Questo articolo è stato pubblicato oltre 3 anni fa e potrebbe contenere dati o informazioni relative a fonti/reference dell'epoca, che nel corso degli anni potrebbero essere state riviste/corrette/aggiornate.

Niente più prestiti agevolati per il terzo settore. Il governo cosa pensa di fare?

Le imprese "tradizionali" avranno accesso a crediti garantiti, quelle sociali no. Perché? Lo abbiamo chiesto al sottosegretario al Lavoro Steni Di Piazza

A rischio l'accesso al credito agevolato per il Terzo settore © Prostock-Studio/iStockPhoto

Imprese sociali e Terzo settore esclusi dall’accesso ai crediti coperti da garanzia statale al 100%, previsti per tutte le altre imprese (all’interno degli interventi contemplati nella legge di Bilancio per il sostegno alle imprese italiane). Ne abbiamo abbiamo scritto nei giorni scorsi su Valori. Ma vogliamo vederci chiaro. Abbiamo così rivolto al sottosegretario al Lavoro, Steni Di Piazza, alcune domande per capire se e come il governo avesse intenzione di affrontare e risolvere il problema. Perché di un problema si tratta, che rischierebbe di tagliare fuori da questi sostegni un sistema di imprese che hanno raggiunto un livello di “fatturato” niente affatto marginale. E che, soprattutto, contribuiscono alla tenuta della coesione sociale del nostro Paese in un momento così drammatico.

Buongiorno sottosegretario, innanzitutto è possibile ricostruire come si sia creato questo “incidente” di percorso che ha portato le imprese sociali del Terzo Settore ad essere escluse dalla proroga di 6 mesi per l’accesso al credito coperto da garanzia statale al 100% decisa dal governo all’interno della legge di Bilancio 2021? Si è trattato di un errore tecnico?

Credo sia doveroso ricordarci l’eccezionalità del momento e il carico che produce verso le amministrazioni: è più facile sbagliare sotto pressione. Ricostruire l’accaduto è difficile, ma sulle motivazioni che hanno indotto all’errore ci possiamo arrivare. Gli uffici del MEF (ministero dell’Economia e delle Finanze, ndr)  scontano a volte  una “visione” del sistema economico legato alla dicotomia di impresa profit e non profit. Senza considerare che esiste un mondo di piccole imprese non profit (not for profit) che, pur non distribuendo utili, fanno attività di impresa. Per questo il mio impegno, all’interno del ministero e non solo, è quello di far emergere  una consapevolezza meno semplicistica sul tema e uno stile di lavoro più dialogico, per evitare una sorta di autismo normativo, che rappresenta un rischio sul quale cercare di intervenire. 

«Servono una consapevolezza meno semplicistica sul tema e uno stile di lavoro più dialogico»

Condivido anche – su un piano più generale – quanto autorevoli economisti, quali Barca e Zamagni, hanno affermato in questi giorni: si devono approntare strumenti stabili di dialogo sociale con tutti gli stakeholders coinvolti per evitare scollamenti e distanze. Tutto questo per sviluppare forme di progettazione condivisa, di monitoraggio dei processi, di valutazione civica degli esiti. Il PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza) potrebbe essere uno straordinario cantiere per avviare processi di democrazia deliberativa, che facciano crescere un’idea partecipativa di democrazia, contestualmente avverse a tutte le forme di sovranismo autoritario e tali da rafforzare le competenze diffuse del Paese.

Il governo intende porre rimedio a questa situazione che, certamente, si configura come un danno a quelle imprese sociali che avevano appena avuto la facoltà di accedere concretamente a queste misure (ottobre 2020) e come una discriminazione rispetto alle altre imprese “ordinarie”? Quale può essere il percorso che consenta di colmare questo vuoto normativo nel più breve tempo possibile (considerando che la proroga ha una durata limitata a sei mesi) e quale iniziativa intende assumere il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali a tal proposito?

Ricordo che grazie all’intervento dell’attuale ministero del Lavoro è stata ampliata la platea dei destinatari dell’accesso al credito garantito dal fondo di garanzia Pmi a favore del  terzo settore, in particolare anche agli enti non commerciali, tramite le modifiche al Decreto Agosto (n.104 del 14 agosto 2020) convertito dalla legge 13 ottobre 2020, n.126, nello specifico la n. 19/2020 e 20/2020. Adesso, stiamo predisponendo una modifica legislativa al decreto milleproroghe. Infatti verrà depositata una proposta emendativa che prevede la proroga dalla misura per l’accesso al credito coperto da garanzia statale al 100% fino al 30 giugno 2021 in modo da colmare questo vuoto legislativo a tutela dell’incomprimibile principio costituzionale di uguaglianza formale.

