Clima, troppe ombre nel nuovo mercato ETS europeo di scambio di emissioni di CO2
Il Parlamento europeo ha dato il proprio via libera al nuovo mercato ETS di scambio di emissioni. Ma il testo presenta molti interrogativi
A seguito di un dibattito articolato e non privo di scambi vivaci di vedute, tenutosi in seduta plenaria l’8 giugno scorso, il Parlamento europeo ha bocciato la relazione sulla proposta di revisione del sistema di scambio di quote di emissione di CO2 nell’Unione europea, predisposta dalla Commissione.
Tutto si spiega
Cos’è e come funziona il mercato ETS dei “diritti ad inquinare”
Nato nel 2005, il mercato ETS è la risposta europea alle sfide climatiche. Che però ha funzionato solo in parte. E che per questo è stato riformato
Il mercato ETS così come proposto dalla Commissione è stato ritenuto poco ambizioso
La proposta era stata ritenuta “poco ambiziosa” in quanto ritenuta troppo favorevole agli inquinatori. Ma, soprattutto, non linea con gli obiettivi climatici europei. Ovvero la riduzione delle emissioni del 55% entro il 2030, rispetto ai livelli registrati nel 1990. E l’azzeramento delle emissioni nette di gas ad effetto serra, per conseguire la “neutralità climatica”, entro il 2050. In linea con la normativa europea sul clima approvata lo scorso anno.
Il processo legislativo per la revisione della complessa legislazione alla base del sistema di scambio di quote di emissione dell’UE (EU ETS directive) è stato molto lungo e controverso. Con centinaia di emendamenti presentati, esaminati e votati uno ad uno.
Nel maggio scorso, la commissione parlamentare competente per l’ambiente (ENVI) aveva presentato un obiettivo di riduzione delle emissioni del 68% entro il 2030. E una graduale eliminazione dei “diritti ad inquinare” entro lo stesso anno. Affrontando con determinazione l’eccesso di offerta di quote di emissioni, una delle maggiori debolezze del mercato ETS europeo.
L’eccesso di offerta dei “diritti ad inquinare”
La commissione ENVI era riuscita a trovare un accordo tra i deputati più progressisti. Al fine di ridurre gradualmente i permessi di inquinamento gratuiti fino allo zero entro il 2030. Aumentando in tal modo, le risorse finanziarie disponibili per il Fondo per l’innovazione, alimentato proprio dalla graduale eliminazione dei permessi di inquinamento gratuiti.
In vista del voto in plenaria, il gruppo di centro-sinistra ha presentato una proposta alternativa. Ciò nel tentativo di assicurarsi il sostegno dei deputati e dei gruppi che consideravano la proposta ENVI troppo ambiziosa. Questo accordo avrebbe esteso le autorizzazioni gratuite fino al 2032. Comportando qualche ritardo nell’attuazione e riducendo la disponibilità per il Fondo innovazione. Ma restando più ambizioso della proposta originale della Commissione.
La proposta al ribasso della commissione Industria, Ricerca e Energia
A queste proposte ne è seguita una terza presentata dalla commissione per l’Industria, la Ricerca e l’Energia (ITRE), molto meno ambiziosa di quella della Commissione.
In plenaria la posizione di ENVI è stata oggetto di forti pressioni e sono state presentate diverse opzioni da votare, dalla più ambiziosa alla meno ambiziosa. La confusione e la mancanza di chiarezza ha portato alla bocciatura complessiva della provvedimento. Che non ha superato il voto dell’Aula, con la maggioranza dei deputati che ha votato contro qualsiasi misura di compromesso che potesse ridurre l’ambizione del pacchetto legislativo proposto. Con, appunto, vivaci scambi di accuse e recriminazioni reciproche.
I punti più controversi della proposta riguardavano l’obiettivo di riduzione delle emissioni per il 2030. La rapidità con cui il limite o il massimale di emissione sarebbe stato abbassato. E la timeline per eliminare gradualmente i permessi di inquinamento gratuiti per l’industria pesante (per quanto tempo ancora gli inquinatori sarebbero stati esentati dal pagare per il costo delle loro “esternalità negative”). Tutto ciò in combinazione con l’introduzione di una nuova Carbon Border Tax per le merci in ingresso. Il cosiddetto meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (CBAM).
