Siamo in trappola (ma possiamo uscirne)
C'è grossa crisi, la rubrica di Andrea Baranes che vi spiega perché dovete interessarvi di finanza. Prima che la finanza si interessi di voi
Per rispondere alla pandemia, le banche centrali hanno inondato il mondo di soldi. Iniezioni di liquidità, acquisto di titoli di Stato ed altre misure non convenzionali. L’economia però non riparte. Ci troviamo in una “trappola della liquidità”, per riprendere l’espressione coniata dall’economista John Maynard Keynes nello scorso secolo per spiegare come in una situazione di crisi immettere più soldi possa non tradursi in un rilancio di occupazione e consumi. Se le politiche monetarie non bastano, servono politiche fiscali, ovvero gli Stati devono intervenire, investire e spendere direttamente.
A sostenere tale tesi, dalle pagine del Financial Times, è la capo economista del FMI, Gita Gopinath. L’autrice sottolinea come nel 97% delle economie avanzate i tassi di interesse delle banche centrali siano al di sotto dell’1%, in molti casi negativi, ma con effetti estremamente limitati per la ripresa economica. Al contrario, questa gigantesca liquidità ha portato a «un’eccessiva assunzione di rischi. Che aumenta i rischi per la stabilità finanziaria. La sorprendente disconnessione dei mercati finanziari dall’attività reale nella ripresa dalla crisi del Covid-19 rafforza queste nozioni. C’è un rischio ancora maggiore di guerre valutarie in una trappola globale della liquidità».
Per uscirne gli Stati, approfittando dei bassissimi tassi di interesse a cui possono indebitarsi, dovrebbero mettere in campo forti politiche fiscali, sostenendo direttamente consumi e investimenti in settori quali la salute o la protezione dell’ambiente. Secondo l’autore, «queste spese creano posti di lavoro, stimolano gli investimenti privati e gettano le basi per una ripresa più forte e verde».
Politiche di stampo tipicamente keynesiano, in diretta opposizione alle dottrine neoliberiste che hanno dominato le scelte di politica economica dell’ultimo trentennio e secondo le quali invece gli Stati non devono intervenire direttamente nell’economia, ma devono lasciare mano libera ai mercati. Se a proporle è il capo economista dell’istituzione assunta a emblema stesso del neoliberismo, il FMI, forse siamo davanti a un cambio di rotta epocale. Un cambio di rotta da molti auspicato sia per ridurre il rischio di nuove crisi finanziarie sia per fare ripartire l’economia su binari diversi, in termini ambientali quanto sociali, da quelli degli ultimi anni.