Violenze, stupri, abusi: per le donne la migrazione è una via crucis
Un'indagine della Fondazione ISMU: maggiori del previsto gli abusi riscontrati sulle donne che giungono in Europa. Conoscere la situazione essenziale perché l'integrazione abbia successo
Che il viaggio dal cuore dell’Africa o dal Medio Oriente fino all’entroterra dell’Europa non sia una passeggiata di salute per chi fugge da fame, guerre e carestie è facilmente immaginabile anche dal più cinico degli esseri umani. Scoprire però che il pacchetto di quel viaggio comprende, quasi automaticamente, torture, abusi fisici, vessazioni psicologiche, discriminazioni sessuali e violenze carnali, è una realtà decisamente sottovalutata.
437 operatori usati come testimoni delle violenze
A far luce sulla reale situazione è un’indagine internazionale. Che ha utilizzato, come “testimoni”, 437 operatori di centri di accoglienza distribuiti in 5 Stati europei (Italia, Francia, Gran Bretagna, Svezia e Romania). Un modo per avere una visione europea del fenomeno della violenza di genere ai danni delle donne migranti.
«Tali violenze possono verificarsi in diverse fasi del percorso migratorio. A volte già nel Paese di origine. Altre volte durante il viaggio. O anche una volta arrivate in Europa», spiega Ivano Abbruzzi, presidente di Fondazione L’Albero della Vita. Realtà che ha promosso l’indagine in partnership con altre sei organizzazioni, riunite nel progetto SWIM (Safe Women in Migration): Fondazione Ismu, France Terre D’Asile, Alternative Sociale Association, Croce Rossa italiana, britannica e svedese. «Con questa ricerca abbiamo voluto indagare la scarsa conoscenza del fenomeno e la difficoltà di denunciare i reati».
Numeri sconcertanti
Le descrizioni degli operatori ascoltati dall’indagine compongono una realtà fatta di forme multiple di violenze. Soprattutto abusi fisici: vengono segnalati da quasi tutti gli operatori svedesi (il 94%) ma anche dalla maggioranza (57%) di quelli italiani. Di poco inferiori le vessazioni psicologiche e le violenze sessuali riportate. Per queste ultime, un picco dell’85% evidenziato dagli esperti francesi, che assai di frequente assistono anche donne sottoposte a mutilazioni genitali (77%) e matrimoni forzati (75%). «Ciò dipende in parte dal paese di provenienza delle donne richiedenti asilo e rifugiate, dove queste specifiche forme di violenza contro le donne sono maggiormente attuate» spiega Emanuela Bonini, ricercatrice della Fondazione ISMU.
Servizi di accoglienza più efficienti aumentano l’integrazione
Più in generale, le differenze nelle segnalazioni da parte degli operatori rivelano divari nei sistemi di accoglienza dei 5 Stati oggetto dell’indagine.
Le strutture in Gran Bretagna si configurano per l’accoglienza di siriani facenti parte del programma di ricollocamento e per l’accoglienza di particolari gruppi particolarmente vulnerabili, come le donne. La Svezia mostra, una tipologia di accoglienza “diffusa” strutturata in appartamenti, centri di piccole dimensioni, hotel (9 su 10).
Francia e Italia mostrano strutture simili, suddivise tra centri straordinari di accoglienza per richiedenti asilo (CAS l’Italia e CPH – Centre Provisoire d’hebergement – per la Francia) e strutture di reinsediamento per rifugiati, corrispondenti indicativamente allo SPRAR italiano. Emerge inoltre una prevalenza di centri di grandi dimensioni in Francia (6/10) con un numero complessivo di 6.300 posti, in Italia (10/18) con un numero complessivo di circa 2.800 posti, in Romania (4/5) con un numero complessivo di circa mille posti disponibili.
Porre attenzione alle violenze di genere per migliorare l’integrazione
«Ci sono servizi di accoglienza più giovani, come quelli italiani, e meno strutturati ad individuare le violenze di genere», osserva Bonini. E peraltro, dopo l’approvazione dei decreti Salvini, la situazione è anche peggiorata. Meno risorse, meno attenzione per gli aspetti psicologici delle migranti.
Una scelta senz’altro miope. «Porre attenzione alle violenze di genere – spiega Bonini – permette di individuare gli interventi migliori e più adeguati e ciò rende più efficiente l’allocazione delle risorse e più efficace il processo di accoglienza». Tutto ciò si traduce in un elemento che dovrebbe risultare essenziale per il Paese d’arrivo: l’integrazione aumenta.
L’indagine peraltro mette anche in luce che le violenze vengono perpetrate sia nei Paesi di origine, magari da uomini di famiglia o conoscenti della vittima. Spesso però avvengono durante il viaggio e persino negli Stati di destinazione. Un elemento quindi di ordine pubblico.
Un fenomeno sottovalutato
Ma qual è il motivo alla base della sottovalutazione del fenomeno? Un mix di sfiducia nelle autorità, paura di essere colpevolizzate, timore di conseguenze (le madri, ad esempio, spesso non denunciano le violenze per il timore di essere allontanate dai propri figli). «C’è poi il fatto che le donne straniere hanno scarso accesso alle informazioni sui diritti riconosciuti in ciascuno degli Stati membri dell’UE» spiega Abbruzzi.