Dove ci sta portando la guerra in Ucraina

Quali prospettive apre la guerra, cosa ne sarà della transizione ecologica e i dilemmi della BCE. Una rassegna settimanale a cura di Valori.it

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Carri armati sfilano a Mosca durante una commemorazione del Giorno della Vittoria © zheltikov/iStockPhoto
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La guerra in Ucraina non si arresta. I colloqui di pace tra i negoziatori di Kiev e Mosca appaiono in una fase di stallo. E nel frattempo le sanzioni imposte a Vladimir Putin si stanno trasformando in una sorta di “movimento”. Molte aziende stanno progressivamente abbandonando i business legati alla Russia. È il caso di Visa, Mastercard e American Express: i tre colossi statunitensi hanno annunciato che le loro carte di credito emesse all’estero non funzioneranno più nel territorio russo. Le banche della nazione euro-asiatica stanno rispondendo utilizzando la rete di pagamenti locali MIR e, presto, potrebbero adottare la cinese UnionPay.

Ma è dalla guerra della Crimea in poi che la Russia tenta di sviluppare sistemi alternativi. Anche allo Swift, meccanismo di messaggeria interbancaria dal quale Mosca è stata “staccata” dai Paesi occidentali. Secondo alcuni osservatori internazionali, tuttavia, le reti predisposte dalla Russia non sono ancora sufficientemente robuste.

C’è poi chi alle sanzioni non ha prestato grande attenzione. È il caso della compagnia petrolifera Shell, che aveva annunciato la decisione di continuare a acquistare petrolio dalla Russia, a prezzo fortemente ribassato. La multinazionale anglo-olandese aveva dichiarato che si trattava di una necessità legata al bisogno di garantire l’approvvigionamento necessario per rispondere alle domande dei clienti. Una scelta che ha suscitato reazioni veementi, e che per questo ha spinto la stessa compagnia a tornare sui propri passi. Tuttavia, la Rosneft prevede di immettere sul mercato 83 milioni di barili di petrolio “Ural” nei prossimi mesi. Perché sì, la Russia si trova costretta a praticare sconti per assicurarsi le vendite. Ma sui mercati gli acquirenti delle fonti fossili della nazione di Putin non sembrano mancare.

Così, in molti sottolineano lo stretto legame esistente tra i cambiamenti climatici e la guerra. Quest’ultima, infatti, è ampiamente alimentata dai proventi della vendita di fonti fossili. La meteorologa e membra ucraina dell’IPCC Svitlana Romanko l’ha sottolineato apertamente. Così come numerose organizzazioni non governative, che sottolineano come la macchina della guerra si è alimentata proprio dei combustibili fossili, dal momento che il 36% degli introiti dello Stato russo provengono dall’esportazione di gas e petrolio.

Servirebbe perciò un’accelerazione della transizione verso le fonti rinnovabili. Ma la guerra in Ucraina, paradossalmente, si teme possa rallentare il processo. Dietro alla grande dipendenza dell’Unione Europea dal gas e dal petrolio russo, infatti, si nasconde anche quella legata a numerosi metalli indispensabili per la transizione: è il caso del nichel, del palladio e dell’alluminio. Si tratta di elementi fondamentali per la costruzione di batterie elettriche, di paleo like e di pannelli fotovoltaici. In questo senso, è necessario studiare con urgenza una diversificazione delle fonti di approvvigionamento.

Anche perché i prezzi delle materie prime non cessano di aumentare. E ciò sta alimentando l’ondata di panico che sta attraversando le Borse mondiali. Borse i cui indici, però, da tempo risultavano completamente slegati rispetto all’andamento dell’economia reale.

Di fronte a tale scenario che farà la BCE? Difficile dirlo. La Banca centrale europea sembrava sul punto di cedere a chi si diceva preoccupato di fronte ai rischi di inflazione nel Vecchio Continente. Anche se l’aumento dei prezzi appare circoscritto proprio alle materie prime. Ora, in ogni caso, la guerra potrebbe far prevalere la necessità di non penalizzare la ripresa economica, mantenendo politiche espansive.