«Non è vero che evasione e disuguaglianze sono inevitabili»

Perché le disuguaglianze vanno combattute anche con tasse sulle multinazionali e sui patrimoni. Intervista all'economista Gabriel Zucman

Gabriel Zucman, direttore dell'European Tax Observatory © World Economic Forum/Faruk Pinjo

Allievo di Thomas Piketty, il francese Gabriel Zucman è uno degli economisti più quotati in Europa e non solo. Insegna al dipartimento di Economia della Scuola normale superiore di Parigi e della Paris School of Economics. Co-autore del World Inequality Report del 2018, testo che ha avuto un’eco mondiale, nello stesso anno ha vinto il premio di “Miglior giovane economista francese”. Al momento della consegna, presso la Banque de France, nel suo discorso attacca frontalmente le banche d’affari e i mercati finanziari.

Il 23 ottobre ha pubblicato il Global Tax Evasion Report con l’Eu Tax Observatory (che dirige): uno degli studi più aggiornati e completi sul tema dell’evasione fiscale, al quale hanno partecipato anche  Annette Alstadsæter, Sarah Godar e Panayiotis Nicolaides.

Le disuguaglianze nel nostro sistema economico di matrice neoliberista non rappresentano una casualità ma una caratteristica del sistema stesso. Perché è così difficile far penetrare nel mondo politico la necessità di un cambiamento profondo? 

Se osserviamo i dati, vediamo che l’evasione fiscale è uno “sport” praticato principalmente dai ricchi e dalle grandi multinazionali. Questo aggrava le disuguaglianze e mina la democrazia.

fisco disuguaglianze © hyejin kang iStockPhoto
Il sistema fiscale ha una base imponibile talmente ridotta da rendere la progressività inapplicabile © hyejin kang/iStockPhoto

Per troppo tempo, l’evasione fiscale è stata considerata da molti un’inevitabile legge di natura, quasi un sottoprodotto della globalizzazione. Questa idea è stata alimentata anche da coloro che sono interessati a mantenere lo status quo. Con questo rapporto dimostriamo che nulla è più lontano dalla verità. L’evasione fiscale è una scelta politica, o talvolta il risultato di una mancanza di scelte politiche. Possiamo affrontare l’evasione fiscale, possiamo affrontare la disuguaglianza estrema.

La global minimum tax al 15% sulle multinazionali è apparsa come una presa di coscienza improvvisa da parte dei governi: a suo avviso si tratta di un intervento sufficiente?

L’idea della minimum tax è rivoluzionaria: per la prima volta 140 Paesi hanno concordato che le aziende multinazionali debbano pagare un importo minimo di tasse. L’aliquota del 15% è, a nostro avviso, troppo bassa rispetto a quanto pagano le PMI di tasse. Ma, in teoria, un’imposta minima interrompe decenni di corsa al ribasso in materia di fiscalità internazionale d’impresa.

Anche la forma della tassa è rivoluzionaria: se un Paese si rifiuta di applicare la tassa minima, altri Paesi possono intervenire e aumentare il prelievo su redditi d’impresa sotto-tassati. Ciò significa che in teoria non c’è alcun incentivo per un Paese a non applicare l’imposta.

Questa è la teoria. In pratica, l’accordo è stato drasticamente annacquato dall’introduzione di escamotage vari, poco dopo l’accordo originale del 2021. Accettando le falle nella soglia minima del 15%, è probabile che l’accordo finale non metterà fine alla corsa al ribasso tra Paesi sul fisco. Secondo le nostre stime, le “scappatoie” hanno dimezzato il gettito potenziale della global minimum tax (lo avrebbero ridotto di due terzi se l’aliquota fosse stata fissata al 20%). L’aspetto più importante è che questi espedienti permetteranno di continuare la corsa al ribasso, solo in un’altra forma. Invece di competere sulle aliquote fiscali, i Paesi utilizzeranno tali escamotage, come il trattamento generoso dei crediti d’imposta, per continuare a offrire un’imposizione più bassa alle multinazionali.

Siamo favorevoli a una minimum tax più elevata, ad un’aliquota di almeno del 20%, ma soprattutto senza scappatoie, per porre un vero e proprio freno all’agguerrita e dannosa concorrenza fiscale internazionale.

Ci sono stati alcuni passi avanti nella lotta all’evasione, in particolare per quanto riguarda lo scambio di informazioni bancarie. Quali sono delle misure concrete ed efficaci che potrebbero essere adottate dai governi adesso?

