Reddito di cittadinanza: poco utile per sostenere le famiglie. Una misura di controllo sociale
Circola la bozza del decreto legge. Non produrrà una redistribuzione del reddito, ma più controllo sociale, inserimento coattivo al lavoro, senza coinvolgere tutti i poveri
E la montagna partorì il topolino. Questo sembra il commento a caldo più consono alla lettura della bozza del decreto legge che il governo dovrebbe approvare in questi giorni per rendere attuativa l’introduzione del cosiddetto “reddito di cittadinanza”.
Si tratta comunque di un provvedimento che è meglio del nulla o del pochissimo (vedi Rei – Reddito di Inclusione) fin qui fatto dai governi precedenti in materia, non di sostegno al reddito, ma di contrasto alla povertà assoluta.
Perché di questo si tratta: di un provvedimento che, per la sua limitatezza e i vincoli imposti, non va a incidere in modo significativo sulla distribuzione del reddito, né a invertire la sua polarizzazione, né a garantire la libera scelta del lavoro in opposizione al ricatto della precarietà. Incide piuttosto a limitare il disagio sociale connesso a situazioni di povertà estrema.
Secondo i dati Istat, i poveri assoluti in Italia al 2017 erano 5,058 milioni e i poveri relativi 9,368
https://valori.it/il-reddito-di-base-un-problema-europeo-ma-un-approccio-non-ce/
Chi ne beneficerà
Prima di addentrarci nell’analisi degli articoli che spiegano la sua concreta attuazione, è necessario fornire un quadro generale.
Secondo i dati forniti dallo stesso governo, la platea dei beneficiari del reddito di cittadinanza dovrebbe essere di 1.437.000 famiglie.
I nuclei che potranno accedere al beneficio composti di una sola persona saranno 387.000 pari a oltre un quarto del totale (1,64 miliardi la spesa per questa componente). Saranno 198.000 le famiglie coinvolte con cinque componenti o più per 1,4 miliardi di spesa.
Per il 2019, la cifra messa a disposizione è stata ritoccata al ribasso: 5,974 miliardi (invece dei previsti 6,11 miliardi di euro), 7,571 miliardi nel 2020 (invece di 7,77) e 7,818 nel 2021 (invece di 8,017).
Il reddito di cittadinanza potrà essere chiesto oltre che dai cittadini italiani in condizione di povertà anche dai comunitari e dagli extracomunitari purché abbiano un permesso di lungo soggiorno e siano residenti in via continuativa in Italia da almeno 10 anni al momento della presentazione della domanda. Si stima che le famiglie composte da soli stranieri che potrebbero accedere al reddito secondo le tabelle allegate al testo sono 259.000 per una spesa di 1,58 miliardi (18% del totale dei beneficiari, quando i poveri stranieri sono il 35% del totale dei poveri, il doppio).
Altro che 780 euro, cifre molto più basse!
Se questi dati vengono confermati, l’obiettivo dichiarato di portare tutto coloro che hanno un reddito inferiore alla soglia di 780 euro mensili appare difficilmente raggiungibile. Facendo infatti dei semplici calcoli matematici, la cifra media che spetta mensilmente a livello familiare sarebbe di 472 euro e, a livello individuale (per un numero complessivo di poco meno di 4,94 milioni, numero inferiore ai poveri stimati ), di 126 euro al mese.
Occorre tuttavia tenere presente che il provvedimento ha come obiettivo l’integrazione a 780 euro mensili del reddito già disponibile e che quindi non tutti riceveranno l’intera somma, come invece vogliono far credere i detrattori e i media . Più concretamente, gli importi su base annua sono composti di due elementi: una integrazione del reddito familiare di 6.000 euro, riparametrata al numero di componenti il nucleo, e una componente ad integrazione del reddito per coloro che abitano in affitto, pari all’ammontare dell’affitto annuo stesso, fino ad un massimo di 3.360 euro (art. 3).
Di fatto, la soglia massima di reddito percepibile per chi è proprietario di casa non è più di 780 euro al mese ma di 500 euro.
A condizione che…
L’erogazione del reddito di cittadinanza è condizionata alla dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro (DID) da parte dei componenti del nucleo familiare maggiorenni. Oltre alla DID, il disoccupato dovrà aderire ad un percorso personalizzato finalizzato all’inserimento lavorativo e inclusione sociale.
