Dalle fossili alle armi. Le crisi internazionali minacciano l’integrità della finanza sostenibile

La guerra in Ucraina e la crisi energetica alimentano un nuovo dibattito sul perimetro degli investimenti ESG

Pietro Negri
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Pietro Negri
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C’è ancora un futuro per i prodotti finanziari che rispettano standard ambientali, sociali e di buona governance (ESG), dopo lo scoppio della guerra in Ucraina? La domanda rimbalza con sempre maggior frequenza a più di un mese dall’inizio del conflitto. E, secondo alcuni commentatori, acquista sempre maggior fondatezza. Il tema è legato alla scelta di investire il sottostante di un prodotto finanziario – a determinate condizioni –in aziende legate alle fonti energetiche fossili e, soprattutto, alle aziende produttrici di armi.

Il perimetro delle strategie ESG rischia di allargarsi pericolosamente

L’invasione russa infatti ha galvanizzato i mercati. Spesso a fronte di operazioni altamente speculative, soprattutto per quel che riguarda le materie prime, l’agrifood, le fonti fossili e gli armamenti. Soprattutto se invocati come forma estrema di difesa dei diritti umani e dello “stato di diritto”.

Le strategie di investimento ESG sono sotto i riflettori per la loro difficoltà di inquadramento e valutazione. La tassonomia europea degli investimenti sostenibili dal punto di vista ambientale – lodevole e per certi versi necessaria – rischia di complicarsi, nel tentativo di definire i settori che, nel periodo di transizione verso un mondo decarbonizzato, sono necessari a garantire un equilibrio tra spinta al cambiamento e supporto alle attività economiche. Senza generare ulteriori disuguaglianze e squilibri sociali. 

Il nodo degli investimenti nel settore degli armamenti

Il ritorno al carbone, il rilancio del gas e del nucleare e la volontà di non considerare l’importanza delle energie rinnovabili come fonte di reale cambiamento sembrano un ritorno al passato e creano forte allarme. Il supporto alle attività produttive coinvolte nel settore degli armamenti poi, da sempre uno dei comparti esclusi dagli investimenti socialmente responsabili, viene invocato da chi lo ritiene necessario per contrastare le forze che mettono in discussione un futuro di pace per l’umanità.

Secondo diversi analisti investire nella difesa diventerà sempre di più un concetto compatibile con la filosofia di investimento ESG. Da riprendere perfino nella tassonomia sociale europea di prossima pubblicazione. A tale proposito l’ex ministra delle Finanze ucraina Natalie Jaresko è stata ancor più esplicita e ha ribadito che le aziende hanno un ruolo fondamentale da svolgere in quest’ambito, se davvero credono nei valori ESG.

Il Texas in guerra contro la finanza sostenibile?

Secondo il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, sul piano economico e sociale gli effetti del conflitto, combinati a quelli del Covid, saranno molto negativi. A livello globale, l’emergenza Covid-19 costringerà all’estrema povertà più di 100 milioni di persone. E il brusco rallentamento della globalizzazione determinerà una forte regionalizzazione determinata dalla necessità di garantirsi la sicurezza energetica. Con crescente ricorso alle energie fossili, utilissime nel breve periodo e in grado di rendere difficile la transizione green. E anche Larry Fink CEO di BlackRock ha ripreso questo concetto nella sua tradizionale lettera agli azionisti.

Sembra addirittura che lo Stato del Texas stia predisponendo una “lista nera” (nomen omen) a disposizione dei piani pensionistici statali, di fondi e gestori da mettere al bando perché accusati, sulla base delle loro stesse dichiarazioni, di boicottare i combustibili fossili.

Le fonti rinnovabili un volano di pace

Già oggi diversi autorevoli analisti ritengono che l’Unione europea possa fare a meno del gas russo senza costruire nuove infrastrutture. E senza neanche comprare gas naturale proveniente dagli Stati Uniti, come proposto nelle ultime settimane. Una soluzione, quest’ultima, molto peggiore in termini di effetti sul clima. Due terzi delle importazioni potrebbero essere ridotti con misure di efficienza energetica e potenziando l’energia elettrica rinnovabile. Il restante terzo potrebbe essere trasportato attraverso la rete dei gasdotti già esistenti, in attesa di riconvertirli all’idrogeno.

