«Le risorse ci sono, ma sono mal distribuite»

Susana Ruíz (Oxfam) commenta la proposta di Spagna e Brasile per una coalizione globale sulla tassazione dei super-ricchi, tra giustizia fiscale e disuguaglianze

Susana Ruíz, responsabile delle politiche di giustizia fiscale di Oxfam Spagna

Alla Conferenza internazionale sul Finanziamento allo Sviluppo, che si è tenuta a Siviglia dal 30 giugno al 3 luglio 2025, Spagna e Brasile hanno lanciato una coalizione per promuovere la tassazione delle grandi fortune. L’iniziativa mira a far sì che chi concentra più ricchezza contribuisca in modo equo al finanziamento delle politiche pubbliche e dello sviluppo sostenibile. Non è la prima volta che se ne discute: già al G20 dello scorso anno, il Brasile aveva cercato di guidare una proposta simile che, però, non è riuscita a decollare.

Abbiamo parlato con Susana Ruiz, responsabile delle politiche di giustizia fiscale in Oxfam, organizzazione che sottolinea l’importanza di questa iniziativa e ricorda che non si tratta solo di un dibattito tecnico, ma di una questione di giustizia fiscale e di volontà politica.

Come leggete, da Oxfam, il fatto che Spagna e Brasile abbiano deciso di guidare una coalizione internazionale sulla tassazione dei super-ricchi?

Per noi è stato uno dei grandi successi della conferenza di Siviglia, uno degli avanzamenti più significativi. Bisogna leggerlo nel contesto politico attuale: in un altro momento, un annuncio simile non avrebbe avuto lo stesso peso. La conferenza è servita soprattutto a ratificare un accordo già negoziato – l’“Impegno di Siviglia” – approvato da 192 Paesi. Non si trattava tanto di negoziare, quanto di mostrare leadership politica. La Spagna, come Paese ospitante, ha voluto che non rimanesse solo un documento, ma che ci fossero garanzie per passare all’azione. Da qui nasce la Seville Platform for Action (SPA), dove diverse istituzioni hanno presentato iniziative. Una delle più forti è stata proprio quella guidata da Spagna e Brasile sulla tassazione dei super-ricchi.

Lo scorso anno, durante la presidenza brasiliana del G20, si era aperto per la prima volta il dibattito sulla concentrazione della ricchezza e sulla necessità di tassare i più ricchi. Che continuità ha la proposta di Siviglia con quell’agenda?

Questa è una nuova agenda che ha preso slancio quando lo scorso anno il Brasile ha assunto la presidenza del G20 ed è riuscito a far sì che i leader mondiali sostenessero un accordo storico in cui, per la prima volta, si è riconosciuto che la concentrazione e la crescita delle disuguaglianze di ricchezza rappresentano un problema per la sostenibilità e per la crescita, e che fosse necessario elaborare un’agenda condivisa per tassare i più ricchi. Quell’accordo è stato storico. Ma con la presidenza del Sudafrica di quest’anno si sarebbe dovuto dare continuità, e non è stato facile. Il vertice dei leader dello scorso anno si è svolto dopo la vittoria elettorale di Trump –anche se non aveva ancora assunto la presidenza –, e nel contesto attuale del G20 è molto più difficile avanzare verso consensi concreti.

Questo fa capire che non sarà così semplice ottenere progressi nel G20, soprattutto considerando che il prossimo si terrà negli Stati Uniti, a dicembre di quest’anno. Ma ciò non impedisce che ci siano Paesi che condividono questa preoccupazione e abbiano la volontà di andare avanti. La dichiarazione dell’iniziativa guidata da Spagna e Brasile raccoglie proprio questo impegno. La Spagna aveva già sostenuto molto il Brasile durante la sua presidenza del G20 e ora raccoglie il testimone. Se il G20 non è il quadro adatto, non si vuole gettare la spugna: significa cercare le vie per portare avanti questa agenda a livello nazionale, regionale e internazionale. Questa è la volontà politica dell’iniziativa di Siviglia: anche se alcuni Paesi bloccano, non è l’unica strada, e si invita altri ad aderire.

Si stanno già unendo altri Paesi? Quali potrebbero far parte della coalizione?

Dai governi di Brasile e Spagna abbiamo saputo che stanno lavorando a un’agenda concreta: quali porte aprire, quali Paesi coinvolgere, per poi convocare un primo incontro. L’idea è includere America Latina, Europa, Africa e Asia. A Siviglia, il Sudafrica ha annunciato la sua adesione: il presidente ha creato un comitato straordinario sulla concentrazione estrema della ricchezza, con esperti come Joseph Stiglitz che presenteranno proposte nell’ambito del G20, anche se non come documento ufficiale, ma come iniziativa del governo sudafricano. Abbiamo quindi Brasile, Spagna e ora Sudafrica. In Francia è in corso un dibattito molto forte sulla tassazione dei super-ricchi contrapposto ai programmi di austerità, il che dimostra che è un tema presente in diversi Paesi.

Ci auguriamo che, in America Latina, Paesi come Cile, Colombia, Uruguay o Messico possano aderire. Speriamo inoltre che si uniscano altri Paesi africani come Ghana e Kenya, dove c’è già stato un certo interesse. In Asia, lo Sri Lanka sta già avviando iniziative per avanzare in questa direzione. C’è interesse in diversi luoghi, e ci aspettiamo anche che altri Paesi europei si uniscano.

La Spagna promuove la coalizione, ma non ha rispettato i suoi impegni sulla cooperazione allo sviluppo. Non è una contraddizione?