Un decennio fa, la maggior parte della ricchezza finanziaria detenuta offshore non era tassata: la mancanza di cooperazione fiscale tra i Paesi e le istituzioni finanziarie faceva sì che le autorità fiscali rimanessero all’oscuro dell’esistenza di conti e asset finanziari offshore.

Noi abbiamo dimostrato che l’introduzione dello scambio automatico di informazioni bancarie ha ridotto l’ammontare della ricchezza offshore che sfuggiva alla tassazione di due terzi. Con questa riforma, i governi obbligano gli istituti finanziari a condividere le informazioni bancarie con le autorità fiscali dei loro Paesi, che a loro volta le scambiano automaticamente con le autorità fiscali estere competenti.

Questo dimostra che, in presenza di una volontà politica, si possono ottenere rapidi progressi nella lotta all’evasione fiscale. Un decennio fa, l’idea che le banche svizzere condividessero le informazioni sui loro clienti era utopica. Oggi questa pratica rappresenta una strategia centrale contro l’evasione fiscale.

Parlando di persone fisiche e non di aziende, molti multimilionari pagano pochissime tasse, grazie a nicchie fiscali ed esenzioni. Perché la maggior parte delle tasse intervengono sui flussi di introiti piuttosto che sui patrimoni?

Uno degli sviluppi più sorprendenti della lotta all’evasione fiscale è che i ricchissimi non hanno più bisogno di nascondere i loro patrimoni nei paradisi fiscali per pagare poche tasse. Nel nostro rapporto dimostriamo che, per i Paesi di cui disponiamo dei dati, i miliardari pagano meno imposte in proporzione al loro reddito rispetto al resto della popolazione. Questo la dice lunga sui rischi per la sostenibilità dei nostri sistemi fiscali.

I miliardari non nascondono necessariamente le loro fortune in destinazioni esotiche. Piuttosto, strutturano la propria ricchezza nei Paesi di residenza in modo che generi pochi (a volte zero) redditi imponibili. Per esempio, in molti Paesi i miliardari riescono a non pagare le tasse su enormi dividendi che ricevono utilizzando le holding di famiglia. Queste strutture sono in genere legali, ma se le si usa rigorosamente per non pagare le tasse, allora c’è motivo di considerarle uno strumento d’abuso.

I nostri sistemi fiscali si basano principalmente sulla tassazione del reddito: imposte sui ricavi delle persone fisiche, imposte sui salari, imposte sul valore aggiunto. Questo perché per la maggior parte delle persone è il modo più semplice per valutare l’arricchimento e il consumo. Ma quando si guarda ai vertici della distribuzione, i limiti tra reddito, consumo e ricchezza sono molto sfumati. Ecco perché il modo migliore per tassare i miliardari è colpire la loro ricchezza. Per questo proponiamo una tassa minima globale del 2% sul patrimonio dei miliardari.

Dobbiamo imparare dagli errori delle imposte sui patrimoni del passato per progettare una misura efficace, mirata solo a coloro che i nostri sistemi fiscali non riescono a tassare adeguatamente, senza esenzioni e con un meccanismo che impedisca le fughe di capitali all’estero.

A pagare poche tasse è l’1% della popolazione ultra-ricca. A suo avviso per quale ragione non emerge una richiesta “dal basso”, dal popolo, per imporre loro di pagare il giusto? È tutto attribuibile solo ad un effetto-Hirschman?

Se si guarda all’interno dei Paesi, dei continenti, a volte anche dello spettro politico, c’è una maggioranza, a volte una maggioranza molto forte, che sostiene l’aumento delle tasse sui più ricchi. Se guardiamo all’Italia e ai suoi vicini, c’è una maggioranza che sostiene l’aumento delle tasse sui ricchi in tutti i 27 Stati membri dell’Unione europea.

Ciò che manca non è il sostegno all’idea che i ricchi debbano pagare tasse più alte. Ormai sono pochissime le persone che credono nella teoria del “trickle down” (lasciare che i ricchi si arricchiscano poiché si ritiene che ciò possa, successivamente, giovare anche alle altre classi sociali, ndr), tranne quelle che hanno interessi personali.

Allora perché non vediamo fiorire tasse sulla ricchezza in tutto il mondo? C’è una diffusa convinzione che i ricchi saranno sempre in grado di eludere queste imposte: lasciare il Paese di residenza fiscale, nascondere la loro fortuna offshore.