E ha l’obbligo di registrarsi sul sistema informativo unitario delle politiche del lavoro;
1. svolgere ricerca attiva di lavoro;
2. accettare di frequentare i corsi di formazione e riqualificazione professionale;
3. sostenere test psico-attitudinali e prove finalizzate all’assunzione;
4. accettare almeno una di 3 offerte di lavoro congrue.
Per offerta di lavoro congrua si intende quella che, a giudizio del Centro per l’Impiego (e non dell’interessato) ,viene valutata coerente con le esperienze e le competenze maturate, in relazione alla durata della disoccupazione, con una retribuzione superiore di almeno il 20% rispetto all’indennità percepita nel mese precedente, senza quindi alcun stretto vincolo ai minimi tabellari.
Tali criteri, seppur stabiliti per legge (art. 25, d. lgs 150/2015), sono comunque peggiorativi rispetto a una più corretta definizione di congruità dell’offerta di lavoro, come quella stabilità dalla legge di petizione popolare (tramutata nel disegno di legge n. 1670/2014): una remunerazione, come minimo, pari a quella precedentemente percepita dal soggetto interessato; il mantenimento della
professionalità acquisita, della formazione ricevuta e del riconoscimento delle competenze formali e informali in suo possesso certificate dal Centro per l’Impiego territorialmente competente attraverso l’erogazione di un bilancio di competenze. Inoltre una sede di lavoro che non sia più distante di 50 km (oppure 80 minuti al massimo di tempo di trasporto) dal luogo di residenza.
Reddito di cittadinanza: un circolo vizioso che intrappola nella povertà
Nuovi flussi migratori: da Sud a Nord per accettare le offerte di lavoro
Con rispetto a quest’ultimo punto, si ha un netto peggioramento. Infatti si aggiungono i seguenti due criteri (art. 4, comma 9):
• indipendentemente dalla composizione del nucleo familiare, entro 100 km di distanza dalla residenza del beneficiario nei primi 6 mesi di fruizione del reddito di cittadinanza ed entro i 250 km oltre i 6 mesi;
• a partire da 18 mesi, solo nel caso in cui nel nucleo familiare non siano presenti minori o disabili, l’offerta è congrua ovunque nel territorio nazionale. In questo caso il beneficiario del reddito di cittadinanza che accetta l’offerta di lavoro ha diritto a ricevere 3 mensilità dopo l’inizio del nuovo impiego per coprire le spese di trasferimento.
Ne consegue, che il soggetto beneficiario è indirettamente obbligato, pena la perdita del sussidio, ad accettare qualunque offerta venga proposta. E, tenendo conto che la maggior parte dei poveri (53%) sono situati nelle sole regioni meridionali e la maggioranza dei posti di lavoro si trovano invece nelle regioni settentrionali, è facile immaginarsi lo sviluppo di nuovi flussi migratori, finanziati dallo Stato e a vantaggio delle imprese del Nord.
Gli aiuti alle imprese incentivano assunzioni low cost
Ed è proprio sul capitolo “aiuti alle imprese” che il reddito di cittadinanza mostra la sua vera natura, antitetica agli obiettivi inizialmente dichiarati. Dall’essere una misura a favore del miglioramento della distribuzione de reddito e della riduzione delle diseguaglianze economiche in nome di una maggior libertà di autodeterminazione del lavoro (con effetti positivi anche sulla produttività), diventa una sorta di indiretta politica dell’offerta, finalizzata ad incentivare assunzioni sotto qualificate a costi ridotti per le imprese.
I datori di lavoro che si registrano al portale del programma del reddito di cittadinanza e assumono un lavoratore e non lo licenziano nei primi 24 mesi (tranne che per giusta causa e giustificato motivo!) potranno, infatti, ricevere sotto forma di sgravio contributivo la differenza fra 18 mesi di reddito di cittadinanza meno le mensilità già fruite (se il lavoratore proviene da un Centro per l’Impiego), oppure la metà della predetta somma sotto forma di sgravio contributivo se il lavoratore proviene da un agenzia del lavoro privata. L’altra metà dell’incentivo spetterà all’Agenzia (privata) sempre sotto forma di sgravio contributivo (Art. 8). Si finanziano così anche le agenzie per il lavoro interinale!
