Vergogna mondiale: per aiutare i rifugiati, 57 euro a testa. In un anno
L'UNHCR può contare su $4 miliardi per aiutare 70 milioni di persone, il numero più alto dalla 2a guerra mondiale. L'85% è accolto nei Paesi poveri
Meno di 4 miliardi di euro l’anno per rispondere ai bisogni di 70 milioni di persone. Pari a 57 euro pro capite in 12 mesi o – se preferite – 0,15 centesimi al giorno. Una miseria. Ma sono le risorse con le quali deve operare l’UNHCR, l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati. A erogare i contributi sono gli Stati mondiali, ma i fondi, a differenza di quanto accade per le strutture istituzionali dell’ONU, sono tra l’altro del tutto volontari. E quindi, soggetti agli umori dei movimenti politici. Un pericolo più che reale, in un momento di ascesa della retorica populista nei Paesi più ricchi.
Il calcolo è presto fatto, ascoltando le cifre snocciolate da Filippo Grandi, Alto Commissario ONU per i rifugiati, intervenuto al 14° Festival dell’Economia di Trento. Di fatto, l’unico italiano al vertice di un’importante istituzione internazionale (insieme a Mario Draghi, il cui incarico in BCE scade però a novembre). «In apparenza, un budget di 3,5-4 miliardi può sembrare elevato ma va ricordato che ci dobbiamo occupare di operazioni spesso costosissime perché si svolgono in aree di conflitto» ha spiegato Grandi.
Meno dello stipendio di molti CEO
Del budget totale, i contributi (volontari) dei governi e dell’Unione europea rappresentano l’87%. Il 3% proviene da altre organizzazioni intergovernative e meccanismi di finanziamenti collettivi, mentre un altro 9% dal settore privato, che include fondazioni, aziende, singoli individui. C’è infine un 1% erogato come sussidio delle Nazioni Unite per costi amministrativi.
Va (appena) meglio, se alla dotazione economica dell’UNHCR si aggiungono quelle degli altri organismi delle Nazioni Unite specializzate in interventi umanitari: la spesa in quel caso è di 20-22 miliardi di euro l’anno. «Somma irrisoria se paragonata a qualsiasi voce dei bilanci degli Stati, ad esempio, per le spese militari» osserva Grandi. O, semplicemente, con le paghe ottenute da un qualsiasi CEO di una corporation quotata in Borsa. D’altro canto, va anche considerato l’enorme numero di persone da assistere.
Un concetto ampio
«I rifugiati e gli sfollati hanno raggiunto la cifra di 70 milioni» ha spiegato Grandi. «Una cifra enorme che mai era stata raggiunta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale». La parte più vulnerabile del più ampio mondo dei migranti: rientrano infatti nello status di rifugiato tutti coloro che, nel proprio Paese, non godono più di protezione oppure vengono perseguitati. Si tratta di un concetto più ampio di quanto si possa pensare, ad esempio noi consideriamo rifugiati anche coloro che in America Centrale, in particolare in Honduras e Salvador, scappano dalle bande criminali.
Di questi 70 milioni poi, solo una minima parte è accolta dai Paesi ricchi, che però sembrano quelli più sensibili alle sirene populiste: appena il 15%. Gli altri sono ospitati in Stati poveri, limitrofi alle aree di crisi. Per chi fugge da guerre e violenze, è difficile fare viaggi troppo lunghi. Di solito ci si allontana il minimo necessario («anche perché la speranza della maggior parte di essi è di poter far presto ritorno alla propria casa» spiega Grandi).
Organizzazione e valori
Eppure, nonostante ristrettezze e difficoltà, il sistema di accoglienza mondiale potrebbe funzionare. «Più di tutti, serve volontà di risolvere il problema. A volte mi domando se non risolverlo porta più consensi che risolverlo» risponde provocatoriamente l’Alto commissario. Due comunque sono i fattori cruciali: organizzazione («quelli che criticano l’accoglienza perché dicono che è male organizzata hanno ragione») e valori etici: «i valori contano. L’accoglienza, la solidarietà, aiutare chi scappa da guerra, violenze, bombe è nel cuore della civiltà europea di cui spesso si parla».
Ma è proprio l’Europa che sembra aver perso quella spinta ideale che si era percepita quando i media continentali si accorsero della crisi siriana. Era il 2015. Una data che fu utile perché solo allora «ci si è veramente resi conto di cosa significhi la questione rifugiati».
«Nei centri di detenzione libici situazioni mai viste altrove»
Quattro anni però sembrano essere stati sufficienti per gettarsi alle spalle quei drammatici giorni, nei quali la pressione di chi chiedeva asilo si era fatta più alta. Oggi il senso di responsabilità, solidarietà e carità sembra infatti essere scemato: colpa anche delle lacune del sistema di accoglienza. «L’attuale sistema era sì sviluppato e oliato ma destinato ad un numero di persone di gran lunga inferiore, questo non essere preparati ha reso possibile le molte manipolazioni politiche».
Le conseguenze della retorica xenofoba ha portato a conseguenze agghiaccianti. Ha ad esempio reso tollerabili agli occhi dell’opinione pubblica occidentale la vergogna dei centri di detenzione libici. Luoghi terribili, per lo stesso Alto Commissario: «Ciò che ho visto in quei luoghi – racconta – non l’ho mai visto da nessuna parte del mondo. Si tratta di veri e propri campi di concentramento. L’UNHCR sta cercando di portare via il maggior numero di persone possibile ma non si tratta certo della soluzione del problema».
Sono i crudi numeri a certificarlo: nei centri libici, gli ingressi di nuovi detenuti crescono dieci volte più rapidamente delle evacuazioni: da inizio anno, mille rifugiati sono stati portati fuori dalla Libia. Nel solo mese di maggio, più di 1200 persone sono state riportate indietro dalla Guardia Costiera di Tripoli.
Crisi siriana, il circolo vizioso che alimenta i populismi
«Dovrebbe essere la politica a prendere in mano la situazione e cercare di risolverla definitivamente» ammonisce Grandi. Ma le scelte fatte nel caso della crisi siriana non lasciano grosse speranze: man mano che i partiti populisti aumentavano consensi, ai Paesi limitrofi del Medio oriente e in Nord Africa, luoghi di prima accoglienza, sono state tagliate le risorse. E poco importa che oggi il Libano abbia un tasso di rifugiati che è pari a un quinto della popolazione locale.
L’effetto di tutto questo è paradossale: il taglio di risorse ha accentuato le partenze da quei Paesi verso gli Stati europei. Ed è così aumentata proprio quella pressione migratoria della quale si lamentano i movimenti anti-immigrati e che ne garantisce buona parte dei trionfi elettorali.