Tempi duri per il carbone? Dipende (anche) da noi
C'è grossa crisi, la rubrica di Andrea Baranes che vi spiega perché dovete interessarvi di finanza. Prima che la finanza si interessi di voi
L’andamento è a dir poco preoccupante. Nei cinque anni successivi all’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, 60 tra i maggiori gruppi bancari del Pianeta hanno investito 3.800 miliardi di dollari (qualcosa come due volte il PIL dell’Italia) nei combustibili fossili. Mentre la comunità internazionale finalmente sanciva il rischio dei cambiamenti climatici e l’urgenza di agire subito, il settore bancario e finanziario andava in direzione diametralmente opposta.
Malgrado il moltiplicarsi di prese di posizione e iniziative più o meno serie per la sostenibilità, è quindi difficile pensare che il necessario cambio di rotta arrivi dallo stesso sistema finanziario. Serve un intervento “dall’alto”, ovvero regole serie e vincolanti, e un’azione diffusa “dal basso”, che parta dai clienti e dai risparmiatori. Sulla prima direttrice ci sono diversi segnali incoraggianti, ma ancora decisamente troppo timidi, a partire dal Piano di Azione dell’Unione europea sulla “finanza sostenibile”, di cui abbiamo spesso parlato. Ma è dal basso che vediamo molte delle iniziative più interessanti e, potenzialmente, in grado di fare la differenza.
Pensiamo al divestment, ovvero al fatto che sempre più fondi pensione e altri investitori istituzionali disinvestono dalle imprese del settore dei combustibili fossili. Pensiamo all’azionariato attivo e critico, tramite il quale i piccoli azionisti interrogano e mettono pressione alle imprese riguardo i loro comportamenti e obiettivi in campo sociale e ambientale.
Più in generale, sta crescendo la consapevolezza dei risparmiatori riguardo il fatto che i loro soldi, una volta depositati in banca o affidati a un intermediario finanziario, possono essere impiegati in progetti con impatti negativi sul clima, o al contrario per accelerare la transizione ecologica e la tutela ambientale.
Ad aprile una coalizione della società civile ha mosso una protesta formale contro la banca olandese ING per il finanziamento di una centrale a carbone in Indonesia. Negli stessi giorni, le tre maggiori banche francesi hanno dichiarato che non finanzieranno il controverso oleodotto attraverso l’Africa orientale (East African Crude Oil Pipeline – EACOP), in risposta a una lettera aperta inviata alle stesse banche da oltre 260 organizzazioni della società civile. Una fonte interna a una delle banche ha dichiarato a un giornale francese che il finanziamento del progetto “sarebbe troppo difficile da difendere”.
Due casi recenti che mostrano la crescente pressione sul sistema finanziario. La strada per una reale sostenibilità della finanza è ancora lunga, mentre è necessario agire subito e con fermezza contro i cambiamenti climatici. C’è però un segnale concreto di speranza: tutti noi, come clienti e utilizzatori dei servizi finanziari, con le nostre scelte quotidiane possiamo indirizzare i capitali nella giusta direzione.