Occorre insistere perché la politica mantenga le sue promesse, soprattutto quando si parla di cooperazione. Ma ciò non toglie che riconosciamo questo progresso. Non è una cosa o l’altra: bisogna riconoscere la rilevanza di questo passo nell’attuale contesto e, allo stesso tempo, esigere coerenza in altri ambiti. Non è la prima volta che il governo spagnolo fa dichiarazioni in questo senso, come quando Pedro Sánchez a Davos disse davanti agli investitori che bisognava porre fine ai paradisi fiscali. Vediamo misure in quella direzione, ma dobbiamo anche chiedere coerenza in altri contesti, come a livello di Unione europea o nei negoziati sulla fiscalità delle imprese.

Quando parliamo di tassare gli ultraricchi, a quali soglie di ricchezza ci riferiamo?

Dipende da ogni Paese. Negli Stati Uniti si può parlare di patrimoni superiori ai 100 milioni; in Sudafrica bisognerebbe fissare soglie più basse. L’idea è mettere in comune le esperienze, capire a quali profili di contribuenti ci si rivolge, quali difficoltà esistono nell’accesso alle informazioni e quali condizioni amministrative o politiche siano necessarie. La Spagna ha 20 anni di esperienza con l’imposta sul patrimonio; il Brasile parte da zero. Ogni Paese ha un proprio profilo di concentrazione della ricchezza e le soluzioni non sono le stesse. Per questo l’iniziativa punta a condividere progressi tecnici ed esperienze, ma anche a creare condizioni politiche e sociali favorevoli.

Un esempio di disuguaglianza fiscale?

In Paesi come la Spagna un contribuente con reddito medio può arrivare a pagare, in termini di aliquota effettiva, quanto una persona con patrimonio molto più elevato. Gabriel Zucman ha dimostrato che i miliardari del Pianeta pagano in media un’aliquota effettiva dello 0,5% sulla loro ricchezza. È pochissimo rispetto a quanto versa un lavoratore o una lavoratrice comune. In pratica, i più ricchi pagano meno, e questo spezza la progressività del sistema: quando si arriva allo 0,001% più ricco, la progressività scompare e si crea un’élite ultraricca e ultrapotente.

Il fatto che chi possiede enormi patrimoni paghi pochissimo rispetto a chi fatica ad arrivare a fine mese è ciò che la cittadinanza non riesce a comprendere. Si pensa che sia più semplice tagliare i servizi pubblici piuttosto che chiedere a chi ha di più di contribuire maggiormente. E non ha senso: in Spagna sono poche le persone che possiedono patrimoni superiori al miliardo di dollari. Perché è così difficile chiedere loro di dare un po’ di più, quando al resto della cittadinanza si chiede maggiori sacrifici o si annunciano tagli a pensioni e servizi pubblici? È questo che sta generando un cambiamento di percezione.

Una delle possibili difficoltà di questa tassazione sui redditi molto alti è il rischio di mobilità del capitale. Quali misure possono evitare che i super-ricchi trasferiscano la loro ricchezza in altri Paesi?

Ce ne sono diverse. Maggiore trasparenza e un registro globale degli attivi. Imposte di uscita (exit tax) per chi trasferisce la propria ricchezza. Estendere i tempi in modo che continuino a contribuire anche dopo aver cambiato residenza fiscale. E accordi più ampi, ad esempio a livello di Unione europea, affinché ci sia uno standard condiviso. In Spagna, con l’imposta sul patrimonio, è aumentato sia il numero dei dichiaranti sia il gettito. Le fughe esistono, ma sono minime. Sono le stesse minacce che sentivamo quando si parlava di modificare la tassazione delle imprese: si diceva che le aziende se ne sarebbero andate, ma il costo di farlo è molto alto e non rappresenta un rischio così grande come viene spesso descritto.

Quale ruolo può avere la società civile?

La pressione della cittadinanza è molto importante. La ragione per cui governi come quello del Brasile stanno portando avanti queste iniziative è che godono di un’ampia accettazione da parte dei cittadini. Il caso della Francia oggi è un buon esempio: i cittadini francesi stanno dicendo che non cedono alle pressioni dell’austerità né all’idea che non ci siano alternative. L’alternativa è introdurre una tassazione sui super-ricchi. Pertanto, la cittadinanza può fare in modo che per i governi il costo di non applicare questa imposta sulle grandi fortune diventi molto alto.

Che impatto avrebbe questa iniziativa sulla cooperazione allo sviluppo?

Oggi si dice che non ci sono risorse, ma non potrebbe esserci falsità più grande: le risorse ci sono, solo che sono mal distribuite e non contribuiscono in modo adeguato. Ogni ora, per inerzia del sistema finanziario, 30 milioni di dollari fluiscono dal Sud al Nord globale. Bisogna redistribuire quella ricchezza per rafforzare i fondi pubblici e destinarne una parte alla cooperazione. I passi indietro nel finanziamento allo sviluppo che si stanno registrando in molti Paesi in questo momento non dipendono dalla mancanza di fondi, ma dalla mancanza di volontà politica. Molti tagli sono più ideologici che di bilancio, e ancora una volta la cittadinanza gioca un ruolo fondamentale.

Quali sono i prossimi passi di questa iniziativa?

In queste settimane si dovrebbe iniziare lavorare a un’agenda più concreta, e so che alcuni governi hanno iniziato ad avvicinarsi per definirla. È un processo nuovo che richiede tempo, perché non è la stessa cosa guidare qualcosa all’interno del G20 rispetto a iniziare da zero. Bisogna continuare a fare pressione, ma anche capire che questo ha bisogno di tempo per maturare tra i governi, e che tutto ciò che accade intorno al G20, così come le pressioni del G7 sulle multinazionali statunitensi, contribuisce sempre più a far comprendere l’urgenza di questa iniziativa.


Questo articolo è stato pubblicato in spagnolo su Valor social e tradotto dalla redazione di Valori.it.

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