Nel 2023 le banche hanno licenziato 60mila lavoratori. È solo l’inizio?

Più della metà dei licenziamenti sono avvenuti a Wall Street, dove gli investimenti diminuiscono e la crisi è strutturale

Ben 60mila lavoratori del settore bancario sono stati costretti a lasciare i loro posti nel 2023 © Thirawatana Phaisalratana/iStockPhoto

Quando la congiuntura non è favorevole, a rimetterci sono sempre i lavoratori. E se dopo il rialzo generalizzato dei tassi d’interesse la congiuntura non è del tutto favorevole per il comparto bancario (nonostante i corposi extra-profitti) , a rimetterci sono i dipendenti degli stessi istituti di credito. Secondo un’inchiesta del Financial Times, quello passato è stato uno degli anni più terribili per i licenziamenti nel settore bancario dai tempi della grande crisi del 2007. Sono almeno 60mila le persone che hanno perso il lavoro nel 2023, e le stime sono per difetto. Ma non è finita qui, perché tutto lascia pensare che il fenomeno continuerà anche quest’anno.

I licenziamenti di Credit Suisse, la situazione a Wall Street

La parte del leone l’ha fatta Credit Suisse, salvata dal fallimento lo scorso marzo dalla Banca centrale svizzera e poi comprata da UBS. L’istituto elvetico da solo si è liberato di 13mila posti di lavoro, mentre il chief executive di UBS Sergio Ermotti ha spiegato che l’anno prossimo sarà decisivo. E che sono a rischio altri posti di lavoro nell’ordine delle decine di migliaia. La questione è emblematica, perché è l’ennesima conferma di come oramai gli Stati siano sempre pronti a salvare con i soldi pubblici gli istituti di credito privati. E si disinteressano poi di chi perde il lavoro.

Ma al di là del particolare caso svizzero, il problema è oltreoceano. Più della metà dei licenziamenti è infatti avvenuta a Wall Street. Dove Wells Fargo ha tagliato 12mila posti di lavoro, Citigroup 5mila, Morgan Stanley 4.800, Bank of America 4mila, Goldman Sachs 3.200 e JPMorgan Chase poco più di mille. E qui il problema riguarda soprattutto i comparti finanziamento e prestito. Con gli affari che vanno a rilento, il rialzo dei tassi d’interesse sul costo del denaro che come conseguenza ha aumentato i tassi sui mutui, la gente investe molto meno e contrae molte meno ipoteche. Così, le banche guadagnano meno, e tagliano sul lavoro.

Nel settore bancario i dirigenti che licenziano vengono lautamente ricompensati

«In un periodo di instabilità globale che porta a minori investimenti e minori profitti, le banche hanno deciso di tagliare. E continueranno a farlo anche quest’anno», ha spiegato Lee Thacker, proprietario di Silvermine Partners, una delle più note agenzie di ricerca del personale per il settore finanziario. Poi ha ricordato come nell’ambiente qualsiasi dirigente o capo reparto che riesca a tagliare i costi sul lavoro sia lautamente ricompensato. E per questo si crea il paradosso di un settore nel quale licenziare costa particolarmente caro.

Paradosso dal quale non si riesce a uscire. Charlie Scharf, ceo di Wells Fargo, ha infatti già annunciato che la banca ha messo da parte un miliardo di dollari solo per fare fronti ai licenziamenti del 2024. Che solo nel loro caso, dopo i 12mila dello scorso anno, riguarderanno altre decine di migliaia di lavoratori. Metro Bank, la banca d’investimento del Regno Unito che lo scorso ottobre è stata salvata dall’ennesimo fallimento, ha annunciato che per il 2024 è pronta a ridurre di un quinto il suo staff.

Se finora, infatti, il taglio del personale ha riguardato in media meno del 5% dell’intera forza lavoro di ciascuna banca, per quest’anno la percentuale rischia di aumentare in maniera drammatica. Perché i licenziamenti, nelle banche e non solo, sono da sempre la risposta più facile a crisi che hanno ragioni molto più profonde. E dato che la crisi nessuno sembra in grado di risolverla, tutto lascia temere che i 60mila posti di lavoro persi l’anno scorso siano solo i primi sassolini di una frana.