Per un pugno di (15) dollari
Ogni settimana il commento di Marta Fana su lavoro, diseguaglianze, diritti
«Nessuno che lavora per 40 ore la settimana deve esser costretto a vivere sotto la soglia di povertà». Il presidente eletto degli Stati Uniti Joe Biden chiede al Congresso di approvare quanto prima l’aumento del salario minimo legale a 15 dollari. Oggi la normativa ne prevede 7,5. Di sposare, cioè, la proposta avanzata negli anni da milioni di lavoratori ed entrata a far parte della campagna di Bernie Sanders e tutti i democratici (di ispirazione socialista).
Biden sa che deve riconoscere il contributo alla vittoria fornito dal proprio sfidante alle primarie. E sa che senza non potrebbe governare. Del resto, la proposta è considerata di buon senso anche negli ambienti più conservatori. Ad esempio da quegli economisti americani che, di fronte all’evidenza dei fatti e a decenni di ricerca, hanno dovuto ammettere che il salario minimo e i suoi aumenti non creano disoccupazione, ma anzi migliorano il tessuto produttivo del Paese. Nel 1978, il 90% degli economisti dell’American Economic Association credeva che il salario minimo creasse disoccupazione, oggi a rimanere ancorato a quella favola ideologica è rimasto solo il 26%.
Una bella storia il cui lieto fine non è scontato e che, tuttavia, ci restituisce un po’ il senso del progresso: da un lato i fatti con la loro testa dura; dall’altro la lotta di milioni di lavoratori per emanciparsi almeno dal bisogno. Una storia non solo americana. E speriamo prima o poi anche italiana.