Social Impact Bond: l’investimento sociale che in Italia ancora non c’è

Cosa sono, dove sono nati e come funzionano i Social Impact Bond. Che in Italia sono ancora praticamente sconosciuti

Martina Gualtieri
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Martina Gualtieri
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Nel mercato della finanza sociale, esistono alcuni strumenti finanziari innovativi di cui ancora si parla poco, e male, soprattutto in Italia. Si tratta dei SIB, i Social Impact Bond. Obbligazioni non ordinarie, appartenenti all’area degli stumenti Payment For Results. Che prevedono una remunerazione per gli investitori solo nel caso in cui si raggiunga un determinato impatto sociale, preventivamente stabilito. Sono strumenti, quindi, che attraggono capitale finanziario privato per sovvenzionare un servizio di tipo sociale da parte di una qualche organizzazione. 

I limiti del welfare e la necessità di una finanza orientata al bene comune

Per quale motivo l’Europa, e soprattutto l’Italia, dovrebbero investire in questi strumenti? La risposta è intorno a noi e sta nell’analisi dei problemi di portata etica e sociale che vive la società attuale. È facile osservare che i finanziamenti pubblici, il classico welfare, non risultano sufficienti a risolvere sfide sociali drammatiche e sempre crescenti, dovute anche alla globalizzazione. Le sfide in questione sono: l’housing, l’ambiente, il clima, la salute, l’istruzione, la sicurezza. Di fronte a questi bisogni non si può rimanere spettatori, occorre quindi trovare nuove soluzioni che abbiano una portata di lunga durata. Inoltre, si prospettano vantaggi per la Pubblica Amministrazione, che vede ridursi i costi diretti per i servizi sociali, in quanto commissionati al terzo settore.

Il Social impact investing è un mercato con trend in crescita a livello globale. Ma che stenta a decollare, nel nostro Paese, a causa di evidenti resistenze normative e culturali. Quali sono gli attori coinvolti nell’applicazione dei SIB? In primis vi sono le banche, che devono collocare tali strumenti sul mercato. Ma anche fondi di investimento, consulenti finanziari, imprese sociali, settore pubblico, organizzazioni del terzo settore, associazioni filantropiche, soggetti privati. Nell’ottica del blended value, vi è dunque, in maniera olistica, una compresenza di attori facenti parte sia del settore pubblico che del settore privato. Allo scopo di generare reciproche sinergie e lavorare a programmi orientati ai risultati con un impatto sociale.

Come funzionano i Social Impact Bond

Sicuramente, la struttura dei SIB è complessa ed è critico mettere insieme tanti attori, ognuno dei quali ha un compito preciso. L’intermediario finanziario colloca i bond, gli investitori privati comprano, l’istituzione pubblica commissiona un servizio, il terzo settore fornisce i servizi sociali. Quindi i beneficiari ricevono il servizio e poi una terza organizzazione imparziale ha il compito di accertare se l’impatto generato dal programma raggiunge i livelli di performance stabiliti. Tuttavia, la complessità di tale struttura non deve spaventare, bensì indurre alla formazione di manager con competenze multidisciplinari. Capaci di unire il mondo della finanza con quello del sociale.

Permane, ad oggi, un problema strutturale di fondo: cos’è l’impatto sociale? Come misurarlo? Vi sono molteplici criteri pensati per la misurazione dell’impatto, ma il metodo principale è lo Sroi (Social return on investment), che trae origine da un diagramma di flusso denominato “teoria del cambiamento”. Data la complessità della misurazione, una delle criticità evidenti è la mancanza di database organici che riguardano ogni fase di implementazione di uno strumento finanziario ad impatto sociale. Senza dimenticare un altro rischio: il fatto che l’investitore rischia non solo di non essere remunerato, ma anche di perdere il capitale.

Il mercato delle obbligazioni a impatto sociale

Attualmente, il mercato è trainato dai Paesi anglosassoni, che per primi hanno colto le potenzialità di tali investimenti. E l’80% di questi ultimi proviene dagli Stati Uniti, dal Canada e dall’Europa e sono diretti principalmente verso i Paesi emergenti e l’Africa subsahariana. A titolo d’esempio, gli Stati Uniti, nel 2018, investono 100 milioni di dollari per finanziare progetti Pay For Success nell’arco di dieci anni (Pay For Results Act). Inoltre, secondo il GIIN (Global Impact Investing Network), tra il 1997 e il 2017 il numero degli investitori è cresciuto da meno di 50 a più di 200. Chiaramente, la tipologia di investimento preferita è quella dei green bond, che rappresenta il segmento di mercato a più rapida crescita.

In Europa, invece, emerge il settore dell’housing sociale come quello maggiormente in crescita rispetto agli altri, motivo per cui sono in crescita anche i SIB.

Il caso del carcere inglese di Peterborough

Il primo storico e paradigmatico SIB è quello lanciato nel 2010 in Inghilterra per il carcere di Peterborough. Che, per la prima volta nella storia, si fonda sull’assunto che i detenuti non sono delle perdite in partenza, ma dei veri e propri investimenti. Tali per cui per ogni sterlina investita, si può ottenere un abbassamento della recidiva e, di conseguenza, una remunerazione per gli stessi investitori. In questo caso, l’obiettivo viene realmente raggiunto e si configura come una soluzione win-win per tutti gli attori coinvolti: investitori, governi e beneficiari (detenuti).

Allo stato attuale, la Gran Bretagna detiene il primato globale per numero di SIB: in Inghilterra ne sono stai sviluppati ben 69, i Paesi Bassi ne hanno collocati 15, il Portogallo 13 e la Francia 11.

In questo scenario, quindi, qual è il ruolo dell’Italia? Il nostro Paese ha un ruolo del tutto marginale nel mercato, nonostante le Raccomandazioni dell’Europa, volte ad accrescere il numero degli strumenti di finanza sociale e malgrado le prospettive di crescita previste dal PNRR.

Il ruolo marginale dell’Italia

Occorre senza dubbio creare database, capaci di integrare dati finanziari e dati sociali, costruire gradualmente una cultura volta alla promozione e allo sviluppo dei temi di finanza sociale. E soprattutto predisporre un quadro normativo che sappia fornire un quadro giuridico ai nuovi strumenti finanziari e agli operatori che lavorano nella gestione degli stessi.

L’augurio è quello di una vera e propria rivoluzione copernicana. Generare un sistema finanziario che veda al centro non soltanto il profitto, ma anche e soprattutto, l’impatto.