Ripristinare questa condizione di parità di opportunità e di trattamento delle imprese sociali rispetto all’accesso al credito garantito sarebbe, ovviamente, una prima e concreta azione del governo. Ma vorremmo che ci parlasse di quello che il ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sta predisponendo per consentire di intercettare fondi e programmi europei per l’economia sociale. In particolare, mi riferisco al Piano nazionale per l’Economia Sociale in connessione con quello predisposto dalla Commissione Europea.

Sto lavorando per sviluppare il concetto di TERZA Economia, un’economia in relazione, che può essere letta in maniera trasversale a tre obiettivi strategici del programma NEXT Generation EU: 

●           ridurre le disparità, 

●           aumentare la resilienza e mitigare gli effetti negativi della crisi, 

●           contribuire all’attuazione del Pilastro europeo dei diritti sociali. 

L’intervento che intendo sviluppare ha carattere trasversale a tutte le azioni del Recovery Plan e consiste nella costituzione di un Fondo per finanziare nel breve periodo interventi ad impatto sociale, più precisamente cambiamenti sistemici, attraendo investimenti privati e chiamando in causa tutti gli attori suscettibili di avere un impatto sociale attraverso una nuova governance: Stato (Pubblica Amministrazione), mercato, terzo settore, economia profit e non profit, comunità e, in primis, la persona. Il modello è quello del “social bond“.

Lo schema di intervento intende determinare un “miglioramento del contesto imprenditoriale”, attraverso la collaborazione pubblico-privato, aprendo nuove occasioni di mercato e di investimento, con un’azione coordinata a livello nazionale. Mira a istituzionalizzare nuovi paradigmi di governance che migliorino la performance delle Pubbliche Amministrazioni e contribuiscano a coniugare più efficacemente, sin dalla definizione degli obiettivi, le politiche attive del mercato del lavoro e le politiche sociali nell’ottica di promuovere coesione sociale e territoriale. Vuole introdurre strumenti che abbiano l’effetto di creare nuove opportunità di lavoro, con il coinvolgimento soprattutto di giovani e gruppi vulnerabili. Infine ambisce a diffondere nuove competenze e strumenti di investimento per l’economia sociale.

Ovviamente la finanza, e in particolare quella etica e mutualistica, è un punto di riferimento per il mondo articolato delle imprese ad alto impatto sociale. All’interno del Piano Next Generation Italia, il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha presentato una scheda sulla “finanza d’impatto” per sostenere e promuovere l’economia sociale: può illustrarci un po’ più in dettaglio i contenuti di questo progetto? 

Si propone una partnership rinnovata tra pubblico e privato (sia esso profit o non profit) per contribuire ad estendere le potenzialità dell’imprenditorialità sociale e della finanza ad impatto, come agenti di sviluppo di un’economia inclusiva. In particolare, l’investimento intende istituzionalizzare e finanziare nel breve periodo uno schema negoziale in cui Stato, mercato, terzo settore e rappresentanti della società civile sono chiamati e vincolati a svolgere uno specifico compito. Lo strumento privilegiato per tenere in considerazione tanto gli aspetti delle molteplici relazioni «orizzontali» legate all’innovazione sociale quanto le necessità di flessibilità e coordinamento connesse alla governance delle reti non può che essere individuato in uno schema negoziale tra diversi soggetti privati (commerciali e non) e uno o più attori pubblici (enti locali, agenzie speciali, ministeri e governi nazionali, ecc.).

«Si propone di costituire un Fondo di finanza di impatto sociale per finanziare social impact bond»

terzo settore
Il terzo settore è stato per ora escluso dai prestiti garantiti dallo Stato © shutter_m/iStockPhoto

Si propone quindi di costituire un Fondo di finanza di impatto sociale per finanziare social impact bond, ossia contratti con l’amministrazione pubblica, sull’impronta di quelli afferenti al cosiddetto impact investing in cui quest’ultima si impegna a effettuare un pagamento a fronte di un miglioramento dei risultati sociali prestabiliti e condivisi ex ante.

Lei ha annunciato l’elaborazione di una metodologia e indicatori di valutazione d’impatto per tutte le imprese italiane, utilizzando gli indicatori Bes: può dirci se pensate ad una normativa che renda obbligatoria, ad esempio a fronte dell’accesso a benefici economici o di altra natura pubblici, tale valutazione?

C’è un cantiere aperto su questo tema che vede impegnata sia la Cabina di Regia presso la Presidenza del Consiglio, presieduta dalla professoressa Filomena Maggino, sia il Comitato di esperti per l’economia sociale, istituito presso il ministero del Lavoro e da me presieduto.

