Torino-Lione, emerge un nuovo problema ambientale in Val di Susa: la presenza di PFAS nelle acque
Mentre ripartono i cantieri per lo scavo del tratto italiano del tunnel di base del Moncenisio, per la Tav Torino-Lione, emerge un nuovo inquietante problema ambientale in Val di Susa. Un’inchiesta di Greenpeace Italia ha scoperto una contaminazione da PFAS (sostanze poli- e perfluoroalchiliche) nelle acque potabili di oltre 70 Comuni dell’area metropolitana di Torino, di cui ben 19 situati in Val di Susa.
I dati sulla presenza di PFAS nei Comuni della Val di Susa
I dati provengono dal gestore delle acque potabili SMAT e risalgono a marzo 2023, ma sono stati comunicati a Greenpeace a seguito di una richiesta di accesso agli atti solo nel 2024.
In questi Comuni montani, lontani da impianti chimici, i valori del parametro “Somma di PFAS” oscillano tra i 10 e i 96 nanogrammi per litro, molto vicino alla soglia limite di 100 nanogrammi per litro stabilita dal decreto legislativo n.18 del 23 febbraio 2023 che ha recepito la direttiva europea 2020/2184. Limite che in realtà non garantisce alcuna sicurezza, in quanto queste molecole, create dall’uomo e definite inquinanti eterni, si accumulano nell’ambiente e negli esseri viventi e non si biodegradano.
Non ci sono quindi soglie sotto le quali si può stare certamente tranquilli, tanto che in altri Paesi le linee guida sono molto più restrittive. Ad esempio, in Danimarca il limite per PFOS e PFOA è di soli 2 nanogrammi/litro. Gli Stati Uniti hanno adottato il 10 aprile 2024 valori di zero nanogrammi/litro per il PFOA e il PFOS nelle acque potabili. Per un’altra serie di composti, le soglie sono vicine allo zero.
I PFAS sono potenziali interferenti endocrini e cancerogeni. Numerosi studi scientifici ricollegano un’esposizione prolungata a tali sostanze a disturbi di vario genere, tra cui diminuzione della fertilità, problemi nello sviluppo del feto, disfunzioni metaboliche, fino all’insorgenza di alcune neoplasie.
«Scarsa trasparenza sulla presenza di PFAS nelle acque della Val di Susa»
«Mentre in altre aree montane si registrano livelli bassi o nulli di PFAS nelle acque potabili (val Pellice, val Chisone, val di Viù), nella Val di Susa la contaminazione si rivela molto diffusa e preoccupante», spiega Silvio Tonda, del comitato Acqua SiCura che è stato creato nei Comuni della valle. «Hanno trovato PFAS anche a 1.600 metri di altezza. A Gravere c’è una fonte a 1.200 metri, dove i torinesi attingono quella che considerano acqua purissima. Qui la SMAT ha trovato la più alta concentrazione di PFAS, 96 nanogrammi per litro. Dati simili per il Comune vicino, Chiomonte, dove sono stati riscontrati valori molto elevati di PFOA (sicuro cancerogeno). Sono i più alti di tutto il territorio piemontese, ad eccezione dell’area del sito produttivo Solvay».
Questi valori erano in possesso di SMAT dal marzo 2023. Eppure, l’unico provvedimento assunto dall’ente gestore è stata una comunicazione ai sindaci nella quale confermava la salubrità dell’acqua potabile, in quanto entro i limiti di legge. «I dati successivamente comunicati da SMAT prevedono dei “valori medi” che non chiariscono la reale entità della presenza di PFAS in ogni singolo punto di prelievo», commenta Adele Binelli, anche lei del Comitato Acqua SicuRa. «Siamo fortemente preoccupati per la mancanza di trasparenza, di comunicazione, di chiarezza. Abbiamo chiesto a Regione, Arpa, Città Metropolitana di Torino da dove viene questa contaminazione. Le risposte non ci sono state: ci dicono solo di stare tranquilli, che i prelievi successivi sono più bassi. Ma noi non siamo tranquilli: l’acqua potrà essere nuovamente inquinata, se non capiamo la causa».
