La logica dell’industria delle armi: fare affari con tutti
Non è importante chi sia l’acquirente, l’importante è fare affari. L'industria delle armi risponde spesso unicamente alla logica del profitto
Se l’esito di una guerra è sempre incerto, è invece certo il vero vincitore: l’industria delle armi. Una vittoria senza perdite, anzi, con grandi guadagni. Fatti senza guardare in faccia nessuno. Che sia la Russia o l’Ucraina, la Grecia o la Turchia, l’UE o il regime egiziano.
La produzione di armi è già la grande vincitrice
Non serviva certo una guerra in Europa per incrementare la spesa militare globale, considerando che è cresciuta persino nel 2020, in piena emergenza pandemica. Ma è altrettanto vero che è un ottimo pretesto per aumentarla ulteriormente. Il comparto militare, quindi, si prepara ad una enorme crescita dei profitti. Non solo vendendo armi a entrambi i paesi in conflitto, ma anche a coloro che – come Stati Uniti e Unione europea – le comprano per donarle all’Ucraina. Senza considerare poi la corsa al riarmo interno di tutto l’Occidente.
Per i produttori, insomma, non è importante chi siano i compratori, se regimi o Stati democratici, Paesi alleati o nemici. E nemmeno se – come le mine antiuomo o le bombe a grappolo – violano convenzioni internazionali. L’unica logica che guida le società del settore è quella del profitto. Insomma, far contenti gli azionisti (tra cui, spesso, figurano gli Stati stessi).
Per questo non è affatto raro che un medesimo Paese fornisca armamenti ad entrambi le nazioni in conflitto né, tantomeno, che due alleati sostengano parti opposte. È ciò che succede, ad esempio, nel caso di Grecia e Turchia, come illustrato da un’analisi di Investigate Europe.
La Grecia, la Turchia e il doppio gioco degli alleati
Ben tre volte – una nel 2020 – negli ultimi 25 anni questi due Paesi hanno rischiato di entrare in guerra per questioni relative a Cipro e alle acque territoriali (ricche di giacimenti fossili). La cosa che sorprende non è tanto il fatto che siano entrambi nella Nato, né che abbiano gli stessi principali fornitori di armi (Stati Uniti, Germania e Francia in primis, ma anche Italia, Paesi Bassi, e Regno Unito), bensì che siano le due maggiori potenze dell’Unione europea a garantire le forniture.
Negli scorsi due anni, infatti, la Germania ha consegnato il primo di sei sottomarini alla Turchia (e – chissà perché – respinto la proposta greca di un embargo sulle armi contro Ankara). La Francia, invece, ha firmato un patto di mutua difesa con la Grecia. Seguito prima da un accordo per la vendita di 18 caccia (2,5 miliardi di euro) e poi da un altro per sei aerei e almeno tre fregate (4 miliardi).
In conclusione, è la stessa competizione tra esportatori di armi europei a creare tensioni alle porte dell’Unione: vendendo equipaggiamenti militari a uno dei due Paesi spingono l’altro a comprarne a sua volta. Innescando un circolo vizioso che aumenta la tensione e i rischi. I diversi interessi geopolitici ed economici portano infatti ogni Paese a sostenere una parte piuttosto che l’altra (o entrambe). Ed è questo uno dei maggiori ostacoli ad una eventuale politica estera e di difesa comune europea.
Quello stretto legame tra corruzione, spesa militare e bancarotta
Effettivamente, le paure della Grecia non sono infondate. Dal 1995, ad esempio, la posizione ufficiale della Turchia è che un’eventuale estensione delle acque territoriali di Atene da 6 a 12 miglia nautiche – diritto riconosciuto dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare – equivarrebbe ad una dichiarazione di guerra. Più di recente, appena prima dell’invasione dell’Ucraina, Ankara ha minacciato di mettere in discussione la sovranità greca su alcune isole dell’Egeo orientale se il Paese ellenico non le avesse smilitarizzate. Inoltre, la paura della Grecia nasce anche dal fatto che la Turchia ha partecipato direttamente ai recenti conflitti in Libia, Siria e Iraq.
Questi timori hanno portato Atene ad avere una spesa militare così alta da raggiungere il 3,8% del PIL nel 2021 (persino più del 3,5% degli Stati Uniti). Tra il 2004 e il 2008, addirittura, il Paese era tra i cinque maggiori compratori di armi in termini assoluti a livello globale. Miliardi e miliardi che hanno contribuito a portarlo ripetutamente verso la bancarotta e che hanno foraggiato la macchina della corruzione (Akis Tsochatzopoulos, ministro della Difesa tra il 1996 e il 2001, ad esempio, è stato condannato per tangenti legate all’acquisto di armi russe e tedesche).
Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, la Grecia ha inviato armi e munizioni come molti altri Paesi europei. La decisione, però, era dovuta anche alla paura di trovarsi, un giorno, nella stessa situazione. Ovvero essere attaccata da un potente esercito attualmente giusto al di là del confine.