Ad oggi il rating Bes (benessere equo e sostenibile) delle imprese permetterebbe a tutti gli attori della terza economia di accedere a dei meccanismi di accesso al credito specifici, nei quali voi come Banca Etica siete stati sempre i promotori. Supportare gli operatori che rispettano i Bes con l’accesso al credito avrebbe particolare valore in una fase di rilancio del Paese. Nei prossimi mesi si lavorerà per definire una proposta aperta in questa direzione.

Il Forum del Terzo Settore monitora lo stato di attuazione della Legge delega 106/2016 di Riforma del Terzo Settore. La situazione aggiornata all’ottobre 2020 ci segnala ancora un ritardo per quanto riguarda il Codice del Terzo Settore (24 atti previsti, di cui solo 12 adottati e 4 in elaborazione) e anche le Imprese sociali (11 atti previsti, di cui 4 adottati e 1 in elaborazione). Per queste ultime si segnala l’urgenza delle norme di attuazione inerenti la vigilanza delle imprese sociali, in particolare quelle costituite in forma cooperativa. Crisi di governo permettendo, avete una road map che consenta di prevedere quando sarà portato a termine l’attuazione del nuovo impianto normativo iniziato nel 2016? E quali sono le priorità in questa road map?

Una premessa credo sia doverosa sul tema: l’approvazione del Codice del Terzo Settore nel 2016 rappresenta il momento più alto del processo di riconoscimento istituzionale di questo ambito, non solo per il risultato normativo, ma anche per il meccanismo di coinvolgimento dei soggetti sociali nella costruzione delle soluzioni normative adottate, che rappresenta un valore in sé, se si possiede una idea sussidiaria e non procedurale di democrazia. Ma le difficoltà attuative non sono un accidente procedurale. Innanzitutto, il 2020 è stato un anno di emergenza straordinaria a causa della pandemia, fisiologicamente ha rallentato l’attuazione di qualsiasi riforma. Inoltre, c’è una questione metodologica che non va sottaciuta: nel nostro paese alcune azioni di riforma si affidano a impianti normativi troppo complessi per essere gestiti a cavallo di legislatura, dal momento che consegnano alla fase attuativa l’affinamento dei prodotti normativi, anche attraverso decreti interministeriali, per i quali è necessaria una faticosa azione di interlocuzione istituzionale e costruzione condivisa delle norme attuative che scontano – come dicevamo – visionnon sempre convergenti.

«L’approvazione del Codice del Terzo Settore nel 2016 rappresenta il momento più alto del processo di riconoscimento istituzionale di questo ambito»

Il ministero del Lavoro non è l’unico attuatore della norma ed è una visione semplicistica dei processi normativi quella che genera l’idea che l’esistenza del Codice risolva di per se ogni problema e differenza. Ritengo ancora utile porsi la domanda: se questo processo di riconoscimento del Terzo Settore è davvero compiuto nel nostro Paese, nonché quali siano i  nodi di cultura politica/amministrativa con cui fare i conti. 

Infatti le narrazioni sull’economia sociale – o su alcune sue componenti – che abbiamo avuto in questi anni sono state diverse e sarebbe ingenuo ometterle: vanno dalla lettura noir della cooperazione generata dall’inchiesta “Mafia Capitale”, dal parere del Consiglio di Stato del luglio 2018 che riconduceva alle sole gare di appalto le relazioni tra Terzo settore e P.A., al recente infelice inserimento nella legge di bilancio di un articolo che riconduceva tutti i soggetti che lo compongono alla disciplina degli enti economici.  Sulla questione della coprogettazione presente nel Codice, abbiamo avuto bisogno di una sentenza della Corte Costituzionale, per dissipare resistenze e opposizioni. Cito questi aspetti problematici, per renderci avvertiti che i processi riformatori devono fare i conti con le difficoltà concrete che vanno analizzate – e non demonizzate – e soprattutto risolte.

Quindi costruire una roadmap non è operazione semplice, tanto più a fronte della pluralità dei ministeri coinvolti – quali il Mef ma anche lo stesso Mlps – peraltro sovraccaricati dalle questioni connesse alla emergenza pandemica. Ma certamente la priorità sulla quale si sta lavorando è l’autorizzazione della Commissione europea sulla parte fiscale del Codice, per avviare effettivamente la Riforma, dando certezza ai soggetti coinvolti.

In questo senso la prossima apertura del tavolo di confronto Mef, Mlps e Forum Terzo settore sulla disciplina fiscale credo possa rafforzare questo processo attuativo.