«Non possiamo fornire informazioni». Il muro di gomma dell’industria delle armi
Alle assemblee annuali, i colossi delle armi Leonardo e Rheinmetall hanno risposto in modo evasivo alle domande degli azionisti critici
Reticenza. Questa è la cifra delle risposte delle due aziende di armamenti, l’italiana Leonardo Spa e la tedesca Rheinmetall, su cui svolgiamo azionariato critico. Le domande sono state, al solito, molto chiare e circostanziate. Tanto quanto le risposte sono state evasive, assenti, appunto reticenti.
Rheinmetall non fornisce informazioni neppure ai suoi proprietari
La tedesca Rheinmetall si colloca in testa a questa classifica. Alle domande su quali siano i Paesi extra-Ue a cui l’azienda ha venduto attrezzature militari, la risposta è stata: «Non possiamo fornire informazioni» (agli azionisti, dunque, ai proprietari in quota parte dell’azienda!) per motivi contrattuali.
Stessa cosa per le domande sulle esportazioni di armi in Paesi che violano diritti umani e in Stati belligeranti extra-Nato. Dunque, si potrebbe desumere che ve ne siano? Idem con patate sulle forniture di armi all’esercito ucraino da parte della controllata RWM Italia per motivi contrattuali. Di concorrenza – dunque, si tratta di commercio e non di dono? – e sicurezza.
Neppure alla domanda se fossero state avviate inchieste o comunque valutazioni interne sui casi di illeciti penali in cui sono coinvolti amministratori delegati e alti dirigenti di RWM Italia per l’ampliamento dello stabilimento di Domusnovas-Iglesias in Sardegna. «Si tratta di accuse per infrazioni minori». E comunque, «non possiamo fornirvi informazioni sulle valutazioni interne che abbiamo fatto perché il procedimento è ancora in corso». Ma non sarebbe questo un rischio reputazionale per l’impresa di cui i suoi azionisti avrebbero il diritto ad avere informazioni?
Una reticenza a tutto campo, degna di altre latitudini
Neppure di fronte all’evidenza. Come quella della condanna in sede di Consiglio di Stato (10 novembre 2021) per irregolarità di licenze nella realizzazione del poligono di test esplosivi in Sardegna. Che infatti è stato chiuso poco dopo la sua realizzazione, con evidente danno finanziario per l’azienda.
Tanto meno il colosso tedesco si esprime su previsioni in fatto di rischi legati alle norme sui principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani: «Si prevede che entreranno in vigore in Germania nel 2025», dice Rheinmetall. E dunque perché occuparsene ora? Luminoso esempio di lungimiranza e programmazione aziendale.
La questione dell’esportazione di armamenti verso Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti riguarda anche Leonardo Spa, a cui abbiamo rivolto la stessa domanda posta a Rheinmetall. Il governo italiano ha revocato licenze di esportazione verso questi Paesi precedentemente autorizzate. Ciò sulla base di una mozione parlamentare che metteva in rilievo come l’esportazione di armi verso Stati coinvolti in conflitti armati fosse in contrasto con la stessa legge 185/90.
Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti: da Leonardo e Rheinmetall poche informazioni
Nel 2021 ci sono state 52 nuove autorizzazioni di esportazione verso questi Paesi per un valore complessivo di 103,3 milioni di euro: Leonardo SpA e Rheinmetall sono stati beneficiari di alcune di queste autorizzazioni? Perché, nel caso, c’è il rischio che queste licenze siano a loro volta revocate, producendo anche un danno per l’azienda (che è il punto di vista che l’azionista deve adottare, anche in vista di possibili azioni legali contro il management).
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Rheinmetall: reticenza totale! «Non possiamo dare informazioni su singoli contratti. Vi possiamo però assicurare che Rheinmetall agisce sempre in accordo con le autorità competenti e quindi anche con le autorità italiane. La revoca delle autorizzazioni è una chiara eccezione». Da non credersi! Il parla-come-mangi sarebbe: «Non vi diciamo un bel nulla. Comunque siamo in regola. E quando non lo siamo (come nel caso) è un’eccezione».
Il nodo delle esportazioni di armi a Paesi in guerra
Leonardo fornisce qualche dato in più, ma la giustificazione è assai debole. «Nel corso del 2021 – spiega l’azienda – siamo stati destinatari di licenze verso l’Arabia Saudita (11) e verso gli Emirati Arabi Uniti (7)». Ma «le licenze revocate ad aziende italiane sono relative a bombe di aerei e missili, che non sono prodotti o commercializzati da Leonardo». La risoluzione parlamentare, in realtà, diceva altre due cose: impegnava il governo a «mantenere la sospensione della concessione di nuove licenze per gli stessi materiali e Paesi. E a valutare la possibilità di estendere tale sospensione anche ad altre tipologie di armamenti. Sino a quando non vi saranno sviluppi concreti nel processo di pace».
Ma fra le nuove autorizzazioni ai due Paesi risultano anche quelli della categoria M004, cioè «bombe, siluri, razzi, missili ed accessori». Anche se non sappiamo quali siano le aziende destinatarie dell’autorizzazione. Inoltre, il governo non ha affatto esteso la sospensione ad altre tipologie di armamenti (quali?). E il processo di pace, purtroppo, è ben lontano dal successo. Questo è il motivo per il quale, a nostro avviso, le autorizzazioni dovrebbero essere escluse per Arabia Saudita e Emirati. Infatti, la legge 185/90 vieta l’esportazioni di armi «verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi della Carta delle Nazioni Unite».
Ecco quindi, che il management ha a nostro avviso sottovalutato un rischio d’impresa importante. Ancorché facilitato da una autorizzazione di un governo almeno strabico. Che prima revoca autorizzazioni all’esportazione verso Paesi belligeranti, e poi le riautorizza di nuovo verso gli stessi Paesi.
Per Leonardo le armi valgono l’83% del fatturato
Ma, si sa, lo Stato italiano (il ministero degli Affari Esteri) autorizza ad una azienda di Stato (del ministero dell’Economia e delle Finanze, azionista di riferimento al 30,2%) esportazioni per aiutarla a fare buoni affari. Da cui ricava dividendi per 24,45 milioni di euro l’anno. Dunque, non solo controlla l’azienda che possiede (cioè sé stessa) attraverso le decisioni sulle autorizzazioni, ma addirittura le crea e protegge il mercato.
Azienda pubblica, dunque, che forse dovrebbe tendere allo sviluppo dell’interesse e ai beni pubblici. E, invece, cosa fa questa azienda? Si sposta sempre più verso il settore militare (oggi l’83% del suo fatturato è generato dal settore militare, mentre nel 2017 era del 68%) e verso le esportazioni extra-Ue e extra-NATO (dal 22% dei ricavi nel 2017 al 27% nel 2021 dei circa 1,3 miliardi di euro di valore complessivo dell’export).
Armi
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Tutto va bene, nel migliore dei mondi possibili! Il messaggio di queste due aziende è: «Gli azionisti si preoccupino soltanto dell’andamento azionario dell’azienda». Che infatti, grazie alla guerra in Ucraina, ha visto la crescita del valore azionario di Rheinmetall del 116,6% sull’indice Stoxx Europe Total Market, e del 50% per Leonardo. Forse è questa una delle chiavi di lettura più chiare e oggettive delle decisioni sull’aumento delle spese militari, assunte sfruttando la preoccupazioni e l’indignazione pubblica suscitate dalla guerra di Putin all’Ucraina.