La cittadinanza teme che l‘inquinamento sia causato anche dai lavori per la Tav
È plausibile che l’inquinamento sia in parte causato dai lavori collegati alla Tav, nel cantiere a La Maddalena di Chiomonte. Materiali contenenti PFOA vengono usati generalmente come tensioattivi negli scavi di tunnel e gallerie. Successivamente, si depositano nelle terre e rocce che vengono estratte durante gli scavi.
A far propendere verso questa ipotesi è il fatto che nel Canton Ticino, in Svizzera, l’amministrazione territoriale abbia stabilito che i lavori di scavo per la Galleria delle Ceneri hanno causato la presenza di PFAS. Sono state rilevate contaminazioni da PFAS anche nei pressi dei lavori di scavo a Castelgomberto (VI) per la Strada Pedemontana Veneta (SPV). E a Desenzano e Lonato (BS), interessati dai cantieri di scavo per la Tav veneta.
La TELT nega l’uso di PFAS negli scavi per la Tav in Val di Susa, ma non li esclude per il futuro
In seguito alle proteste della cittadinanza, nell’aprile 2024 la TELT, la società binazionale incaricata dai governi italiano e francese di gestire la realizzazione della linea, ha redatto una nota (non firmata e senza documentazione tecnica) che nega l’uso di PFAS negli scavi della galleria della Maddalena avvenuti tra il 2013 e il 2017. Ma non ne esclude l’utilizzo in futuro. «Le lavorazioni previste per lo scavo del tunnel di base in Italia faranno probabilmente uso di additivi durante la fase di sottoattraversamento del Cenischia. In fase di progettazione esecutiva si valuterà se si rende necessario l’impiego di additivi contenenti PFAS e in quali quantità». Per poi rassicurare che si metteranno in campo misure non meglio definite per contenere gli impatti.
«Anziché una riduzione, ci sarà quindi un possibile aggravio della contaminazione», commenta Silvio Tonda. «Abbiamo chiesto un tavolo di lavoro presso le Unioni Montane del territorio con SMAT, ARPA, ASL. Vogliamo che si indaghi e si accerti la causa di questa contaminazione. Vogliamo avere dati puntuali e grezzi dell’inquinamento e non le medie come fatto finora. Chiediamo un piano di intervento, la messa in sicurezza dei punti di rilascio dei PFAS e, soprattutto, il divieto di produzione e utilizzo di queste sostanze».
Non solo PFOA e PFAS: rilevato anche il C6O4
In sei Comuni (Bardonecchia, Venaus, Villar Focchiardo, Avigliana, Caprie e Susa), oltre a PFOA e PFAS, le analisi hanno rilevato il C6O4. Si tratta di una sostanza perfluoroalchilica a catena corta prodotta unicamente dalla ex Solvay (oggi Syensqo) a Spinetta Marengo (Al) che ne detiene il brevetto. A questo impianto è stato imposto uno stop alla produzione, dal 7 giugno scorso per 30 giorni, per il superamento dei limiti di PFAS nelle acque.
La pericolosità per la salute umana del C6O4 è ancora poco indagata. Uno studio dell’Università di Padova, però, invita alla prudenza in quanto sembrerebbe provocare (almeno sulle vongole veraci) alterazioni anche peggiori dei “tradizionali” PFAS. Ma come sia finito del C6O4 a centinaia di km di distanza, in cima alla Val di Susa, resta un mistero.
Mentre i cantieri si allargano, la decennale protesta contro la Tav prosegue. Così come la repressione. Dopo aver già scontato mesi di carcere e arresti domiciliari per aver messo in pratica la disobbedienza civile, Nicoletta Dosio è di nuovo ai domiciliari. All’età di 78 anni. Una nutrita schiera di associazioni ambientaliste e comitati (tra cui il Comitato Acqua SiCura, la rete delle Mamme da nord a sud, le Mamme in piazza per la libertà di Dissenso, il Collectif des Mères Solidaires di Parigi e le Madres Contra la Represion di Madrid) hanno lanciato un appello per la sua liberazione.