E se i grandi impianti rinnovabili finanziassero la sanità del Sud?

Attraverso uno scambio fiscale Iva/Irap (e Imu), si potrebbero rendere più appetibili gli impianti rinnovabili per i territori

Mauro Romanelli e Fabio Roggiolani
Un nuovo patto sociale per le rinnovabili © Karsten Würth/Unsplash
Mauro Romanelli e Fabio Roggiolani
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Come ben sappiamo la transizione energetica suscita diffidenze nella cittadinanza. Amministratori e gruppi di cittadini spesso si schierano contro parchi eolici e campi fotovoltaici, percependo le rinnovabili come un’intrusione dall’alto. E lamentando assenza di concreti vantaggi per i territori. Aldilà di quanto si pensino giuste queste percezioni, crediamo possa essere comunque utile dare un segnale riconoscibile e misurabile, che incoraggi amministratori e cittadini a una maggiore disponibilità verso queste tecnologie. In ogni caso indispensabili.

Un’idea potrebbe essere intervenire sulla leva fiscale. Gli impianti rinnovabili sono soggetti alla tassazione sui ricavi provenienti dalla vendita di energia (Irap e Iva). E all’imposta comunale sul valore immobiliare (Imu). Sappiamo che l’Iva viene incassata principalmente dallo Stato, l’Irap dalle Regioni e l’Imu dai Comuni. Dunque, perché non proviamo a rimodulare la tassazione in modo che affluiscano maggiori risorse a Regioni e Comuni?

Tagliare l’Iva, aumentare Irap e Imu

A titolo di esempio, immaginiamo di tagliare di 4 punti percentuali l’aliquota Iva agli impianti di energia pulita. Contemporaneamente, supponiamo di consentire alle Regioni di aumentare di tre punti percentuali l’aliquota Irap, e ai Comuni di un punto percentuale l’aliquota Imu. Il risultato farebbe rimanere all’incirca invariata la tassazione complessiva su queste tecnologie. Ma gli introiti si sposterebbero a beneficio di Regioni e Comuni. Ma quanto potrebbero guadagnarci rispetto ad oggi i nostri enti locali qualora passasse questa proposta? Proviamo a fare una stima di massima.

Analizziamo i dati a disposizione al 2023. L’aliquota Iva sulla vendita di energia è al 10%, il costo medio dell’energia elettrica è 10 centesimi al kwh, la produzione elettrica annua italiana da eolico e fotovoltaico è 45 Twh, per circa 30 GW di potenza installata. Questi dati ci suggeriscono che l’introito Iva annuo proveniente dalla vendita di energia rinnovabile potrebbe essersi aggirato nel 2023 sui 450 milioni di euro. Quello Irap sui 70 milioni, quello Imu sui 155 milioni.

Per le suddette stime si assume anche che i costi scaricabili ai fini irap siano il 60% dei ricavi lordi ottenuti dalla vendita di energia. E che il valore catastale medio di un impianto utility scale possa essere sui 10mila euro per MW di potenza.

Nel 2023 gli impianti eolici e fotovoltaici contano una potenza complessiva di 30 GW. E al 2030 questa dovrà aumentare, secondo i programmi Pniec, di ulteriori 80 GW, per un totale di 110 GW. Se immaginiamo che l’aliquota Iva, seguendo la nostra proposta, scenda dal 10% al 6% (- 4%), quella Irap salga dal 3,9% al 6,9% (+3%), quella Imu da 0,76% a 1,76 % (+1%), gli introiti al 2030 per le 3 imposte potrebbero diventare, applicando una stima di semplice proporzionalità, di 990 milioni per l’iva (+540 milioni), 1316 milioni per l’Imu (+1161), 454 per l’Irap (+384).

I vantaggi per le regioni del Sud e le Isole

Insomma, mentre per le imprese la tassazione rimarrebbe nel complesso più o meno invariata, lo Stato guadagnerebbe, nonostante l’abbassamento dell’aliquota Iva, dall’enorme aumento della base imponibile. In sintesi, dal fatto che i nuovi impianti eolici e fotovoltaici si fanno per davvero. Ma soprattutto aumenterebbero di 1700 milioni/anno (+ 755% rispetto ad adesso) gli introiti per Comuni e Regioni, rendendo sicuramente più appetibile la transizione per i territori.

In generale non siamo innamorati dell’idea di regionalizzare la spesa pubblica ed il prelievo fiscale. Meno che mai la politica energetica, che è bene che rimanga di competenza statale. Tuttavia ci siamo convinti a fare questa proposta, perché ci pare avere alcuni vantaggi non banali. Innanzitutto potrebbe rendere meno ostili enti locali e cittadini alle energie rinnovabili. Poi la proposta, qualora approvata, si applicherebbe anche agli impianti già in essere, per le annualità successive all’approvazione. Portando una sorta di risarcimento a quelle popolazioni che si sono sentite calare dall’alto progetti non partecipati.

Inoltre questa proposta porterebbe, sia per il presente, che per il futuro, più risorse alle Regioni meno ricche. Il Sud e le isole sono quelle che già ora hanno, e che avranno per il futuro, la maggior quantità di potenza Fer installata. È una proposta facile da attuare. Non una “riforma di sistema” che ci bloccherebbe altri cinque anni, ma un semplice cambiamento di aliquote fiscali. Realizzabile con un emendamento a uno qualsiasi dei decreti omnibus che ormai caratterizzano la vita istituzionale italiana,

Non un prelievo fiscale, ma un patto sociale

Infine, porterebbe risorse, attraverso l’Irap, alla sanità pubblica regionale, e questo ci sembra davvero fortemente simbolico. Una sorta di nuovo patto sociale, che mette insieme transizione ecologica ed equità attraverso la transizione rinnovabile. Ci salva dalla follia fossile, impegna i territori ad accettare impianti importanti, e sosterrebbe il miglioramento della sanità pubblica, a difesa delle fasce più deboli della società.

Per tutti questi motivi ci sembra quindi che l’idea sia perlomeno da considerare, anche se ovviamente va esaminata in maniera puntuale in sede tecnica. Certamente, ci urge precisare che non accetteremo che questa proposta sia usata per aumentare il prelievo fiscale complessivo sulle energie pulite. Questo settore ha già avuto troppe amare sorprese da questa pessima politica. Noi proponiamo uno “scambio fiscale”: quattro punti Iva in meno, per tre punti Irap e un punto Imu in più. Le due cose non possono essere disgiunte: simul stabunt, simul cadunt.


Mauro Romanelli è presidente dell’associazione Ecolobby, Fabio Roggiolani, è presidente di Ecofuturo