Clima, a Bonn il mondo tenta la strada della “mutirão”

Dalle emissioni all’adattamento, passando per la “mutirão”, la mobilitazione collettiva sul clima auspicata dal Brasile. A Bonn un nuovo round di lavori

Bonn ospita i lavori preparatori per la prossima Conferenza delle parti sul clima © Unclimatechange/Flickr

Da lunedì 16 giugno i delegati di quasi 200 nazioni sono riuniti a Bonn, in Germania, per la 62esima sessione degli “organismi sussidiari” (SB62) della Convenzione quadro sul clima delle Nazioni Unite, la Unfccc. Si tratta, in termini più semplici, dei più importanti lavori preparatori in vista della trentesima Conferenza mondiale sul clima, la Cop30 che si terrà nel mese di novembre a Belém, in Brasile. E dalla quale dipenderà buona parte delle sorti del pianeta Terra. 

Cop30: il Brasile chiede una mobilitazione collettiva per il clima

Nella speranza di fare dell’appuntamento in America Latina un momento di rilancio per l’azione climatica mondiale, la sessione SB62 dovrà spianare la strada su numerose questioni. E farlo in un quadro geopolitico tutt’altro che semplice, tra conflitti armati, guerre commerciali, e numerosi esecutivi apertamente negazionisti rispetto all’origine antropica del riscaldamento globale. 

È per questa ragione che la priorità assoluta da parte della delegazione brasiliana non è tanto legata alle singole questioni, quanto alla necessità di convincere le controparti sulla necessità di dar vita a una mobilitazione collettiva. Una mutirão, per usare le parole di André Aranha Correa do Lago, che presiederà la Cop30, senza la quale sarà difficile immaginare di ottenere risultati concreti. E che potrebbe prendere spunto da una nuova fase: non più quella dei “negoziati”, bensì quella della “messa in opera”. 

Certo, ad aderire dovranno essere i grandi responsabili di emissioni di gas ad effetto serra, a partire dagli Stati Uniti di Donald Trump, che ha già annunciato la volontà di uscire per la seconda volta dall’Accordo di Parigi. La strada, insomma, è oggettivamente in salita. Ciò nonostante, il Brasile vuole provare ad accelerare la lotta contro la crisi climatica e ridare slancio al multilateralismo. E chissà che proprio dalla cooperazione climatica non possano nascere anche le riconciliazioni di cui il mondo ha disperatamente bisogno in questa fase. 

La sensazione è che per Correa do Lago sia chiara la necessità di cambiare in qualche modo “metodo”. Ad esempio, in una lettera ai governi del 23 maggio, ha proposto a tutti di incontrarsi non come di consueto all’apertura formale della SB62 ma un giorno prima, domenica 15 giugno, per una giornata di ascolto reciproco. Un “giorno zero” per guardarsi negli occhi senza fogli da riempire e orari da rispettare.

Bonn: l’adattamento climatico al centro dei lavori preparatori

Non si sa come sia andato l’incontro informale. Si sa però che i temi sul tavolo sono moltissimi. Nella Road to Belém che porterà alla Cop30 occorrerà affrontarne la maggior parte, per evitare di trovarsi con l’acqua alla gola nelle due settimane di lavori in Brasile. A Bonn si discuterà innanzitutto di adattamento ai cambiamenti climatici. Una questione che riguarda le nazioni di tutto il mondo ma che sta a cuore, evidentemente, soprattutto a quelle più vulnerabili ed esposte rispetto agli impatti dell’aumento della temperatura media globale. 

In particolare, occorrerà lavorare al perfezionamento degli indicatori che permettono di misurare concretamente i progressi effettuati da ciascun governo nella realizzazione dell’Obiettivo mondiale in materia di adattamento (Global goal on adaptation, Gga) stabilito dall’Accordo di Parigi. Una questione legata inevitabilmente ai finanziamenti che a tale scopo saranno stanziati. Sarà avviata infatti la quinta valutazione sul Fondo per l’adattamento. 

Il Gga sarà in cima all’agenda della SB62. Se ne parla da tempo, anche per via del fatto che la dicitura dell’Accordo di Parigi è piuttosto vaga («Migliorare la capacità di adattamento, rafforzare la resilienza e ridurre la vulnerabilità»).  Ma, a dieci anni di distanza dalla sua approvazione, ancora dobbiamo dotarci degli indicatori necessari per tale obiettivo. Servono, appunto, strumenti concreti per definire chiaramente cosa occorra fare per progredire sul tema e monitorare gli avanzamenti.

Per questo alla Cop28 di Dubai si introdusse un quadro di riferimento per il Gga, che dovrebbe guidare l’azione e che include obiettivi settoriali (su acqua, alimentazione, agricoltura, salute, biodiversità, infrastrutture e patrimonio culturale). Ad aiutare sarà anche il Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite (Ipcc) che sta valutando proprio in questa fase i progressi sulle linee guida fornite nel 1994 per la valutazione degli impatti dei cambiamenti climatici e delle misure di adattamento. 

