Buyback alla riscossa. Ecco chi ci guadagna davvero
Il buyback, riacquisto delle proprie azioni da parte di una società, è una manovra che presenta rischi e possibili conflitti d'interesse
È ormai prassi diffusa da qualche anno, nell’era della turbo-finanza, che società finanziarie e banche destinino una parte rilevante degli utili al riacquisto delle proprie azioni presenti sul mercato, il cosiddetto buyback.
Perché il buyback è una sostanziale manipolazione del mercato
Solo per citare qualche esempio italiano, Banca Intesa completerà la seconda tranche, da 1,7 miliardi di euro, di un’operazione di acquisto di propri titoli già avviata nel 2022 mentre Generali ha annunciato un analogo riacquisto di 10,5 milioni di proprie azioni e anche il consiglio di amministrazione di Unicredit ha recentemente deliberato in tal senso.
Più in generale il biennio 2022-2023 rappresenta una fase molto intensa per simili iniziative. Il buyback, il riacquisto di propri titoli, da parte di una società, sia attraverso un’Opa sia direttamente sul mercato, è un’operazione che è stata praticata nel tempo sempre con una certa cautela. Sia perché può produrre effetti sugli asset patrimoniali, come ha rilevato spesso la stessa Bce. Sia perché genera una sostanziale manipolazione del mercato: è evidente che chi ricompra le proprie azioni intende sostenerne il prezzo, rendendo così più complessa una reale valutazione della salute del titolo stesso.
Chi guadagna davvero dal riacquisto di azioni proprie di una società
Dopo il 2008, tuttavia, questa prassi si è maggiormente diffusa per consentire alle società di far fronte alla forte perdita di credibilità. Così si è permesso che il buyback si estendesse anche a titoli obbligazionari. E, con molte riserve, ai titoli di Stato. Ancora una volta, per tentare di porre rimedio alla crisi creata dall’ingegneria finanziaria e dalla estrema molteplicità dei suoi strumenti, si sono allargate le maglie della regolamentazione. Accrescendo le possibilità di intervento sul mercato per dare fiato a molti degli stessi responsabili della crisi, e dotando così gli operatori di altre armi assai pericolose.
Le ragioni delle “strategie” di buyback hanno infatti vari aspetti non sempre troppo edificanti. Come accennato, nella sostanza, servono a far crescere, tramite gli acquisti e la successiva sottrazione dal mercato, il valore delle azioni stesse. Ma chi ne beneficia in modo particolare? Fondamentalmente due tipologie di soggetti: i grandi manager pagati in azioni della loro società. Gli stessi che promuovono il buyback, sottoponendolo al voto delle assemblee, e dunque hanno un guadagno più alto con l’aumento del valore delle azioni ricomprate dalla loro società.
In secondo luogo ci sono gli “scommettitori”– speculatori che comprano titoli derivati “indicizzati” a quelle stesse azioni. Se i titoli salgono, le scommesse sul rialzo guadagnano. Peraltro, non è da escludere che molti dei super-manager, pagati in azioni, siano anche scommettitori in titoli derivati. E, magari, come accennato, decidano anche il buyback.
I meccanismi che si possono nascondere dietro ai buyback
Proprio su quest’ultimo aspetto delle scommesse sui titoli, concepite in previsione di buyback, vale la pena spendere una considerazione ulteriore. Con il buyback la società usa i suoi utili per ricomprare azioni, facendo salire il prezzo; ciò consente di generare strumenti derivati che, senza la proprietà del titolo e senza l’onere di doverlo comprare, possono lucrare sul rialzo del prezzo operando una scommessa che proprio il buyback rende vincente.
In tal modo il volume dei derivati cresce a dismisura. E si “arricchisce” di scommesse vincenti non solo su azioni ma anche su il vasto mondo delle obbligazioni, interessate dal riacquisto. È singolare poi che l’operazione di buyback incontri, in termini di normativa internazionale, maggiori resistenze nel caso si tratti di titoli del debito pubblico.
Il Fondo monetario internazionale, e soprattutto, le agenzie di rating, tendono a non ammettere operazioni di acquisto dei propri titoli da parte di Stati che cerchino di togliere dal mercato il debito più oneroso, indicando una simile pratica come un sinonimo di default.
In questi termini Moody’s si è espressa rispetto all’intenzione del governo argentino di ricomprare le proprie obbligazioni con scadenza 2028-2089 per allungare i tempi dell’indebitamento nazionale. L’adulterazione del mercato operata dai buyback che possono alimentare la speculazione dei derivati si ferma di fronte alla possibilità degli Stati di migliorare la qualità del loro debito. Le crisi finanziarie hanno accresciuto le prerogative della turbo-finanza, dotandole di strumenti decisamente esclusivi.