Sul processo Eni-Opl245 piomba il mistero del doppio Victor

Secondo la difesa dell'ex manager Eni, Armanna, il Victor Nawfar ascoltato come testimone a gennaio non sarebbe il vero Victor Nawfar

Antonio Tricarico
Antonio Tricarico
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È ripreso a Milano, dopo una lunga pausa durata gran parte del mese di ottobre, il processo contro Eni e Shell per la presunta maxi-tangente pagata nel 2011 per l’acquisizione della licenza del blocco petrolifero Opl245 in Nigeria.

Il calendario dell’audizione dei testimoni nominati dalla difese è ancora fluido. A sopresa la difesa di Vincenza Armanna, ex dirigente dell’Eni, ora imputati ma anche grande accusatore del cane a sei zampe e dei suoi manager, presentando i suoi quattro testi da citare ha incluso nuovamente Victor Nawfar, esponente dei servizi di intelligence nigeriani e nel 2011 capo della sicurezza dell’ex presidente Goodluck Jonathan.

Ascoltato come testimone il Victor sbagliato?

Secondo l’avvocato Angelo Staniscia, che difende Armanna, il Victor citato dalla Procura come Victor Nwafor ed ascoltato dal tribunale in video-conferenza da Abuja lo scorso gennaio non è il vero testimone. Il quale sarebbe stato, invece, identificato da Armanna – anch’egli attivo in ambito di intelligence italiana a detta di molti – e sarebbe pronto a testimoniare nel processo di Milano. La richiesta ha dovuto subire il fuoco di fila di tutte le altre difese, a partire da quella di Roberto Casula, allora numero 3 di Eni.

50 milioni sul jet del console onorario in Congo

A detta di Armanna, Victor lo informò dei 50 milioni in contanti che raggiunsero in due trolley la villa di Casula in Nigeria, per poi volare fuori dal paese su un aereo messo a disposizione di Eni da Fabio Ottonello, console onorario della Repubblica del Congo in Italia. Anche Ottonello sarà udito come testimone di Armanna ed altri. Ma Victor avrebbe avuto un ruolo ancora più ampio, avendo organizzato uno smistamento di somme ingenti in cash a vantaggio del presidente Jonathan e dei suoi compari per un totale di più di mezzo miliardo di dollari.

Il giudice rigetta la richiesta dei legami di Armanna

La pubblica accusa non si è pronunciata sulla richiesta della difesa Armanna in attesa che il testimone invii – sembrerebbe questione di giorni come anticipato da Staniscia – una memoria con circostanze più precise riguardo al suo ruolo nella storia e con prove della sua identità. Il collegio giudicante ha voluto, però, decidere subito sulla spinosa questione, e dopo una pausa, è tornato in aula per rigettare la richiesta di Armanna, facendo così tirare un sospiro di sollievo a tutti gli altri imputati e ai loro avvocati, visibilmente contenti della decisione.

Resta da capire se il presunto “vero” Victor porterà all’attenzione del tribunale nuovi elementi che potrebbero portare ad un ripensamento sulla decisione. E soprattutto rimane il sospetto che il Victor ascoltato a gennaio non fosse il vero testimone citato dalla Procura.

Le contraddizioni dl console onorario Stefano Piotti

Unico testimone della giornata è stato Stefano Piotti, socio in varie società energetiche operanti in Nigeria di Gianfranco Falcioni, imputato e Console Onorario d’Italia a Port Harcourt. Una testimonianza, quella di Piotti, contraddittoria e che ha fatto irritare un po’ tutti.

Da questa traspare il ruolo centrale nella vicenda Opl245 che avrebbe avuto l’ex Attorney General (ministro della Giustizia) della Nigeria, l’avvocato Bayo Ojo, il quale nel 2006 dal governo aveva aiutato a strappare la licenza dalle mani di Shell, riassegnandola alla Malabu dell’ex ministro del Petrolio Dan Etete. Un favore non da poco, che a distanza di cinque anni andava lautamente ripagato.

Ma Ojo, a detta di Piotti, non si fidava, temendo che Etete non si sarebbe “ricordato” del favore, e quindi chiese a Falcioni di inserirsi con la sua Petrol Service – creata nel luglio 2010 – nello schema e gestire così i soldi provenienti dal pagamento della licenza Opl245 da parte di Eni e Shell su un conto fiduciario aperto per l’occasione dal governo nigeriano alla JP Morgan di Londra.

Tutte le tappe della licenza OPL245 in Nigeria

Il ruolo della Petrol Service

La Petrol Service avrebbe trattenuto 50 milioni, 5 di commissione e 45 per Bayo Ojo e compari. Sin dal dicembre 2010, Falcioni tramava in tal senso, sebbene Piotti dica di aver saputo dell’affare solamente nell’aprile 2011, quando Ojo si presentò da lui con tre legali per rivedere tutti i documenti della vendita. La Petrol Service non aveva la capacità di farlo e chiese aiuto alla banca BSI di Lugano per la due diligence. Questa ricevette poi il miliardo e cento milioni dalla JPMorgan ma lo rimandò indietro per problemi di compliance: Etete, dominus della Malabu beneficiaria della vendita della licenza, era stato condannato nel 2007 per riciclaggio in Francia.

A quel punto Piotti, su richiesta di Falcioni, contatta un amico che suggerisce un’altra banca in Libano. Anche questa strada fallirà. Piotti irrita il presidente della corte Marco Tremolada quando afferma di non sapere che Armanna lavorava per l’Eni e in un clima di poca credibilità del teste finisce così il suo interrogatorio.

In arrivo nuove battaglie legali

Si rimanda alla prossima udienza l’acquisizione definitiva da parte del tribunale dei documenti arrivati dalla Svizzera contenuti nella famosa valigetta sequestrata all’intermediario Emeka Obi, già condannato a quattro anni con rito abbreviato ed ora in appello. Si preannuncia una battaglia legale. Nel frattempo il PM Fabio De Pasquale annuncia il deposito della risposta all’ennesima rogatoria arrivata dalla Nigeria: documenti che proverebbero il beneficio ricevuto dall’affare Opl245 dall’allora Attorney General Adoke Bello, oggi uccel di bosco in Ghana.

Battaglie sui documenti, come quella in corso anche in Olanda dove la Shell sta cercando di smontare l’acquisizione delle prove prima di una possibile richiesta di rinvio a giudizio sempre sul caso Opl245 ma con nuove accuse.

Di qualche giorno fa la notizia che il giudice investigativo olandese ha rigettato la richiesta di Shell di escludere dalla prove tutte le email che coinvolgevano anche i legali interni della compagnia, secondo il principio del “client privilege”. Uno smacco non da poco per il colosso anglo-olandese. Allo stesso tempo un giudice di Abuja ha sospeso gli ordini di arresto internazionale per Bello ed Etete, poiché la Procura di Abuja avrebbe notificato erroneamente le accuse agli imputati del procedimento nigeriano sempre su Opl245. Su tutti i fronti la battaglia legale si accende con esiti sempre più incerti e difficilmente prevedibili.