Il destino dell’ex Ilva è sempre più incerto

Governo, Confindustria e sindacati vogliono tenere attiva l'ex Ilva; cittadini, medici e parte degli operai ne invocano la chiusura

Linda Maggiori
L'ex Ilva di Taranto nel 2007 © mafe de baggis/Wikimedia Commons
Linda Maggiori
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L’ultimo colpo di scena nella rocambolesca vicenda dell’ex Ilva, si è consumato venerdì 2 febbraio, quando il tribunale di Milano ha respinto il ricorso di Acciaieria d’Italia (ADI) contro l’amministrazione straordinaria prevista dal governo. Lo stesso giorno, l’azienda, il cui socio di maggioranza è Arcelor Mittal (multinazionale franco indiana, che detiene il 68% delle quote, mentre il 32% è di Invitalia, statale) si è opposta alla visita ispettiva voluta dal ministro delle Imprese Adolfo Urso facendola terminare repentinamente. Insomma il braccio di ferro tra l’esecutivo e il socio privato ArcelorMittal continua. È sempre più vicina l’amministrazione straordinaria per Acciaieria d’Italia (gestore), dopo che già l’Ilva (proprietaria degli impianti) è in amministrazione straordinaria dal 2012. Oltre agli impianti ormai obsoleti e pericolosi, ammontano a circa 3,1 miliardi di euro i debiti di ADI, fra i creditori figurano importanti colossi industriali come Unicredit, Eni, Snam ed Enel.

Ma mentre si consuma il litigio tra socio privato e statale, e mentre governo, imprenditori e sindacati vogliono salvare «la continuità produttiva» a tutti i costi, associazioni di genitori, cittadini, medici di Taranto e anche parte degli operai chiedono la chiusura dell’impianto inquinante, ormai al collasso.

L’ex Ilva continua a contaminare terra, aria e acqua

Il più grande impianto siderurgico d’Europa, esteso su 15 chilometri quadrati di superficie, in oltre mezzo secolo ha contribuito a contaminare terra, aria e acque. Dopo il processo Ambiente svenduto che ha portato alla condanna in primo grado dei dirigenti Riva e altre figure apicali, l’ex Ilva ha continuato a produrre, nonostante il sequestro imposto dalla magistratura agli impianti pericolosi e inquinanti, in virtù di continui decreti legge Salva Ilva e dello scudo penale garantito ai nuovi gestori.

Sul lato ambientale, come denuncia Peacelink consultando i dati delle centraline Arpa negli ultimi otto anni, la situazione non solo non è migliorata, ma si ha la netta conferma dell’aumento del benzene, noto cancerogeno, nel quartiere Tamburi di Taranto, il più vicino all’acciaieria. «È la conferma che la cosiddetta “ambientalizzazione” dell’ILVA è fallita», commenta il presidente di Peacelink Alessandro Marescotti. Anche l’Europa si è più volte espressa, sollecitata da ricorsi dei cittadini. Prima la Commissione europea nel 2013 aveva avviato una procedura di messa in mora nei confronti dell’Italia. Poi, nel 2019, la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) aveva accertato che l’acciaieria provocava danni all’ambiente, nuocendo alla salute dei cittadini. E che lo Stato non faceva abbastanza per i diritti dei tarantini.

I cittadini danneggiati dall’inquinamento chiedono giustizia

«Non c’è una sola famiglia in città che non abbia avuto un lutto a causa delle emissioni inquinanti dell’ex Ilva». A dirlo è Massimo Castellana, portavoce dell’associazione Genitori Tarantini, passata alle vie legali nel 2021 con un’azione inibitoria nei confronti dell’acciaieria presentata al Tribunale di Milano. Nel settembre del 2022, il Tribunale ha sospeso il procedimento optando per un rinvio alla Corte di giustizia dell’Unione europea, in modo da chiarire dei dubbi riguardanti l’interpretazione delle direttive europee. Nel 2023 si è aggiunta anche una class action risarcitoria presentata da oltre cento cittadini danneggiati dall’inquinamento dell’acciaieria. «Il diritto alla vita, in primis, è stato leso in via permanente a causa di comportamenti dolosi tuttora in atto che provocano un inaccettabile inquinamento causato dalle emissioni provenienti dagli impianti dello stabilimento siderurgico Ilva di Taranto», spiegano nella loro causa.