Il via libera del Parlamento al nuovo sistema ETS è arrivato il 22 giugno
Solo due settimane dopo, il 22 giugno, dopo frenetiche trattative volte a scongiurare uno stop al processo legislativo, il Parlamento europeo – cambiando repentinamente idea sui contenuti dell’accordo bocciato in precedenza – ha approvato la riforma del sistema di scambio. Così come un meccanismo di adeguamento del costo delle emissioni per le merci in ingresso alle frontiere esterne. E, infine, la creazione di un nuovo fondo sociale per il clima. Pensato per contrastare i cambiamenti climatici e i potenziali effetti dannosi derivanti dalla transizione da un sistema economico fondato sull’utilizzo di energia fossile, all’uso diffuso delle rinnovabili.
Il mercato ETS costringe infatti le centrali elettriche e le fabbriche ad acquistare “diritti ad inquinare” e limita il numero di permessi disponibili per l’acquisto. Il Parlamento, con la sua recentissima decisione, ha stabilito una diminuzione dei permessi del 4,4% a partire dal 2024, del 4,5% dal 2026 e del 4,6% dal 2029. Mentre altri 70 milioni di permessi saranno rimossi nel 2024 e 50 milioni nel 2026.
I primi comunicati pubblicati dopo il voto, dai deputati di quasi tutto lo spettro politico, elogiano il nuovo testo come grande vittoria, potenzialmente in grado di invertire la tendenza e costringere nei fatti gli inquinatori ad un rapido cambiamento.
Il nuovo testo non porterebbe effetti benefici significativi
Ma il testo è davvero migliorativo rispetto a quello bocciato in precedenza? Il voto favorevole è stato determinato innanzitutto dopo che sono stati cancellati i timori di un ritardo delle politiche europee sul clima. Poi, con la sua presa di posizione, il Parlamento ha rimarcato la volontà di avviare un negoziato forte con il Consiglio. Ovvero l’altro attore che co-legifera con i rappresentanti della popolazione europea.
In realtà alcune analisi mostrerebbero che i (dichiarati) effettivi benefici per il clima rispetto all’accordo respinto sarebbero del tutto trascurabili e sostanzialmente più deboli della proposta della commissione (ENVI).
Secondo le voci critiche, il nuovo accordo avrebbe molte somiglianze con quello respinto a suo tempo. Ad esempio, ci sarebbe una riduzione complessiva delle emissioni nel 2030 di soli 23 milioni di tonnellate. Inferiore all’accordo respinto ed equivalente alle emissioni annuali di (soli) quattro impianti siderurgici. Inoltre, fino al 2030, 5 miliardi di euro di permessi di inquinamento gratuiti verrebbero ancora rilasciati ai grandi inquinatori. Mentre la ENVI aveva stabilito un limite a poco più di 4 miliardi.
La mancanza di incentivi adeguati per la transizione dell’industria pesante
È chiaro che sovvenzionare l’inquinamento elimina gli incentivi per l’industria pesante a intraprendere azioni per il clima e a migliorare l’efficienza delle proprie attività. Inoltre, i sistemi fiscali nazionali vengono privati delle entrate derivanti dalle aste di ETS. Utili per ulteriori azioni per la mitigazione e l’adattamento al climate change.
In particolare è stato stimato che le aste previste dal nuovo accordo raccoglierebbero 336 miliardi di euro: solamente 10 in più rispetto all’accordo respinto. E 56 miliardi di euro in meno rispetto alla proposta ENVI. Inoltre il sistema consentirebbe l’emissione di oltre 700 milioni di tonnellate di inquinamento da gas ad effetto serra in più. Ossia quanto prodotto annualmente da Italia, Spagna e Romania messe insieme.
Meno entrate per gli Stati membri dal sistema ETS
E vi sarebbe anche gravi incognite sul futuro: la tassazione in ingresso, che dovrebbe partire solo nel 2032, penalizzerà le merci provenienti da Paesi terzi associate a grandi emissioni di CO2. Soprattutto per la produzione di acciaio e cemento. Mettendo così le imprese europee e straniere su una base di parità. Ma per quanto riguarda la tariffazione della CO2 per il trasporto su strada e il riscaldamento, denominata ETS II, si prevede solo che le imprese paghino un sovraprezzo su carburante e olio da riscaldamento, senza incidere sostanzialmente sulle compagnie petrolifere e del gas, scaricando sui consumatori finali (nella pratica) i costi relativi.
Sebbene le prospettive politiche di affrontare efficacemente la crisi climatica per il bene della collettività siano diminuite, c’è ancora la speranza che il dossier – che ora verrà valutato dagli Stati membri – venga rafforzato e reso più efficace, per salvare il processo di riforma degli ETS in Europa fornendo così flussi di entrate sostanziali per l’azione degli Stati membri per il clima.