Un gioco da ragazzi

Economia e finanza, sostantivi femminili. Eppure c'è ancora troppo poco di femminile nel mondo dell'economia e della finanza. Ogni lunedì un nostro commento

«Gli economisti occupano posizioni chiave di potere nella società: nelle università, negli uffici del governo, nelle istituzioni internazionali e nei centri di ricerca». Gli economisti, appunto. In italiano frequentemente si subordina il femminile al maschile, in nome del cosiddetto maschile generico o “non marcato”, cioè un maschile presunto neutro e universale, che comprende sia l’uomo che la donna. Ma per questa volta possiamo pure evitare di gridare al sessismo della nostra lingua madre, tanto fa lo stesso.

L’indice WiE (Women in Economics Index) ogni anno analizza la quota di economiste donne in posizioni di leadership nei settori accademico, pubblico e privato. I dati registrati (in 179 diversi Paesi) per il 2020 sono, a dir poco, agghiaccianti: la quota di donne tra i governatori delle banche centrali? 8%. I ministri delle Finanze? 11%. Le donne impiegate come capo economista presso le maggiori banche? 20%. La quota di donne autrici di letteratura economica? CINQUE PER CENTO.

Il livello più alto di “mortalità” dell’economia al femminile si verifica all’inizio del processo, quando si è studentesse. Il rapporto tra maschi e femmine che conseguono la laurea di primo livello in economia è 2 a 1. Ci sono poi tre uomini per ogni donna professore associato e sei per ogni donna professore ordinario. L’inizio di una carriera accademica è segnato da un prolungato periodo di precarietà, che coincide con il periodo riproduttivo femminile: dietro l’angolo, quindi, l’insidia costante del “muro materno”. Arriva poi la pandemia e lo smart-working (di genere). Per le donne significa che sono in grado di coniugare lavoro e famiglia. Per gli uomini che possono lavorare in modo molto più flessibile. 

Le famiglie stanno affrontando una riorganizzazione a breve termine della vita privata e degli orari di lavoro. A (neanche così tanto) lungo termine, questi cambiamenti nella produttività influenzeranno le carriere. Quelli con meno doveri di cura punteranno più in alto. Qualcuno nel mondo dell’economia e della comunità accademica terrà conto dell’approccio tipicamente sbilanciato alla cura della famiglia e al lavoro? Non so.

C’è da dire che le economiste e, in generale, le donne nel mondo accademico non sono del tipo da perdersi d’animo. Né di soffocare il senso dell’umorismo. Il tweet qui sotto mi ha fatto molto ridere.