Emissioni e NDC: i limiti delle promesse dei governi sul clima

Un secondo tema di fondamentali importanza per le sorti del clima è quello legato alle cosiddette Nationally Determined Contributions, Ndc. Ovvero le promesse di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra avanzate da ciascun governo. Le prime vennero consegnate dall’Unfccc nel 2015, prima della Cop21 di Parigi, ma l’analisi fu inquietante. Anche qualora fossero state rispettate per intero, il riscaldamento climatico avrebbe raggiunto i 3,2 gradi centigradi, rispetto ai livelli pre-industriali. Un valore lontanissimo da quanto richiesto dall’Accordo raggiunto nella capitale francese (massimo 2 gradi, ma rimanendo il più possibile vicini agli 1,5). 

Così, ai governi fu chiesto di rivedere le Ndc. L’ultima versione risulta però ancora molto lontana dagli obiettivi internazionali: si arriverà a un aumento compreso tra i 2,4 e i 2,6 gradi (sempre a patto che tutti gli impegni siano rispettati per intero). Occorre rimboccarsi insomma le maniche. Il mondo, però, sembra prendersela comoda: per ora soltanto 22 Stati hanno consegnato all’Onu le nuove promesse (di cui appena 16 entro la scadenza fissata a febbraio 2025). E solo cinque di essi fanno parte del G20, ovvero dei principali responsabili delle emissioni: Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Giappone e Brasile

Soprattutto, anche le nuove Ndc appaiono nettamente insufficienti, poiché permetterebbero di ridurre le emissioni soltanto di 1,4 miliardi di tonnellate equivalenti tra il 2030 e il 2035. Mentre secondo un calcolo effettuato dal World Resources Institute occorrerebbe un calo di 31 miliardi di tonnellate per centrare l’obiettivo degli 1,5 gradi. Ci si aspetta che altre nazioni possano inviare le loro promesse nei mesi a venire, ma è possibile anche che qualcuno decida di non farlo, magari per ragioni politiche interne. 

A Bonn si valuta l’azione climatica dei governi: tra trasparenza e monitoraggio

Altro punto, meno noto, è legato ai Biennial transparency reports (Btr). Si tratta di documenti che i Paesi devono fornire ogni due anni, al fine di monitorare i progressi concreti effettuati su ciascuna Ndc, gli sviluppi e i trasferimenti di tecnologie, le necessità di supporto per raggiungere i risultati attesi. Insomma, dei quadri completi sull’azione climatica per ciascuna nazione.

Ebbene, 110 governi hanno inviato i loro primi Btr entro lo scorso mese di dicembre, compresi numerosi Paesi meno sviluppati o piccoli Stati insulari che avrebbero potuto avvalersi di deroghe specifiche. Si è trattato di un successo numerico, ma per capire se lo sia del tutto occorrerà analizzarne i contenuti. Un piccolo gruppo di governi presenterà per questo i suoi Btr alla SB62 di Bonn, al fine di ricevere osservazioni, domande e commenti dagli altri Paesi. Con l’obiettivo finale di allinearsi su una metodologia il più possibile uniforme di reporting

Un terzo asse dei lavori in Germania è relativo proprio alla trasparenza e alla condivisione di informazioni. L’Unfccc farà il punto sugli strumenti attualmente a disposizione. In questo senso, occorrerà raccogliere il testimone di molte questioni rimaste irrisolte all’ultima Cop29 di Baku. In Azerbaigian, infatti, non è stato approvato alcun testo sull’UAE Dialogue, ovvero l’implementazione concreta di quanto indicato nel Global Stocktake approvato alla precedente Cop28 di Dubai. Il presidente della Cop29, Mukhtar Babayev, aveva annunciato che «alla luce delle preoccupazioni espresse dalle parti» se ne riparlerà appunto alla Cop30.

Si dovrà poi portare avanti l’esame del Meccanismo di Varsavia, che ha contribuito a migliorare le conoscenze su quali siano le perdite e i danni patiti dai Paesi esposti. Occorrerà poi proseguire i negoziati sui Programmi di lavoro sull’attenuazione dei cambiamenti climatici e sulla transizione giusta. 

Finanza per il clima: esclusa dai temi principali del summit di Bonn

Difficile invece immaginare che si affronti la questione sul New collective quantified goal (Ncqg). Ovvero i flussi finanziari che dal Nord ricco devono andare a finanziare la transizione nel Sud globale. L’accordo chiuso a Baku prevede 300 miliardi di dollari all’anno entro il 2035 per i Paesi cosiddetti in via di sviluppo. Provenienti da un mix di fondi pubblici e privati, bilaterali e multilaterali, sotto forma di prestiti e a fondo perduto. La richiesta delle nazioni africane, asiatiche e latinoamericane è di portare il finanziamento a 1.300 miliardi (a fronte di 2.400 almeno necessari, secondo gli esperti delle Nazioni Unite).

Normalmente, le questioni strettamente finanziarie non vengono affrontate nei meeting di giugno. Alla SB62 un evento è dedicato all’allineamento dei flussi finanziari, ma appare molto centrato sui fondi privati. E la cosa non è vista di buon occhio dal Sud del mondo, che vede tale scelta come un modo per eludere l’impegno a stanziare denaro pubblico. 

Infine, a Bonn si dovrà tentare di trovare un accordo sul Paese che ospiterà la successiva Cop31, prevista in autunno 2026. L’Australia e la Turchia hanno presentato le loro candidature, ma si prevede un braccio di ferro tra mondo occidentale e G77+Cina. 

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