Un recentissimo report del WWF Italia ribadisce che attuare una veloce transizione a livello globale verso le rinnovabili significa innanzitutto investire sulla pace. Gas, petrolio e carbone, oltre a determinare e acuire la crisi climatica, provocano conflitti e costano molto di più. Le fonti rinnovabili, infatti, hanno costi più bassi rispetto alle fossili e al nucleare considerando anche il costo del combustibile, le spese di gestione e manutenzione dell’impianto. Parliamo di 29-42 dollari/MWh del fotovoltaico, contro i 65-159 del carbone e 129-198 del nucleare.

La sostituzione degli impianti a carbone, poi, abbatterebbe i costi annuali del sistema di 32 miliardi di dollari all’anno. E ridurrebbe le emissioni annuali di biossido di carbonio di circa 3 miliardi di tonnellate. In Italia si potrebbero installare 60 GW di rinnovabili entro i prossimi tre anni, a patto di sbloccare le relative autorizzazioni. Questo permetterebbe di ridurre i costi delle bollette, creare 80mila nuovi posti di lavoro e risparmiare ogni anno il 20% del gas importato.

E il mondo della finanza sostenibile come reagisce?

Secondo State Street Global Advisors la necessità geopolitica di diversificazione energetica potrebbe rappresentare un booster per le rinnovabili. Innescando una forte attenzione e un’ulteriore accelerazione degli investimenti. In una lettera aperta al presidente e amministratore delegato di Total Energies, il Consiglio per le pensioni della Chiesa d’Inghilterra ha espresso forte disappunto sull’opportunità di continuare a investire in società russe. Manifestando anche l’intenzione di riconsiderare la propria posizione di azionista nel gigante energetico.

Applicare un label ESG a un prodotto finanziario non può essere solo un’etichetta. Altrimenti i rischi di green/social washing diventano molto rilevanti. Molti sono saltati sul carrozzone della sostenibilità, soprattutto nel corso degli ultimi due anni. Ma invece di buttare il bambino con l’acqua sporca è venuto il momento di guardare i prodotti con maggior profondità e forte senso critico. Senza comportamenti opportunistici e contraddittori che, alla lunga, minano alla radice la credibilità dell’intero mercato. Secondo l’ONG InfluenceMap «qualsiasi soggetto che promette di decarbonizzare o uscire dal mercato delle armi coi propri investimenti non può, allo stesso tempo, esercitare un’azione di lobbying per annacquare la regolamentazione». 

La finanza etica è rimasta fedele ai propri principi

Con la guerra che infuria alle porte dell’Unione europea, sono oltremodo necessari rigore e disciplina, oltreché piena trasparenza, per permettere agli stakeholder di valutare, scegliere, giudicare e condannare. 

Tutto ciò ribadendo, allo stesso tempo, l’esistenza di una linea di demarcazione tra finanza etica e finanza sostenibile. Per la prima, ad esempio, l’approccio fondamentale e storico del motivo per cui la difesa non deve rientrare nei fondi ESG non è cambiato rispetto al passato. Ma anche il ruolo della finanza sostenibile, nella costruzione di un modello diffuso di economia a basso contenuto di energia fossile a sostegno di un sistema di tipo circolare, mantiene ancora oggi tutta la sua rilevanza. E tutto ciò a livello planetario: la globalizzazione oggi deve servire ad assumere cambiamenti coordinati e non ambigui che incidano profondamente sul futuro dell’umanità.

Mercati finanziari efficienti, di alta qualità e trasparenza, insieme all’esercizio dei diritti di voto restano uno strumento potente per gli investitori per affermare le proprie opinioni sulle attività e sui comportamenti sia dei governi sovrani che degli emittenti. Anche andando oltre il semplice rispetto delle sanzioni imposte.