Il nostro messaggio è che l’evasione fiscale non è una legge di natura. È una scelta politica. Il nostro rapporto dimostra che tassare i miliardari è possibile. Possiamo tassare i ricchi. Abbiamo gli strumenti per sapere dove vogliono nascondere i loro patrimoni e prevenire l’espatrio fiscale. Le autorità fiscali hanno ora molte più informazioni per tracciare correttamente la loro ricchezza offshore, possiamo mettere in atto misure che impediscano trasferimenti “non onerosi” all’estero.

Ritiene che le disuguaglianze possano raggiungere un livello tale da generare un conflitto sociale, viste anche le ripetute crisi, oppure il 99% della popolazione continuerà a non “ribellarsi” a questo stato di cose?

I livelli di disuguaglianza sono alimentati dalle politiche fiscali. Negli ultimi 40 anni, in tutto il mondo, quando i governi hanno ridotto le imposte sulle imprese e sui ricchi per rimanere competitivi, hanno compensato la perdita di gettito aumentando i prelievi sul lavoro e sui consumi. Le tasse sul lavoro e sui consumi ricadono proporzionalmente molto di più sulle classi basse e medie. Questo ha esacerbato le disuguaglianze.

E in una certa misura, ciò ha già generato conflitti sociali. Si pensi al movimento dei gilet gialli in Francia, ai conflitti sociali degli ultimi dieci anni scatenati da riforme fiscali inique in America Latina, Libano, Kazakistan, ecc.

Siamo appena usciti dalla pandemia, ora stiamo affrontando una crisi del costo della vita e le prime conseguenze della crisi climatica. Queste difficoltà aggraveranno inevitabilmente le disuguaglianze. Per far fronte a tutto ciò saranno necessarie ulteriori entrate erariali da investire nella sanità, nell’istruzione e nelle infrastrutture pubbliche. Se non rendiamo il nostro sistema fiscale molto più progressivo, anche la risposta alla crisi aggraverà le disuguaglianze.

A suo avviso è immaginabile che una Commissione come quella presieduta da Ursula von der Leyen possa chiedere ai governi di introdurre tasse patrimoniali? O altrimenti esiste la possibilità che un gruppo di Stati che possa avviare per lo meno una cooperazione rafforzata su questo tema?

È sempre preferibile avere un accordo globale, o in questo caso europeo. Questo significa meno scappatoie, meno possibilità di aggirare il prelievo. Gli accordi globali dovrebbero essere il punto di arrivo. Dato l’interesse che alcuni attori economici hanno nel preservare lo status quo, insistere sull’unanimità fin dall’inizio limita fortemente il campo delle possibilità.

La storia recente dimostra come un’azione unilaterale (o multilaterale da parte di un gruppo di Paesi leader) possa aprire la strada a un accordo quasi globale. L’azione unilaterale, se ben fondata dal punto di vista economico, può accelerare piuttosto che ostacolare la cooperazione globale.

La lotta al segreto bancario è stata inizialmente avviata dagli Stati Uniti con il FATCA, prima che venisse trovato un accordo globale sul Common Reporting Standard. L’accordo sulla tassa minima globale è stato costruito sulla base dell’adozione unilaterale da parte dei Paesi di tasse sui servizi digitali.

Come giudica il modo in cui i mezzi d’informazione veicolano i risultati dei suoi studi o di quelli di altri suoi colleghi economisti? La copertura è in grado di generare una massa critica che spinga per l’imposizione di regole più stringenti o esiste, appunto, una responsabilità anche nel modo in cui i giornali e le televisioni affrontano la questione?

Ci auguriamo che questo primo rapporto sull’evasione fiscale globale possa aiutare a comprendere meglio l’entità e le dinamiche dell’evasione fiscale e permettetemi di ripeterlo ancora una volta: l’evasione fiscale non è una legge di natura, ma il risultato di (mancate) scelte politiche.

Ci auguriamo che possa contribuire alla nascita di un’analisi sistemica delle riforme fiscali per informare i responsabili politici, una sorta di IPCC della fiscalità.

Ci auguriamo che possa convincere i politici a portare avanti politiche ambiziose per contrastare l’evasione fiscale: una tassa minima globale sui miliardari e una tassa minima globale potenziata rafforzata sulle grandi multinazionali. Ipotizziamo che queste due misure possano fruttare 500 miliardi di dollari all’anno. Si tratta di una cifra sufficiente a coprire i costi per l’adattamento ai cambiamenti climatici dei Paesi in via di sviluppo.

Un’ampia copertura mediatica è essenziale per tutto questo.