La Corte di giustizia europea si esprimerà ad aprile. La sentenza, se positiva, potrebbe aprire la porta non solo alla causa inibitoria fermando gli impianti, ma anche alle richieste milionarie di risarcimento dei cittadini danneggiati. «Attualmente l’acciaieria è priva di AIA (Autorizzazione integrata ambientale), fatto gravissimo», spiega l’avvocato dei ricorrenti, Maurizio Rizzo Striano. «Inoltre nelle sue conclusioni l’Avvocatura generale della Corte di giustizia europea ha affermato che è doveroso tutelare la salute anche a costo di rilevanti pregiudizi di carattere economico. Se la corte accoglierà, come prevedibile, il parere della sua avvocatura, verrà smentita e messa nel nulla la teoria del bilanciamento dei diritti alla salute e all’occupazione, teoria su cui si è fondata tutta la legislazione speciale su Ilva. Se in primavera dovesse quindi arrivare una decisione a favore del ricorso inibitorio, non si potrà evitare il fermo degli impianti».

La lettera di oltre 150 medici tarantini alla premier Giorgia Meloni

A favore della salute dei tarantini e per la bonifica si sono espressi oltre 150 medici tarantini. Con una lettera alla presidente del consiglio Giorgia Meloni, hanno ricordato «gli innumerevoli studi scientifici che dimostrano come le sostanze inquinanti industriali siano causa di malattie sia per i lavoratori impiegati nella fabbrica, sia per i semplici cittadini». E ancora: «Aumento delle patologie legate all’inquinamento, dai tumori alle malattie infantili, con un’incidenza, nel caso delle disfunzioni dei più piccoli, tanto più elevata quanto più la gestazione è vicina alla fabbrica».

«Noi medici tarantini chiediamo che non venga sprecata questa ennesima opportunità di affrontare la gravissima crisi dell’ex Ilva oltre che dal punto di vista socio-economico, anche da quello della salute dei cittadini di Taranto. Abbiamo alle spalle sessant’anni di convivenza con una fabbrica che lascia dietro di sé una scia di morti a causa dell’inquinamento di suolo, aria ed acqua del territorio in cui viviamo. Si stima un aumento di tumori respiratori, di accidenti cardiocircolatori, di tumori della tiroide o della vescica, di tumori dell’apparato emopoietico (Studio Sentieri con il suo ultimo aggiornamento, studio Forastiere del 2019), di infertilità, di endometriosi», evidenziano i medici nella lettera.

Non esiste ancora un progetto per decarbonizzare l’ex Ilva

Al ricatto salute o lavoro si ribellano anche una parte degli operai: «Troppo spesso si pensa al lavoro, ma non ai lavoratori. Noi siamo per la totale chiusura, smantellamento e bonifica», racconta Raffaele Cataldi, dell’associazione Cittadini e lavoratori liberi e pensanti.

Come documenta Peacelink, d’altra parte, nonostante la propaganda, non esiste un progetto per una totale “decarbonizzazione” dell’ex Ilva. Al massimo è prevista una produzione mista, con l’affiancamento del forno elettrico ai già esistenti altoforni. ll Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti, Giustizia per Taranto, Legamjonici, Isde e altre associazioni, hanno invece dimostrato, con il “Piano Taranto”, che la bonifica dell’immenso SIN porterebbe, per almeno dieci anni, trentamila posti di lavoro, dieci volte di più di quelli che ora contano le Acciaierie d’Italia (molti dei quali in cassaintegrazione). Le associazioni chiedono bonifica e riconversione del territorio, rilanciando il turismo e tutte le altre attività ad oggi annientate dall’inquinamento industriale.