In questo caso, la decontribuzione avviene tramite il fondo istituito, per il reddito di cittadinanza, comunque sempre dall’Inps, e non direttamente dall’Inps, come nel caso degli incentivi alla assunzioni stabilite dal Jobs Act. Ma la sostanza non cambia.
https://valori.it/il-reddito-di-base-uno-strumento-per-remunerare-lozio-che-produce-valore/
Controllo quanto e come spendi
Last, but not least, il reddito viene erogato attraverso un’apposita carta “reddito di cittadinanza”. Può essere usato per tutte le spese già previste per la cosiddetta Carta Acquisti (pagamento bollette, spesa alimentare ecc.). In tal modo, con l’esclusione di una cifra pari a 100 euro (che potrà essere prelevata in contanti), si potrà monitorare il tipo di acquisti fatto e in tal modo eventualmente intervenire se la spesa viene ritenuta non consona allo stato sociale, sino a poter incorrere in penalità e sospensioni del provvedimento nel caso di spese per il gioco d’azzardo.
Il provvedimento si presenta così in linea con le premesse: una misura di controllo sociale, sostanzialmente di inserimento coattivo al lavoro, fortemente selettivo e non per tutti coloro che si trovano in povertà relativa, la vera misura della povertà.
Ma neanche tutti coloro che si trovano in povertà assoluta potranno godere del provvedimento, in particolare i migranti poveri, che non hanno una continuità di residenza i Italia da 10 anni (e che sono la maggioranza).
In arrivo anche una pensione di cittadinanza
La bozza del decreto-legge prevede anche l’introduzione per i nuclei familiari composti esclusivamente da uno o più componenti di età pari o superiore ai 65 anni di una pensione di cittadinanza, di pari importo rispetto al reddito di cittadinanza, la cui erogazione è di fatto incondizionata, a parte i vincoli sul consumo.
Si tratta di un provvedimento da valutare positivamente, in grado di ridurre il numero dei pensionati poveri, al di sotto della soglia della povertà assoluta. Ed è strano che tale misura venga poco reclamizzata anche dagli stessi proponenti, forse proprio l’ “incondizionatezza” di cui gode (un precedente pericoloso?).
Ma, allo stesso tempo, conferma come questo provvedimento nella sua globalità non sia adeguato a combattere il dilagare della condizione precaria, che colpisce soprattutto i giovani e che rappresenta il vulnus più rilevante della debolezza strutturale dell’economia italiana e della sua incapacità di crescere.
Al riguardo, non può stupire che il reddito di cittadinanza venga considerato compatibile con la NASpI e di “altro strumento di sostegno al reddito ove ricorrano le condizioni” (art. 3, comma 9), evidenziando come in realtà, nonostante quanto dichiarato, l’unica misura di sussidio di disoccupazione che può essere utilizzato dai precari, non sia inglobata in una riforma complessiva e più ampia degli ammortizzatori sociali.
Né vi è traccia di alcuna misura tesa all’introduzione di un salario minimo contrattuale, laddove il/la lavoratrice non è coperto da contrattazione collettiva.
Imbastire un’offensiva politica
Le lacune, gli scarsi finanziamenti, le condizioni e i vincoli posti mostrano che tale misura rientra a tutti gli effetti all’interno di un sistema di workfare, di matrice social-liberista, anche se presenta delle innovazioni rispetto al passato. La tematica è diventata oramai di dominio pubblico e si è istituzionalizzata, seppur in modo distorto. Potrebbe essere un’occasione da cogliere per imbastire un’offensiva politica, in grado di denunciare il disegno sottostante e per aprire spazi di liberazione conflittuale proprio a partire da una diversa concezione del reddito di base, contro ogni rigurgito di lavorismo che ancora è presente in molta parte della sinistra. È ora di discutere di una nuova idea di welfare (Commonfare).
Questo articolo è stato pubblicato anche su Effimera
* Andrea Fumagalli è professore associato di Economia Politica presso l’Università di Pavia e membro del Comitato esecutivo del BIEN (Basic Income Earth Network) e del Bin-Italia (Basic Income Network), si occupa dei temi di reddito, salario e produzione-riproduzione del capitalismo. www.effimera.org