Transizione energetica a rischio green grabbing

Un'inchiesta giornalistica internazionale alza il velo sull'accaparramento di terre per produrre energia eolica in Brasile

Si parla di green grabbing quando si strappano le terre ai loro legittimi occupanti ai fini della transizione ecologica © Fernando Mo/iStockPhoto

All’inizio fu il land grabbing, l’accaparramento della terra. Un fenomeno di cui vengono accusati in genere i Paesi più ricchi e potenti, e le loro multinazionali, quando si impadroniscono di terre nei Paesi più poveri per sfruttarle a fini di profitto. Pregiudicando però in questo modo il diritto al loro utilizzo da parte delle popolazioni che le abitano e su di esse basano la propria sussistenza magari da sempre.

Nel tempo i grabbing si sono moltiplicati. Si è iniziato a parlare di food grabbing e water grabbing. Poi è arrivata la volta del green grabbing, il land grabbing per sostenere la transizione ecologica e specialmente energetica. Un fine in teoria nobile, o almeno necessario in tempi di collasso climatico. Ma, come sempre, bisogna vedere se è un fine che giustifica i mezzi. In particolare, se nel perseguirlo non c’è il rischio di produrre altrettanti se non addirittura più problemi di quelli che si intendono risolvere. Se ad esempio, accaparrandosi foreste per produrre crediti di CO2 o aree di territorio per installare parchi eolici e fattorie solari, non si rischia di privare le popolazioni locali del diritto alla (loro) terra. Proprio un caso del genere coinvolgerebbe un’area dove Enel produce energia eolica.

Pale eoliche col vento in poppa

L’area al centro della vicenda è quella di Umburanas, cittadina di una zona nello Stato di Bahia, nel Brasile nord-orientale, povera e semi-arida ma ricca di vento. Qui sorge il parco eolico di Aroeira. Un progetto da 450 milioni di euro, accreditato della capacità di generare un volume di energia che può soddisfare il fabbisogno di circa 850mila abitazioni. E allo stesso tempo può permettere di evitare l’emissione di quasi una megatonnellata (un milione di tonnellate) di anidride carbonica all’anno. Un parco con decine di pale eoliche alte ben oltre i cento metri che, insieme alla rete di strade e di linee di trasmissione collegate, hanno trasformato in modo radicale territorio e paesaggio in meno di dieci anni.

Le società di riferimento del parco sono la brasiliana Maestro Holding de Energia e il colosso italiano Enel. Quest’ultima, con Enel Green Power, è uno dei maggiori produttori di energia rinnovabile (eolica e solare) del Brasile e di tutto il Sudamerica, con investimenti per miliardi di dollari. Opera con sussidiarie ma anche appoggiandosi ad aziende locali che svolgono il ruolo cosiddetto di “sviluppatrici” dei progetti. Ciò significa che individuano e acquistano i terreni più adatti dove far sorgere le strutture e li affittano successivamente a Enel.

Le accuse (respinte): aggressività, poco coinvolgimento, georeferenziamento ingannevole

Secondo un gruppo di cittadini residenti nell’area di Umburanas, le due società avrebbero ottenuto la possibilità di utilizzare il territorio per la costruzione del parco eolico in maniera non limpida. Una signora afferma che una delle turbine eoliche del parco sorge addirittura su un terreno di sua proprietà, che tra l’altro, e paradossalmente, non sarebbe ancora servito da elettricità e acqua corrente. È stato l’avvocato che assiste questi cittadini ad aver parlato appunto di land grabbing in riferimento alle contestazioni mosse alle società. Le quali però respingono le accuse, affermando di aver agito in conformità alla legge e di possedere i diritti sulle terre.

Il punto nodale della vicenda sembrerebbe riguardare le pratiche per ottenere l’accesso ai terreni da parte delle società sviluppatrici. Secondo chi accusa, si tratterebbe infatti di pratiche controverse, molto insistenti, ai limiti dell’aggressività e dell’inganno, con un coinvolgimento scarso o nullo delle comunità. I residenti finiscono spesso per soccombere, accettando contratti assai poco vantaggiosi, perché hanno difficoltà a produrre documenti validi che attestino la proprietà e soprattutto i confini esatti delle loro terre. Cosa che richiede un processo burocratico di georeferenziamento di cui spesso non possono affrontare il costo e dietro il quale chi vuole i terreni avrebbe gioco facile nel volgere la situazione a proprio favore. Alle aziende nella posizione di Enel si contesterebbe invece di chiudere un occhio, di lasciar fare ad altri il cosiddetto “lavoro sporco” e di non esigere la massima trasparenza possibile.

Il giornalismo investigativo accende i riflettori sul green grabbing

A dare visibilità su scala internazionale alla vicenda è stata un’inchiesta giornalistica condotta a più mani. Il che ribadisce ancora una volta l’importanza del giornalismo investigativo, e della collaborazione al suo interno, quando si prova a far luce sul modus operandi oltre i cancelli di casa propria da parte di imprese del Nord del mondo.

L’inchiesta è stata curata, col supporto di Journalismfund Europe, da IrpiMedia, Mongabay e Intercept Brasil. Quest’ultimo è il sito fondato dall’avvocato e giornalista statunitense Glenn Greenwald, divenuto celebre a livello internazionale per i servizi (che valsero il premio Pulitzer al giornale che li pubblicò, The Guardian) sulle rivelazioni di Edward Snowden sui programmi segreti dei servizi di intelligence statunitensi. Uno scandalo di portata globale.

Difficile dire se il “rumore” intorno al green grabbing seguirà la stessa parabola. Lo scorso anno il fenomeno è stato comunque oggetto di uno studio pubblicato su Nature che puntava il faro proprio sul green grabbing “su larga scala” legato all’energia eolica e solare in Brasile. Chi lo contesta, in ogni caso, non mette in discussione la necessità della transizione. Ma il modo in cui a volte rischia di avvenire.